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Categoria: Diario libertario
Creato Mercoledì, 01 Giugno 2011

L'assedio di via Savona (Milano, ottobre 2010), di Alessio Lega (n°136)

Fu proprio nel mezzo della nostra tragedia.

Era un periodo scuro, l’autunno a un anno dal matrimonio con Patrizia. In seguito a una mia esplosione di follia ci eravamo separati. Una notte mi butta fuori di casa. Piangevo un grande amore trasformatosi nel suo contrario.

Per due anni eravamo stati inseparabili. Quando raccontavo la nostra unione dicevo: “ci siamo visti una sera a cena… e da allora non abbiamo ancora preso il caffè”.

Addossati l’uno all’altro come una fortezza, come due torri di Pisa che s’incontrano nella loro pendenza e s’appoggiano. Forse anche come la famosa statua del Laocoonte, che si regge ai serpenti che lo stanno strangolando.

Prima la cristallizzazione, come dice Stendhal. La voglia di stare sempre assieme, una gioia indispensabile. Pian piano diventa una sorta di legame, di legaccio, di catena… lì se non si sa vivere assieme e liberi al contempo, si fallisce. Eravamo un passo oltre l’orlo di questo fallimento. Io ero tornato a stare nella mia casa solitaria di via Stendhal (SIC!), proprio all’incrocio con via Savona, e mi era proibito vedere il mio amore. La sera andavo in bici, corse frenetiche e scriteriate nella città irta di macchine sonnambule, per stremare la mia insonnia… con la quale pure sapevo mi sarei incontrato di lì a poco.

L’occupazione di Via Savona era invece cominciata quattro mesi prima, a giugno.

Sono stato fra i primi a entrarci e forse il primo a cantarci. Un centro sociale sotto casa fa comodo! Scendi, manifesti, solidarizzi, fai attività politica… e rientri per cena!

Ero con Patrizia alla manifestazione da cui era nata l’occupazione: lei seguiva con occhio ansioso sua figlia Laura, la pasionaria della famiglia. Nello spazio appena occupato mi son sentito a casa. Meno di una settimana e torno a cantare col Paolo Ciarchi, l’uomo che suona il mondo intero, l’anima bella di ogni musica dei ribelli da quarant’anni. Arrivo, monto le mie amplificazioni… ma il Paolo, nello stabile ancora tutto da esplorare, ha trovato un canarino implume caduto dal nido… non c’è più verso di provare: Ciarchi è lì, con questo scricciolo in una mano e un vermetto nell’altra, cercando di convincerlo a suon di fischi che lui è la mamma e che deve papparsi il verme! Comincio a suonare e dopo un po’ anche Paolo mi raggiunge… ma la sua testa è altrove. Un bel delirio.

Lo stabile è ideale: grandi spazi aperti al piano terra, stanze, stanze, stanze sopra. L’occupazione può raccogliere in sé l’esigenza della socializzazione e quella abitativa, in questo quartiere ribattezzato “città della moda” di Milano. Fra i tristissimi loft degli stilisti e i bar tutti uguali dell’happy hour, l’occupazione si apre come un fiore, come una liberazione.

Il collettivo di gestione, recuperando la vecchia insegna sul portone (ri)battezza il luogo “Bottiglieria” (occupata, of course!) e lo stappa: offre stanze ai senzatetto, spazi espositivi ai giovani artisti, corsi di teatro dal volto umano, cineforum… assisto (molto divertito) al dibattito per decidere se videoproiettare o meno la partita sulla grande parete del cortile: è periodo di Mondiali e bisogna far capire al quartiere che non siamo i marziani o i mostri sanguinari che vogliono far credere!

Gli abitanti del quartiere si divertono, i commercianti non protestano…

L’occupazione resiste fino al 10 di ottobre. Il 7 era iniziata la nostra tragedia.

Il disastro che ho combinato me lo pago con la solitudine. Mi rimugino tutto il giorno la distanza seminata fra l’impostazione libertaria che volevo per la mia coppia, e una quotidiana rabbia con cui ho assassinato la gioia.

Non si doveva lasciare tanto amore

disfarsi fra le pieghe dell’oblio

dentro i litigi, l’odio ed il rancore.

L’hai fatto tu? Si, l’ho fatto io.

Via Savona è assediata. Alle 10 del mattino, con un’azione da guerra, centinaia di poliziotti hanno preso l’intera strada. La presidiano da un capo all’altro. Chi lavora nei palazzi sulla via non può accedervi. Gli abitanti, solo dopo lunghi controlli, e ammesso che abbiano documenti che ne certifichino la residenza (un fuori sede in affitto sarebbe fottuto), vengono ammessi.

Ma sei compagni sono saliti sul tetto e resistono.

La farsa si gioca per tre giorni. Giorni in cui i commercianti bloccati perdono migliaia di euro d’incasso. Giorni in cui devo inventarmi strade fantasiose per rientrare a casa. Giorni in cui uno dei quartieri più vivaci di Milano è presidiato da un contingente così massiccio di divise da sembrare la prova generale del colpo di stato.

La pioggia e il freddo sono alle porte. Gli sbirri ci negano il diritto di portare cibo acqua e coperte ai nostri compagni. La tensione s’illividisce, come il cielo. Il presidio in piazza 24 maggio sui navigli sembra una trappola. Un cerchio di poliziotti ci chiude completamente. C’è la figlia di Patrizia coi suoi amici e nessuno mi saluta, girano la faccia e passano avanti. Un assedio nell’assedio. Il corteo parte, ma è bloccato a pochi metri dall’imbocco della via. Si sta come d’autunno.

La notte da casa comincio a scambiare qualche mail con Patrizia. La nostalgia comincia a farle visita più spesso della rabbia?

Poi, quando l’ultimo resistente scende dal tetto, mentre mette un piede a terra, da un’altra parte di Milano, nella bella zona Paolo Sarpi, c’è già un’altra occupazione.

Uff… è lontanissima da casa. In più ormai piove e fa freddo. Accompagnato con macchina e fisarmonica da Guido Baldoni il giorno dopo sono lì a cantare.

Monto l’amplificazione. La corrente ancora non c’è. Un compagno sta mettendo a posto l’impianto. Scintille. La prolunga non basta. Ci manca un metro… pochi centimetri… Guardo di fronte a me gli occupanti con gli occhi cerchiati e luminosi. Guardo chi è venuto a portare solidarietà e divani. Guardo quel pugno di ammiratori che mi segue in questi posti assurdi in cui mi piace cantare. Guardo Patrizia, che è venuta. L’assedio è spezzato. Sono di nuovo a casa.