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Categoria: Economia e finanza
Creato Lunedì, 01 Marzo 2010

Maiali a rischio, di Toni Iero (n°122)   

Da tempo, con l’acronimo Pigs (maiali, in inglese), il mondo della finanza anglosassone ha preso ad identificare quattro paesi europei, considerati poco affidabili. I quattro Stati sono Portogallo, Italia, Grecia e Spagna.

Dopo la crisi dei mutui subprime, a causa dei guai in cui si è ritrovata l’Irlanda, che ha dovuto gonfiare il debito pubblico per salvare le proprie banche, Pigs è stato declinato come Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Non contenti di ciò, i banchieri della City hanno coniato un nuovo acronimo: Piigs, dove le doppie i stanno per Italia e Irlanda.

La tempesta in cui naviga la Grecia ha rinfocolato la scarsa considerazione per queste nazioni. In effetti, la crisi ellenica  ha lasciato sconcertati molti osservatori. I conti pubblici della Grecia sono stati grossolanamente contraffatti, nascondendo, con l’aiuto della banca d’affari americana Goldman Sachs, parte del deficit di bilancio attraverso cartolarizzazioni di proventi futuri.

Ma perché accomunare la dissestata patria del Sirtaki con la dinamica Spagna, che registra da un decennio tassi di crescita superiori a quelli degli altri paesi europei e ha un rapporto debito pubblico / Pil inferiore a quello della Germania? E cosa lega questi paesi all’Italia, gravata da un enorme debito pubblico ma con una struttura industriale che ha un volume di esportazioni secondo solo a quello tedesco? E il lontano Portogallo, nazione atlantica e non mediterranea?

Un tratto comune, in realtà, esiste: sono tutte economie che, per motivi assai diversi, registrano consistenti deficit nel commercio estero. Il valore delle importazioni supera quello delle esportazioni. In passato, tale problema veniva aggirato con periodiche svalutazioni di lira, peseta, escudo e dracma. Adesso, però, l’adesione alla moneta unica europea comporta l’impossibilità di ricorrere all’arma della svalutazione per garantire la competitività delle produzioni nazionali.

Così, una volta adottato l’euro, in Portogallo e, soprattutto, in Spagna la crescita economica è stata basata sull’indebitamento privato e la speculazione immobiliare. L’Italia ha inanellato un lungo periodo di stagnazione e la Grecia, semplicemente, è ricorsa ai trucchi contabili. L’arrivo della crisi, con la conseguente necessità di interventi governativi per puntellare il sistema bancario e contrastare le tendenze recessive, ha determinato la trasformazione del debito privato in debito pubblico. A questo punto, come si dice, i nodi sono venuti al pettine. Anche la virtuosa Spagna, i cui conti pubblici potevano far invidia ai più disciplinati paesi del Nord Europa, è caduta a causa della voragine del debito privato di famiglie e imprese, i cui effetti sono tuttora esacerbati dall’incalcolabile quantità di immobili costruiti e rimasti invenduti.

Ad onor del vero, tra questi paesi,  l’Italia è  quello  meno preso di mira dalla speculazione. I motivi di questa benevolenza sono un sistema bancario poco esposto ai micidiali titoli tossici americani e il basso livello di indebitamento delle famiglie. A ciò occorre aggiungere l’estrema cautela con cui il governo, nello specifico il ministro Tremonti, è intervenuto per sostenere le attività economiche. Come spesso accade, gli operatori finanziari non si preoccupano dell’aumento dei disoccupati, gli basta sia garantito il rimborso dei titoli di Stato che hanno sottoscritto.

Gli effetti del paventato collasso ellenico si sono manifestati sulla moneta unica europea, che ha perso terreno nei confronti del dollaro. Il timore è che Grecia, Spagna e Portogallo, per poter avere una moneta da svalutare, abbandonino l’Unione Monetaria Europea, innescando un processo di disgregazione di questa area valutaria. D’altra parte, non si vede come questi paesi possano far fronte alla grave situazione in cui versano. Dovrebbero, se vogliono rimanere nell’Ume, ridurre drasticamente i loro consumi, abbattendo il potere d’acquisto dei salari per rendere competitivi i loro prodotti. È quanto si sta facendo in Irlanda, dove si sono addirittura tagliati i valori nominali degli stipendi. Una politica di lacrime e sangue. Non stupisce la furibonda reazione popolare contro l’ipotesi di penalizzare ulteriormente i lavoratori, già colpiti dalla disoccupazione e da decenni di erosione salariale.

È un dato di fatto che gli squilibri all’interno dell’Unione Monetaria sono molto accentuati. I paesi forti, come Germania e Olanda, hanno tratto notevoli benefici dalla creazione dell’euro, che ha permesso loro di aumentare le esportazioni verso gli altri aderenti. In queste settimane si discute se salvare o meno la Grecia. È una questione complessa. In sostanza, la Germania dovrebbe garantire i titoli greci o, al limite, acquistarli direttamente. L’opinione pubblica tedesca è largamente contraria al salvataggio della Grecia. D’altra parte, se non si eliminano gli squilibri che hanno determinato il problema sarà solo questione di tempo e, prima o poi, il problema si ripresenterà. È ormai evidente la finzione di una comunità unita soltanto da una moneta e da una banca centrale, in un contesto di inarrestabile declino del peso economico e politico degli Stati dell’Europa. Ma non si vede all’orizzonte nessuno statista dalla statura tale da rilanciare sul progetto di integrazione politica del vecchio continente. Il teatrino di Bruxelles impallidisce di fronte alla tragedia greca.

Le prospettive di medio termine per il nostro paese non sono troppo dissimili da quelle del vicino mediterraneo. La crisi sta determinando il collasso di molte imprese italiane, spesso orientate all’esportazione. I soli mercati in grado di assorbire consistenti flussi di merci sarebbero quelli asiatici. Ma, Cina in testa, tali paesi continuano a perseguire una aggressiva politica di esportazione dei propri prodotti. Per garantirsi la permanenza in un’area valutaria contraddistinta da una moneta forte, sarebbe necessario convertire la nostra struttura industriale verso produzioni ad alto valore. Servirebbero quindi un forte investimento nel sistema formativo, oculati finanziamenti alla ricerca, valorizzazione del merito nelle università e nel mondo del lavoro, sostegno alle imprese che operano nei settori innovativi (energie rinnovabili, biotecnologie, elettronica). Il Bel Paese risponde a queste sfide con lo squallido quadro di un governo in balìa delle emergenze giudiziarie del suo capo, un sistema pubblico corrotto e clientelare (l’ultimo tassello riguarda lo scandalo della Protezione Civile), una scuola pubblica in via di smantellamento e i veti religiosi sulla ricerca scientifica.

Vista la rinuncia ad affrontare razionalmente i problemi, agli italiani non rimane altro che contare su un miracolo!