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Categoria: Economia e finanza
Creato Domenica, 01 Giugno 2014

L’Unione Europea: gli Stati contro i loro popoli di Toni Iero (n°169)

Scritta: Il lusso è provocazioneLa polemica sull’Unione Europea ha infiammato gli animi a partire dallo scoppio della crisi dei debiti sovrani dei Paesi periferici dell’area euro. In occasione dell’appuntamento elettorale del 25 maggio, tale polemica ha trovato ulteriore alimento nelle campagne elettorali dei vari partiti, che spesso vengono caratterizzati sulla base del semplicistico schema: pro o contro l’Europa.

Nel momento in cui starete leggendo questo articolo gli esiti elettorali saranno già stati ampiamente dibattuti. Vale la pena, quindi, di mettere in fila qualche riflessione più di fondo su questa Europa.

 Non è qui la sede opportuna per ripercorrere puntualmente la storia della collaborazione tra i principali Stati dell’Europa occidentale nei decenni successivi la fine della seconda guerra mondiale. Né può essere analizzato il progressivo ampliamento della compagine europea a quelle nazioni dell’Europa orientale liberatesi dalla tutela russa dopo il collasso dell’Unione Sovietica.

Tuttavia non vi è dubbio che, specialmente nei primi decenni del secondo dopoguerra, soprattutto per le giovani generazioni, l’ideale di una fratellanza tra i popoli europei aveva una certa presa. Pesavano in ciò diversi fattori. Con riferimento all’Italia, per esempio: dall’ammirazione di stili di vita di società più avanzate anche dal punto di vista della libertà di comportamento (si pensi al mito del libero amore svedese), alle aspettative di una crescita economica che avrebbe migliorato le condizioni di vita della popolazione, fino all’obiettivo di eliminare definitivamente il rischio di nuovi conflitti nel vecchio continente (il ricordo della catastrofica guerra mondiale era allora abbastanza vivo).

Insomma, la prospettiva europea trasmetteva valori positivi ed era coltivata soprattutto negli ambienti più progressisti del nostro Paese: la destra era nazionalista, i cattolici avevano paura della laicità della cultura dell’Europa nordica e i “comunisti” del Pci consideravano l’Europa un progetto in chiave antisovietica.

Purtroppo, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, l’idea europea ha subito un radicale stravolgimento. Invece di procedere verso la definizione di un sistema che garantisse una effettiva cittadinanza europea, gli Stati aderenti all’allora Comunità Economica Europea hanno indirizzato da tutt’altra parte il percorso di convergenza.

Si sarebbe potuto cominciare a lavorare per offrire ai cittadini il meglio delle normative esistenti all’interno delle varie nazioni europee. Si sarebbe potuto pensare ad armonizzare, anche con un percorso progressivo, le diverse legislazioni sul lavoro, avendo come obiettivo finale il contratto di lavoro unico europeo. Oppure definire livelli minimi continentali di assistenza sanitaria. Far convergere i sistemi di istruzione per ampliare la base comune culturale dei cittadini europei. Rendere omogenei i servizi pubblici offerti dalle amministrazioni degli Stati aderenti. Insomma, vi sarebbero stati numerosi campi in cui operare non solo per creare una maggiore uniformità all’interno della comunità continentale, ma anche per delineare, consapevoli dei tempi necessari, una concreta e vitale identità europea.

Purtroppo, ben poco è stato fatto in tale ambito, poiché, fin dalla metà degli anni ’70, del progetto europeo si sono appropriate le forze legate ai potentati economici e finanziari.

Questo spiega bene perché l’intera costruzione europea sia stata dirottata verso un obiettivo avulso dalle esigenze dei cittadini: la moneta unica europea. Si è cominciato in sordina attraverso il Sistema Monetario Europeo (1979), un accordo di cambio che prevedeva per le valute aderenti un cambio fluttuante solo all’interno di una prefissata banda di oscillazione. Tale banda di oscillazione è stata resa più rigida nel 1987 (Sme credibile), per poi arrivare alla fine del percorso con l’euro, resosi fisicamente disponibile dal gennaio del 2002. In tutti questi passaggi, una densa cortina propagandistica è stata eretta per occultare il vero obiettivo perseguito con la creazione dell’euro. Ci hanno raccontato come la moneta sarebbe stata un potente fattore di identificazione tra gli europei. Con una certa fantasia, hanno fatto i calcoli per dimostrare che un turista, che avesse girato per tutti gli Stati dell’Unione, avrebbe risparmiato un sacco di soldi evitando di dover cambiare tutte le monete nazionali. Ci hanno assicurato che l’euro ci avrebbe protetto contro qualsiasi crisi proveniente dal resto del mondo. Non sono mancate anche bizzarre spiegazioni geo-economiche in base alle quali solo una moneta unica europea avrebbe consentito al vecchio continente di rivaleggiare contro colossi come Usa e Cina. Insomma, il potere ha dispiegato il suo intero arsenale di informazione mistificatoria per convincere i cittadini europei dell’inevitabilità e della desiderabilità dell’euro.

Il vero motivo alla base della scelta di arrivare all’euro non lo hanno mai esplicitato: abbattere il rischio di cambio. Che non è quello del turista che trascorre quattro giorni a Parigi, bensì quello che corrono grandi gruppi economici e finanziari quando investono in attività denominate in valute diverse da quella in cui redigono il loro bilancio. È l’euro che rende più leggeri i sonni del banchiere francese che acquista un Btp italiano e, grazie alla moneta unica europea, non deve più temere di ritrovarsi con delle lire svalutate (o, che è lo stesso, con un franco francese apprezzato).

Purtroppo, ed è il dato di cui ben poco si discute, la creazione di una valuta unica è il risultato di un progetto di restaurazione del potere capitalistico su un’Europa che, ancora negli anni ’70, vedeva una notevole conflittualità di classe, alla base, peraltro, del miglioramento delle condizioni dei lavoratori registrato in quegli anni. Se si interpretano gli avvenimenti di questi ultimi quattro decenni alla luce di queste considerazioni, non è poi troppo sorprendente constatare come, anche a causa degli effetti dell’introduzione dell’euro, le condizioni di vita dei ceti più deboli siano peggiorate in tutto il continente. Anche nella ricca Germania.

Di questo stravolgimento del progetto europeo pochi sembrano volerne prendere atto. È sorprendente come proprio gli eredi del federalismo europeo siano, molto spesso, incapaci di rendersi conto di essere stati buggerati dai signori della finanza. E continuino a scambiare il continuo attacco alle condizioni di vita dei lavoratori europei (austerità, Fiscal Compact e suoi corollari) con uno strumento per perseguire una discutibile unità del continente.

Su un altro fronte, vengono commessi analoghi errori. Propugnare l’uscita dell’Italia dall’euro come soluzione definitiva significa non aver capito la natura sociale dello scontro in atto. Che solo in parte è tra interessi nazionali contrapposti. Poiché il nocciolo della questione sta, ancora una volta, nel conflitto tra ricchi (in via di ulteriore arricchimento) e poveri (in via di ulteriore impoverimento). I conti con le nostre classi dirigenti vanno fatti anche tenendo conto di quest’ultimo importante aspetto. Ed è preoccupante, anche se lo avevamo ben previsto, che a titolarsi come antagonisti dell’euro-austerità siano molto spesso forze politiche di estrema destra. Il nemico non è l’euro, ma coloro che ce lo hanno imposto.