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Categoria: Dibattiti e opinioni
Creato Venerdì, 01 Gennaio 2010

Impressioni utopistiche, luoghi immaginati e immagini di spazi, di Annalisa Righi (n°120)

Per Max Horkheimer: “l’utopia ha due aspetti: è la critica di ciò che è e la rappresentazione di ciò che dovrebbe essere. La sua importanza è raccolta essenzialmente nel primo momento”.

Secondo Maria Luisa Berneri ciò che ha da sempre spinto l’uomo ad interpretare criticamente i disagi ed i mali del suo tempo, e del suo spazio,  spingendolo a pensare un altrove in cui regnano serenità, pace, giustizia, uguaglianza, è il suo bisogno di felicità.

Sono nata a metà degli anni sessanta.  Molte le favole raccontate, reinventate e inventate prima di dormire.  Dalle finestre della mia casa si vedeva l’orizzonte e la porta era aperta a tutti a ogni ora del giorno e della notte. Respiro ancora l’aria di quel tempo: i colori, le luci, gli odori. Il profumo del tabacco… spesso dalla mia altezza scorgevo stratocumuli di fumo offuscare i contorni delle cose; il ticchettio dello sferruzzare dei ferri da maglia dai quali si concretizzavano improbabili e variopinti maglioni a righe di lane diverse;  le immancabili crescentine, pietanza atout  piacevolmente gustata e prodotta insieme. E voci,  discorsi,  discussioni: maoisti, trozkisti, libertari, leninisti… Ma soprattutto ricordo la partecipazione attiva, incondizionata  e gratuita  di ogni singolo, affinché la speranza e il progetto per un mondo migliore, dove i figli avrebbero potuto crescere  liberi dal bisogno, si potessero realizzare. … Erano gli anni di  Bob Dylan e Joan Baez, di De André - con  “La guerra di Piero” e  “Non al denaro non all’amore né al cielo”-  degli hippy, del maggio francese,  ma anche del  Vietnam, della strage di piazza Fontana,  della sinistra extraparlamentare, del tempo pieno, dei decreti delegati, di solo due canali televisivi …

Poi arrivano gli anni ottanta, gli yuppy, Reagan, il craxismo,  la “Milano da bere”…

Quell’aria che respiravo da bambina comincia a rarefarsi. Alla mia casa sempre meno approdi, non tanto per i compagni di mio padre e per  i loro progetti,  piuttosto per le mie compagnie ed i progetti della mia generazione… De Andrè cantava  “L’Indiano”. Frequento le superiori,  sono rappresentante di classe e d’istituto, si organizzano assemblee, scioperi, proteste. C’è la guerra Iran - Iraq, si gridano slogan: “Reagan, Reagan vieni a pescare con noi ci manca il verme”, ma manca qualcosa. Finita l’assemblea, finita la manifestazione, si va ognuno nelle proprie case. C’è la sensazione di un  malessere e la percezione di un meccanismo che non va per la direzione giusta. Si pensa ad  un luogo migliore verso il quale incamminarsi, ma si resta lì, tra la manifestazione, Seneca, qualche equazione e le merendine preconfezionate. I bambini di quegli anni (che sono i ventenni di oggi) vengono allevati con i fazzoletti di carta aromatizzati all’eucalipto, i  fast food,  i videogiochi della Nintendo, il tempo lungo che non è il tempo pieno…

Caduta del muro di Berlino. 

Anni ’90. Microsoft, i cellulari, la pulizia etnica, la polverizzazione dei grandi partiti.  Forza Italia, l’Ulivo, l’Unione Europea…

  
Il 2000, la new economy, gli yetties:  giovani, imprenditoriali, tecnologicamente avanzati. Contemporanei agli yetties, i Bobos  -  Bourgeois  Bohémien -   più “maturi” -  tra i 30 e i 50 anni -, meno internauti, svolgono un lavoro creativo, vestono  griffato  ma  sono ecosostenibili: girano in bici e mangiano solo biologico.

Oggi sono madre di due figli di venticinque e diciassette anni  - ai quali ho raccontato, reinventato ed inventato favole prima di dormire – che non sono né yuppies, né yetties, né bobos, forse un po’ hippies… sicuramente nei comportamenti, nei pensieri … forse.

E le utopie? Questo gioioso motore che ha da sempre mosso l’uomo a criticare l’immagine dello spazio presente a favore di uno luogo perfettamente immaginato? 

Ciò che appare allo sguardo è un processo di proliferazione di luoghi e spazi in cui virtualmente, ma anche realmente, i singoli individui possono spostarsi placando il loro “bisogno alla felicità”  attraverso  la fruizione immediata ed egoistica di molteplici piaceri. Una realtà, quindi, che rimuove le utopie, rende sterile  l’immaginazione, seda lo spirito critico rarefacendo le spinte rivoluzionarie e progressiste che da sempre hanno permesso l’individuazione di valori universali, collettivamente condivisi, verso i quali orientarsi per  favorire  la trasformazione dell’esperienza per  la realizzazione di  un mondo migliore per tutti.