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Categoria principale: Esteri Categoria: Europa
Creato Lunedì, 20 Giugno 2005

Le imprese italiane in Romania, di Luciano Nicolini (n°60)

Lunedì 30 maggio si è tenuto a Modena, presso il Laboratorio di etnologia dell’Università, l’ultimo incontro del seminario su “Dipendenza, lavoro e diritti”. Relatrice, Veronica Redini, che da sei anni porta avanti una ricerca antropologica sulle aziende italiane in Romania. Il suo lavoro prende le mosse dal fenomeno della “delocalizzazione” delle industrie, vale a dire del loro trasferimento in aree geografiche dove è minore il costo della manodopera. Non si tratta di qualcosa di nuovo: la delocalizzazione è praticata ormai da decenni dalle grandi industrie. La novità consiste nel suo utilizzo su vasta scala da parte di una grande quantità di piccole e medie imprese.

La delocalizzazione – sostiene la Redini – genera dipendenza. A Timisoara, in Romania, ad esempio, ci sono attualmente ottomila imprese italiane. Si tratta quasi sempre di aziende del nord-est, classificabili nei settori dell’abbigliamento, tessile e calzaturiero. All’interno dei loro stabilimenti si insegna la lingua dei padroni: l’italiano. E un Italiano è anche il console in Romania.

Il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Unione Europea prestano denaro alle nazioni nelle quali è in corso la “transizione” al capitalismo privato (che la ricercatrice, correttamente, preferisce chiamare “trasformazione”), ma solo a patto che facciano ciò che le porta a diventare dipendenti dalle nazioni più ricche. Il Fondo Monetario Internazionale è intervenuto, in Romania, soprattutto per riciclare la dirigenza del vecchio regime; la Banca Mondiale per privatizzare le industrie statali (in buona parte acquistate da Italiani); l’Unione Europea per far scomparire le cooperative agricole.

Il Romeno è trattato come una persona di serie B: “romenate” sono chiamate le sue creazioni, “romenizzato” è quanto di peggio si possa dire di un Italiano che si è adeguato alle abitudini locali. Il buon Italiano, invece, è quello che mantiene le distanze dalla popolazione locale, accorciandole, eventualmente, quando si dedica alle molestie sessuali nei luoghi di lavoro.

La divisione, del resto, in fabbrica, è netta: gli Italiani vengono assunti come dirigenti o come amministrativi, i Rumeni esclusivamente come operai. E devono fare buon viso a cattivo gioco, perchè molte industrie si stanno spostando verso la Moldavia e l’Ucraina, dove il costo del lavoro è ancora più basso.

 

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