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Categoria: Economia e finanza
Creato Sabato, 23 Marzo 2019

euroIl governo italiano, l’euro e la sinistra sovranista, di Toni Iero (n°221)

Il governo Conte, salvatosi grazie ai gilet gialli francesi dalla procedura per deficit eccessivo (si veda il numero di Cenerentola di gennaio), si trova alle prese con diverse questioni in grado di condizionarne l’operatività.

I due partner di governo (la Lega e il M5S) sono ben consapevoli che, almeno in questo momento, non possono che stare insieme. Ma è ben noto come esistano notevoli divergenze su numerose questioni, nonostante la inconsistenza politica del M5S si traduca spesso in posizioni deboli o contraddittorie anche all’interno dello stesso movimento.

Ricordiamo, a titolo di esempio: il tentativo di processare il ministro Salvini a causa della vicenda della nave Diciotti, su cui il M5S oscilla tra la paura di far cadere il governo e la coerenza con le proprie posizioni “ideologiche”; la diatriba sulla TAV, dove si scontrano le posizioni di Lega (favorevole all’opera) e M5S (contrario); la questione dell’operatività delle trivelle per l’estrazione di idrocarburi, con la Lega che preme per dare il via libera al prelievo e il M5S che frena. Vi sono inoltre altri aspetti che dividono i due alleati di governo anche in termini di sensibilità politica, si pensi alla questione degli immigrati, alla legalizzazione della marijuana, etc.

Anche sul piano economico, nonostante l’accordo trovato sulla legge di stabilità per il 2019, vi sono impostazioni ben diverse tra i due partiti: è ben risaputo come buona parte dell’elettorato leghista del Nord sia contrario al reddito di cittadinanza, che invece è il cavallo di battaglia che ha permesso al M5S di raccogliere una valanga di voti al Sud. Al contrario, la Lega scalpita per procedere con opere gradite alle imprese, ad esempio il gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline), laddove il M5S aveva a lungo cavalcato (anche per tornaconto elettorale) istanze contrarie alla realizzazione di tale manufatto.

Problemi possono sorgere anche sul terreno internazionale, si veda il caso Venezuela, dove la posizione di Di Battista (che continua ad avere notevole peso all’interno del M5S) ha impedito al governo italiano di schierarsi con i tradizionali alleati (USA ed Unione europea) a favore di Juan Guaidò, autoproclamatosi presidente in contrapposizione al “chavista” Maduro. Su questo tema, invece, la Lega si sta agitando affinché l’Italia si allinei con la posizione del presidente degli Stati Uniti.

Complicazioni ulteriori giungono anche dal fronte economico. Il rallentamento della crescita rilevato a livello mondiale ed europeo si è trasformato in recessione per il nostro Paese. Solo l’ignoranza (o l’arroganza) possono far pensare che, in un quadro recessivo, le dispendiose misure approvate dal governo Conte (in particolare la cosiddetta quota 100 per le pensioni e il reddito di cittadinanza) possano sostenere la congiuntura nazionale. In realtà, l’aver impegnato altro denaro pubblico ridurrà ulteriormente  le  risorse  a  disposizione dello Stato da destinare allo stimolo del sistema produttivo.

Le conseguenze di questa inettitudine si riverseranno tanto sul quadro occupazionale,   quanto  sulla finanza pubblica. Dovrebbe essere ormai noto che nelle fasi recessive aumentano alcune spese pubbliche “automatiche” (a favore dei disoccupati, per esempio) mentre, nello stesso tempo, si riducono le entrate fiscali, in linea con la contrazione delle vendite e dei redditi. Quindi, sono momenti in cui il debito pubblico tende ad aumentare più velocemente. A questo aggiungiamo che anche il prodotto interno lordo rallenta (addirittura, nei casi più gravi diminuisce). Non è difficile intuire cosa possa accadere al rapporto tra debito pubblico e PIL, con un numeratore in veloce crescita e un denominatore in frenata.

Per adesso, la Commissione Europea tace. Infatti, in coincidenza con le elezioni europee, le autorità di Bruxelles hanno sospeso i giudizi sulla situazione economica degli Stati membri. Ma, a partire da giugno, si ricomincerà. Poiché molto difficilmente i “sovranisti” riusciranno a dominare la nuova Commissione (e anche se ciò accadesse non vi è garanzia di un atteggiamento conciliante verso l’Italia), sarà sempre meno facile per il governo Conte riuscire a passare indenne i prossimi esami europei.

Ma, oltre ai vincoli posti dalla Unione Europea, problemi potrebbero sorgere dai mercati finanziari. Un aumento del peso del debito pubblico sul PIL associato a conti dello Stato fuori controllo scoraggerebbe l’acquisto dei titoli pubblici italiani da parte di istituti finanziari e risparmiatori. Tale atteggiamento, connesso alla scomparsa dell’ombrello del quantitative easing della Banca Centrale Europea (conclusosi alla fine del 2018), lascia emergere il pericolo del mancato rifinanziamento delle spese pubbliche. Senza voler arrivare a tale estremo, un aumento dei tassi di interesse che lo Stato italiano deve corrispondere agli investitori per invogliarli a comprare i propri titoli comporterebbe un aumento della spesa per interessi e quindi minori risorse da dedicare a cittadini e imprese.

Vi è poi la questione del rating. Le tre principali agenzie mondiali (Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch) assegnano al debito pubblico italiano un giudizio BBB (Moody’s utilizza il simbolo Baa2, equivalente a BBB). Si tratta di valori medio bassi, poco oltre la soglia di investment grade (soglia sotto la quale gli emittenti di debito sono considerati inaffidabili, con accentuato rischio di insolvenza). Un’eventuale retrocessione comporterebbe il rischio di far cadere lo Stato italiano nella categoria dei debitori inaffidabili. Ne deriverebbero numerosi problemi, uno di questi sarebbe che si comprometterebbe la possibilità per le banche italiane di accedere ai prestiti della BCE, con conseguenze piuttosto gravi dal punto di vista della capacità di finanziare il sistema economico. Ricordiamo che per la maggior parte delle imprese italiane il ricorso al prestito bancario è indispensabile per la propria operatività ordinaria.

Ho cercato di descrivere in estrema sintesi e molto superficialmente alcuni tra i principali vincoli che il sistema finanziario pone al funzionamento della finanza pubblica. Certamente, si tratta di limiti molto stretti e di dubbio sapore democratico. Tuttavia, è necessario conoscerli per avere un’idea di quali ripercussioni potrebbero determinarsi in risposta a determinate scelte politiche.

Vi sono numerose persone che, anche a sinistra (per lo più in quella di orientamento marxista), ritengono che l’uscita dell’Italia dall’euro possa risolvere, come per magia, quasi tutti i problemi che ci assillano, dando sollievo soprattutto alle fasce di popolazione più colpite dalla crisi. In tale contesto, questi ambienti della sinistra estrema non disdegnano di manifestare qualche simpatia per esecutivi, come quello italiano, che si presentano con velleità “sovraniste”. È incredibile constatare come le stesse forze politiche (a volte le stesse persone) che ci hanno traghettato dentro l’area della moneta unica europea (il governo Prodi che nel 1996 cominciò la rincorsa per “portare l’Italia in Europa” era sostenuto anche da Rifondazione Comunista) adesso, dopo 23 anni, ci vengano a raccontare che l’euro è uno strumento dei nemici del popolo! In questo sconcertante cambiamento di posizione si intravede il tentativo di inseguire gli umori popolari, che adesso volgono contro la moneta unica europea. Temo si tratti dell’ennesima cantonata di forze che, avendo a lungo danneggiato i lavoratori accettando politiche di stampo liberista, credono di ricostruirsi una verginità politica inseguendo gli umori di un popolo ormai esacerbato e timoroso del futuro. 

A parte altre considerazioni sull’opportunità di abbandonare l’euro, credo tale rincorsa sia destinata a fallire: la maggior parte delle persone sa benissimo che l’euro e, più in generale, il processo di globalizzazione è stato spesso gestito dalla sinistra. L’area dei noeuro è saldamente presidiata dalla destra e difficilmente si riuscirà a scalfirne l’egemonia. Confusione ideologica, velleità leniniste e l’ormai insostenibile aspirazione a rioccupare qualche poltrona parlamentare rischiano però solo di confondere le idee e di aggiungere danno al danno.

 

 

 

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