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Categoria: Arti figurative
Creato Mercoledì, 02 Marzo 2011

Cesare Masetti, "Contromano": riflessioni trasversali, di Annalisa Righi (n°133)

Dal 28 al 31 Gennaio 2011 si è tenuta a Bologna la 35° edizione di Arte Fiera. Oltre duecento gallerie, trenta percento straniere, settanta italiane; quasi trentaduemila visitatori paganti; venti euro il biglietto d’ingresso; molti “bollini rossi” (= venduto) sulle opere meno care; una notte bianca: musei (e negozi) aperti fino a mezzanotte; eventi a corollario come Art First e Arte Fiera Off.

In questo spazio non si desidera esprimere un giudizio di valore sugli artisti e sulle opere ma solo interrogarsi, citando Michel Foucault, su quale sistema di rapporti è potuta apparire “Arte Fiera”.

Liberando il campo da qualsiasi infingimento diciamo subito che, perché possa essere allestita una simile esposizione (istituzione?), l’opera d’arte deve avere un carattere di mercato come bene di lusso comunemente riconosciuto. Dire che ha carattere di mercato significa che essa appare come una merce, di lusso significa che diventa uno status symbol. Questi due aspetti ci informano allora che il sistema di rapporti si ordina su relazioni e strategie proprie del capitale.

Facciamo un passo indietro. L’opera, il suo significato e la sua funzione, erano e risiedevano in ciò che la committenza richiedeva, fosse essa del Principe, della Chiesa, del partito, del gallerista, del collezionista… E l’artista, nel metterla in “forma”1, realizzava quella specificità che la rendeva unica, riconoscibile e riconducibile al soggetto che l’aveva creata2 vincolandola materialmente ad un significato e ad un senso di appartenenza sociale attraverso un processo di mediazione con la realtà. Di più. Nel realizzarla poteva anche capitare che, cambiando la forma si cambiasse anche il contenuto riducendo la storia a puro accadimento (o la società ad una complessità di eventi storicamente determinati), l’opera come rappresentazione rappresentativa di un’epoca e/o anticipatrice di nuovi ordini. Caravaggio, dichiarava implicitamente con la forma, e un po’ meno indirettamente in una lettera al marchese Giustiniani (“tanta manifattura gli era a fare un quadro di fiori come di figura”), ciò che tre secoli più tardi si sarebbe manifestato chiaramente, ovvero: che “ogni gerarchia nobiliare del classicismo per lui non aveva più senso, tutto del mondo degli uomini muoveva il suo interesse; e non c’era più alcuna distinzione di bello o di brutto, di nobile o di laido, ma di vero in senso galileiano”3. Qualche secolo più tardi, Giovanni Fattori invitava, con una dichiarazione esplicita, i suoi allievi: “fate qualcosa che dispiaccia a noi vecchi”. Per non parlare poi delle avanguardie artistiche che hanno dominato tutto il novecento in un incalzare di “ismi” creativi. Dada(ismo), astrattismo, cubismo, e poi, op-art, pop–art, action painting… I principi canonici che definiscono tradizionalmente l’opera d’arte (rappresentazione, figurazione, competenza tecnica, ruolo dell’artista...) si rompono e se ne creano di nuovi. Picasso, “Les Demoiselles d’Avignon”, (1907); Duchamp, “Fontana” (1917); Malevič, “Quadrato bianco su fondo bianco” (1918); Fontana, “Concetto spaziale” (1949)4. Un’escalation di “disubbidienze”, inizialmente capaci di affermare l’autonomia della propria differenza e di tracciare un nuovo confine da abbattere, ma poi di rottura in rottura, di negazione in negazione, l’arte arriva a negare se stessa in un circuito autoreferenziale.

L’infrazione della regola, che per secoli ha diretto il genio nelle rivoluzioni della conoscenza, diventa, nel campo delle arti visive (ma non solo), la regola stessa. Il risultato è una produzione di opere seriali, orientate al plus valore, capaci di assolvere solo alla funzione di integrazione e qualificazione, nel sistema sociale, dell’individuo che la possiede. In questo gioco l’opera non appare più come mediazione della realtà, ma realtà “tout court”.

Questo ci informa allora che i rapporti sono quelli specifici non del capitale ma del capitale finanziario, secondo la nota formula della teoria del valore di Marx: D- D’. Il denaro che genera denaro. Il capitale finanziario non è una cosa concreta, ma una relazione che si costituisce nel momento in cui il plus valore si genera autonomamente e ricorsivamente senza alcun bisogno di mediazioni.

L’opera non ha più valore artistico in sé stessa, in quello che diceva e faceva da par suo, ma acquista un valore esterno, astratto, che è direttamente proporzionale alla quantità di commenti, spiegazioni, interpretazioni che è in grado di attivare. Complessità indeterminata.

Nel vuoto etico ed estetico dell’arte negata le parole girano e rigirano sul palcoscenico delle gallerie, delle mostre, delle installazioni in un gioco in cui arte, opera, artista e critico sono elementi intercambiabili, o se si preferisce equivalenti funzionali di un sistema. Oh “Casador”…!

Non tutto va in quella direzione.

Cesare Masetti va “contromano”.

Classe 1967, quattordici opere realizzate tra il 1986 e il 2010, esposte alla galleria “Il Punto” di Bologna dal 29/12/2010 al 3/2/2011, proprio in concomitanza con l’evento Arte Fiera.

Ogni quadro appare ai nostri occhi come un racconto. Un racconto dove qua e là si incontrano segni che cristallizzano il vissuto personale dell’artista ma che con forza aprono alla riflessione di un senso universale attraverso la condivisione di archetipi e rimandi simbolici. Gli animali: soprattutto tartarughe ed uccelli, le piante, gli indiani; segni personali. Ma anche la politica, quindi l’esterno, il sociale; come il profetico quadro del funerale alla bandiera rossa (1986) - tre anni prima della caduta del Muro di Berlino -, o la tartaruga che mangia la bandiera lasciando dietro di sé dei cristalli (1988) e ancora il quadro: “Pensammo una torre. Scavammo nella polvere”, celebre verso di Pietro Ingrao…

E poi, immagini oniriche, a volte felliniane. Fantastiche, fiabesche, a volte paurose (ma non inquietanti). Una barca, un mare a tratti minaccioso, un angelo vecchio che trattiene la barca con un drappo rosso…

La qualità della tecnica è notevole, il tratto, il disegno, il colore, l’attenzione ai particolari. Il nostro possiede istintivamente la capacità per esprimersi attraverso la rappresentazione per immagini (e non solo, anche attraverso piccole sculture che ritroviamo a delimitare il confine del quadro) arricchita anche dalle conoscenze apprese durante lo studio come restauratore di quadri antichi. Le opere infatti, pur rivendicando la loro appartenenza al XXI secolo rinviano ad altri tempi.

Nello spazio della rappresentazione troviamo elementi che si rincorrono, si incontrano, si incrociano e si ergono nel sistema d’ordine più ampio della ricerca artistica e dell’indagine introspettiva e sociale .

Una riuscita manifestazione di ricchezza di senso e capacità tecniche, di un Sapere assorbito – metabolizzato - verso un’essenza dell’arte orientata all’uomo. Ad ogni uomo, artista-artigiano, spettatore, artista-artigiano e spettatore delle opere e del mondo.

I quadri non sono in vendita, spesso sono firmati solo col nome e, soprattutto, su di essi tacciono le parole.

Per approfondire: masettiquadri.altervista.org

1 Con riferimento a: “[…] l’attività inconscia dello spirito consiste nell’imporre forme a un contenuto […]” C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, Net, 2002, p. 33.

2 L’Annunciazione del Beato Angelico è molto diversa da quella del Biagio d’Antonio.

3 Cfr. M. Valsecchi, Caravaggio, Milano-Firenze, Electa, 1951, p. 5.

4 Sulle trasgressioni delle avanguardie e sul gioco delle loro interpretazioni cfr. N.Heinich, Le triple jeu de l’art contemporain, Paris, Minuit, 1998.