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Categoria: Economia e finanza
Creato Lunedì, 07 Marzo 2005

Italia, qui si mette male, di Toni Iero (n°53)

Più volte, negli ultimi tempi, mi è capitato di rilevare la cattiva situazione in cui versa l’economia italiana. Come in un prevedibile film, l’inconsistenza e l’inettitudine del governo di centro destra sta portando alla deriva l’intero apparato produttivo di una delle principali economie mondiali.

Ma se fino a poco tempo fa il possibile collasso dell’economia italiana poteva essere una visione di fanta economia, oggi cominciano a delinearsi numerosi sintomi che lasciano intendere come la corsa verso il baratro sia, purtroppo, cominciata.

Nell’anno da poco concluso, il 2004, si sono accese due spie di allarme, di cui poco si parla.

Il primo dato, definito dal ministro dell’Economia Siniscalco "una sorpresa", è che il prodotto interno lordo italiano del quarto trimestre è diminuito rispetto a quello del terzo (-0,3%). Tecnicamente si dice che un paese è in recessione quando la diminuzione del PIL si protrae per almeno tre trimestri. L’Italia non è quindi in recessione. Tuttavia il segnale che emerge dalle statistiche dell’ISTAT è piuttosto inquietante.

Il secondo elemento di preoccupazione è rappresentato dal fatto che, per la prima volta dopo 12 anni, la bilancia commerciale italiana si sia chiusa in deficit. Ora, in un anno come il 2004, in cui il prodotto interno lordo italiano è cresciuto poco, ci si sarebbe aspettati un calo delle importazioni dall’estero. Viceversa, la maggiore crescita dell’economie dei nostri partner commerciali avrebbe dovuto comportare una crescita delle nostre esportazioni. Ebbene è avvenuto esattamente il contrario. E l’apprezzamento dell’euro non è sufficiente per spiegare questo fenomeno, dato che il peggioramento del commercio estero italiano ha riguardato anche l’interscambio con paesi europei che hanno la nostra stessa moneta.

La conclusione che si può trarre da questi due avvenimenti è quella di un crollo della competitività dei prodotti italiani, sia sui mercati internazionali, sia su quelli interni. Il nostro paese è penalizzato dall’avere una struttura industriale ancora legata a prodotti a bassa valenza tecnologica. I mercati più dinamici (elettronica, bio tecnologie, telematica, comunicazioni) vedono una scarsa presenza di imprese italiane. Un dato, spesso citato, rappresenta un esempio della situazione: l’Italia è un paese in cui tutti hanno e usano il telefono cellulare, ma in Italia non se ne fabbrica neanche uno!

Sulle cause del declino si discute ormai da tempo. Si tratta di ritardi strutturali sui quali ben poco è stato fatto in passato: scarsa ricerca scientifica, bassi investimenti nella scuola (l’Italia è una delle nazioni europee con la minor percentuale di laureati sulla popolazione), una diffusa superstizione religiosa, corruzione e clientelismo diffuso in ambito universitario, una struttura politica e amministrativa fortemente centralizzata. La lista potrebbe proseguire ma sarebbe inutile, ognuno di noi conosce bene le condizioni in cui quotidianamente deve lavorare o studiare.

Ci vorrà tempo (e volontà) per riuscire a intervenire sui principali fattori che penalizzano il sistema produttivo.

Un uomo solo al comando

Cosa fa il governo? Sostanzialmente del suo peggio. Una caratteristica dell’attuale esecutivo, comune comunque a quasi tutti i governi italiani, è l’estrema eterogeneità delle forze che lo compongono.

All’interno di Forza Italia, il partito di maggioranza, convivono allegramente ex democristiani, ex socialisti, ex comunisti, funzionari aziendali e politici di lungo corso. Vi sono poi partiti statalisti e centralizzatori come Alleanza Nazionale e altri pseudo secessionisti (la Lega Nord). Troviamo liberali e repubblicani schierati insieme a cattolici integralisti. Insomma, più che una coalizione sembra l’Arca di Noè. In questa frammentazione il Primo Ministro è il vero punto di equilibrio del Polo delle Libertà, anche grazie al suo indiscutibile potere economico.

Gli effetti a volte sono anche comici. Nei giorni scorsi, alla luce della gravità dello stato dell’economia, ministri ed esperti, tra convegni e riunioni, discutevano con apprensione quali provvedimenti prendere, se e quando fare una manovra economica (nel loro gergo significa rastrellare denaro dai cittadini). Lui invece, con uno dei suoi migliori sorrisi, se ne è uscito dichiarando che anche nella prossima finanziaria bisogna abbassare le tasse! (forse anche perché del primo taglio delle tasse se ne sono accorti proprio in pochi). Più gli osservatori internazionali e gli istituti di previsione economica (nonché molti dei suoi alleati) dicono che la situazione è grave, più lui ribadisce che tutto va bene e che non bisogna prestare fede agli uccelli di malaugurio. Chissà, forse è il carattere degli Italiani, eterni bambinoni, che fa sì che ci piaccia chi ci racconta le più incredibili favole … Solo che la realtà è come un Apache che ci aspetta all’unica sorgente in cui dobbiamo andare a bere.

Dal sogno all’incubo

Proviamo a descrivere, per somme linee, cosa potrebbe succedere se si continuerà a raccontare in televisione che viviamo nel migliore dei mondi e non si prenderanno adeguati provvedimenti.

Non c’è dubbio che il degrado della struttura produttiva nazionale non potrà che proseguire. Poiché l’euro continuerà a rimanere una moneta forte, l’Italia perderà ulteriori quote nei mercati internazionali. La conseguenza, oltre al deficit nella bilancia dei pagamenti, che dovremmo trovare il modo di finanziare (come? Vendiamo il Colosseo?), sarà che il livello delle attività economiche si abbasserà progressivamente, provocando un aumento della disoccupazione e, in definitiva, della povertà. Come effetto secondario, minor prodotto interno significa anche minori introiti per lo Stato, quindi aumento del deficit e del debito. Se, in questo pittoresco quadro, aggiungiamo che, prima o poi, le economie degli altri paesi dell’Unione Europea (Francia, Germania, Spagna) entreranno pienamente in una fase di ripresa e determineranno un rialzo dei tassi di interesse, allora saremo giunti vicino al fondo. Tassi più alti implicano maggiori risorse per pagare gli interessi sul debito pubblico (niente più soldi per sanità, pensioni, scuola, …), ma l’aumento dei tassi significherà anche che si ridurranno i già scarsi investimenti produttivi. Per non parlare dell’effetto congiunto, sulle famiglie che hanno contratto un mutuo, tra aumento degli interessi da pagare e abbassamento o perdita dello stipendio. L’Italia potrebbe trovarsi a dover graziosamente scegliere tra diventare una colonia economica di Francia e Germania o uscire precipitosamente dall’area euro, perché il suo sistema economico non sarà più in grado di operare con una moneta forte. Non sarà che il nostro Grande Comunicatore sta già pensando di candidarsi per diventare il governatore del 51° stato degli USA?