Il Mediterraneo è in fiamme redazionale (n°160)
In Spagna, Italia e Grecia si aggrava la crisi economica
Sulla riva sud la crisi politica potrebbe tramutarsi in guerra civile
Ci insegnano i geografi, a cominciare dal grande scienziato anarchico Eliseo Reclus (1830-1905), che le carte geografiche non sono mai neutrali: nel rappresentare la superficie terrestre, lo si fa sempre condizionati dalla propria ideologia. E’ questo il motivo per cui attualmente, nelle mappe, l’Italia viene più spesso rappresentata insieme a Francia, Svizzera, Austria e Germania, anziché alla Spagna, all’Albania, alla Grecia e ai Paesi della riva sud del Mediterraneo, da essa così poco distanti e coi quali, dai tempi di Antonio e Cleopatra, sono intercorsi intensi rapporti.
Qualcuno potrà osservare che dai Paesi arabi ci separa, più che uno stretto braccio di mare, una diversa cultura religiosa (che in qualche modo influenza anche chi credente non è), ma se ciò può essere vero per essi, la scelta di associare simbolicamente l’Italia a Francia e Germania, anzichè a Spagna e Grecia, appare invece piuttosto arbitraria: a questi ultimi Paesi ci unisce infatti, senza soluzione di continuità, anche la storia.
Le cronache degli ultimi mesi sono state occupate dagli avvenimenti che si stanno susseguendo nella riva sud, e in particolare in Egitto. Anche Cenerentola se ne occupa, alle pagine 4 e 5, pubblicando un interessante articolo del Passatore. Non entriamo nel merito delle sue conclusioni, dettate da un (purtroppo realistico) pessimismo. Ci limitiamo a segnalare la puntualità dell’analisi, necessaria se si vuole cercare di capire di che cosa si stia parlando (il che è reso assai difficile dalla confusione provocata dai mezzi di comunicazione di massa dei Paesi appartenenti alla NATO).
Anche della Siria, situata nel Vicino Oriente, a poca distanza dalla riva est del Mediterraneo, torniamo a occuparci, brevemente, alle pagine 11 e 12: lì la guerra civile è già in atto, accompagnata da feroci stragi che non potranno non lasciarsi dietro una pesante eredità di odio.
In queste prime pagine, invece, accenneremo ai problemi della riva nord e, in particolare, alla situazione italiana, situazione che, pur avendo numerosi punti in comune con quella spagnola e, soprattutto con quella greca (che ci mostra quotidianamente dove finiremo, proseguendo di questo passo) ha veramente dell’incredibile.
Da due mesi si parla quasi esclusivamente di Berlusconi. E’ stato condannato in terzo grado: deve restare agli arresti domiciliari o essere graziato? Lo affideranno ai servizi sociali? Potrà continuare a fare il senatore o dovrà cedere a un altro il suo posto? Problemi di lana caprina, per chi non riesce a trovare lavoro, dei quali si discute (meglio: si finge di discutere) animatamente mentre il Paese va in rovina.
Come abbiamo ricordato nell’immagine di copertina, lo stato italiano deve pagare, ogni anno, circa 80 miliardi di interessi sul debito; e a questa cifra devono essere sommati altri 50 miliardi che, annualmente, ha promesso di tirar fuori per ridurre l’ammontare comples sivo del debito. In totale: 130 miliardi all’anno. Chi li pagherà?
Pagherà, come sempre, Pantalone, che però non è, come nell’immagine riportata in ultima pagina, la nota maschera veneziana ma, più in generale, chi è solito indossare gli abiti da lavoro.
Italia, Spagna, Grecia e Portogallo stanno oggi attraversando una profonda crisi economica, della quale non si vede la fine. Ciò di cui si dovrebbe, seriamente, discutere, è come uscirne. Premesso che all’origine della crisi vi sono sia il declino dell’Occidente (nei confronti del quale ben poco si può fare) sia la spaventosa corruzione caratteristica dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (nei confronti della quale si può fare moltissimo, ma è difficile farlo in tempi brevi), la prima cosa sulla quale occorre ragionare è la permanenza di tali Paesi nell’area dell’euro.
Come redazione di Cenerentola, e con riferimento all’Italia, abbiamo espresso più volte i nostri dubbi circa l’opportunità di uscirne. Siamo perfettamente consci che per il nostro Paese (e non solo per esso) un’eventuale uscita dall’euro avrebbe conseguenze economiche disastrose. Riteniamo inoltre che sarebbero gravi anche le conseguenze politiche: l’allontanamento dal baricentro dell’Unione Europea ci esporrebbe ancor più a rischi di golpe da parte di una destra che democratica non è mai stata (e che non ha nessuna intenzione di diventarlo).
Tuttavia è chiaro che, in presenza della situazione ricordata nell’immagine di copertina, permanere nell’area dell’euro potrebbe significare distruggere in pochi anni (o in pochi mesi?) l’intero tessuto produttivo italiano, cosa che, ovviamente, non possiamo permetterci.
In Italia, gran parte del sindacalismo di base ha proclamato, per il prossimo 18 ottobre, uno sciopero generale. La mobilitazione è indetta: contro le politiche di austerità del governo Letta; per l’aumento di salari e pensioni; per la riduzione dell’orario di lavoro; per i diritti sociali (reddito, casa, lavoro, salute, studio); per una legge democratica sulla rappresentanza; per pari diritti per i lavoratori migranti; contro la tassa di soggiorno e il rapporto tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Sarebbe opportuno affiancare a tali obiettivi la rinegoziazione del debito, senza la quale molti di essi rischierebbero, anche qualora fossero ottenuti, di essere vanificati.