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Categoria: Economia e finanza
Creato Lunedì, 05 Maggio 2003

Economia e finanza alla corte della regina, di Toni Iero (n°15)

Dal settembre del 2001 è avvenuto un fatto imprevisto: dopo oltre un decennio, la politica ha ripreso il sopravvento sull’economia. Le prime pagine dei giornali non sono più dedicate all’andamento degli indici di borsa, ai take-over tra imprese o ai parametri di Maastricht ma, purtroppo, a guerre, attentati, problemi militari. Che l’ economia (e la finanza) siano passate in secondo piano rispetto alle dinamiche geopolitiche lo si intuisce anche frequentando economisti e finanzieri: ieri sacerdoti dalle cui labbra pendevano tutti, oggi spettatori di eventi di cui possono solo subire le conseguenze.

Nonostante ciò, può essere utile un veloce sguardo d’ insieme alle principali tendenze che si stanno manifestando nelle macro-aree economiche. L’economia è un motore che non cessa mai di girare, anche quando l’attenzione è rivolta altrove.

Il preminente fenomeno in atto, visibile anche al grande pubblico, è il processo di deprezzamento del dollaro. La moneta Usa sta perdendo valore nei confronti delle altre maggiori valute mondiali, euro in testa. Vi sono diversi fattori che spiegano questa progressiva svalutazione. In primo luogo giocano gli effetti dei gravi squilibri economici degli Stati Uniti: la voragine della bilancia commerciale americana, con un deficit annuo in procinto di superare il 5% del prodotto interno lordo, basterebbe da sola a determinare un significativo ridimensionamento del valore del dollaro. Tuttavia il pesante passivo Usa negli scambi con l’estero data ormai da molto tempo. Perché solo adesso la moneta Usa si sta deprezzando? Qual è la novità che ha messo in moto questo processo? Il fatto "nuovo" è che le lobby che comandano oggi a Washington, di cui Bush è il rappresentante, sono quelle dei petrolieri, dei fabbricanti di armi, delle industrie chimiche e farmaceutiche. Sono corporation che hanno da guadagnare da una svalutazione del dollaro, perché questa renderà le merci da loro prodotte più competitive nei confronti dei concorrenti europei e giapponesi.

In aggiunta a questi fattori ve ne è uno di natura più "politica". La rotta di collisione tra gli Usa e parte dei loro tradizionali alleati nel mondo arabo, Arabia Saudita in primis, sta determinando delle reazioni da parte degli investitori medio orientali. Da molti mesi, questi finanzieri hanno cominciato a liquidare le loro cospicue posizioni in dollari. Questo sia per quanto riguarda gli investimenti finanziari (soprattutto azioni), sia per quanto attiene agli investimenti reali. Per fare un esempio, poche settimane fa Yamani, figlio dell’ex ministro saudita del petrolio negli anni ’70 e responsabile di un importante gruppo finanziario, ha dichiarato in un’ intervista che intende ritirare capitali immobilizzati negli Usa per investirli nella Repubblica di S.Marino, trasformandola nella Montecarlo italiana.

I riflessi immediati di questi sommovimenti non si faranno attendere. L’Unione Europea, che già vive una situazione asfittica dal punto di vista congiunturale, si troverà ad essere ulteriormente penalizzata dalla rivalutazione dell’euro nei confronti della moneta americana. Infatti, si ridurranno le esportazioni verso gli Stati Uniti e verso tutti quei paesi che fanno parte dell’area del dollaro. Le conseguenze si stanno già vedendo: la Germania rischia di entrare in una fase recessiva, con produzione industriale e occupazione in declino. Nei primi mesi del 2003 l’Italia, dopo molti anni, ha registrato un saldo negativo della sua bilancia commerciale con l’estero. Addirittura, per cercare di ridare un po’ di fiato a questo insieme di economie spompate, l’Unione Europea sta pensando di allentare la stretta dei vincoli sui bilanci pubblici (i famosi parametri di Maastricht). Al contrario, è probabile che i mercati finanziari europei (e la loro moneta, l’euro) traggano beneficio da questi mutati atteggiamenti degli investitori internazionali. Insomma il futuro, almeno quello prossimo, sembra che sarà dominato da una sorta di "sindrome giapponese indebolita": basso sviluppo e bassi tassi di interesse.

Il grande malato, il Giappone, appare ormai fuori gioco, con una dinamica economica piatta, senza grandi possibilità di ripresa nell’immediato futuro.

Le uniche aree mondiali che mostrano tassi di sviluppo interessanti sono le economie asiatiche, trainate dai due motori propulsivi di quel continente, Cina e India. Però, co-me se le cose non fossero già abbastanza complicate, ecco arrivare prima la tensione internazionale provocata dalla riattivazione delle centrali nucleari Nord Coreane, poi una nuova malattia, la polmonite atipica (Sars), che rischia di determinare un importante rallentamento nella crescita di questi paesi.

La possibile riduzione del prezzo del petrolio, conseguente alla ripresa della produzione irachena, non sembra né certa, né in grado, se dovesse manifestarsi, di portare ad una significativa svolta nel quadro congiunturale mondiale.

Il vero scontro oggi si gioca a livello monetario. Gli Usa hanno la necessità di svalutare il dollaro ma, nello stesso tempo, hanno bisogno che la loro moneta continui a rimanere la valuta utilizzata negli scambi internazionali. Sono due esigenze tra loro in buona parte contraddittorie. Per quasi tre decenni sono riusciti a far quadrare il cerchio. Ma in passato non c’era l’euro, una moneta che ha tutte le caratteristiche per sostituire il dollaro nelle riserve valutarie mondiali. Qualcuno se ne è già accorto … Uno degli obiettivi della guerra in Irak non è forse controllare il petrolio iracheno, anche per evitare che continui ad essere pagato in euro, come aveva stabilito Saddam quasi due anni fa? Infatti, uno dei messaggi che l’U.S. Army ha mandato al mondo è: il petrolio è nostro e si quota in dollari, se lo ricordino tutti, Iran in testa!

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