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Categoria: Medioriente
Creato Lunedì, 06 Febbraio 2006

I tre paradossi islamici, di Toni Iero (n°73)

La recente vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi è certamente un evento preoccupante. Il successo di questa formazione integralista religiosa indica quanto grande sia ancora la distanza che separa i due popoli (Israeliani e Palestinesi) dalla definizione di un comune percorso di pace. A titolo di esempio ricordiamo che una formazione politica israeliana che si batte in forma non violenta contro la costruzione del muro che dovrebbe separare le due comunità, come Anarchist against the Wall, non è mai riuscita a collaborare con le comunità palestinesi dove maggiore è la presenza degli integralisti islamici.

Il primo paradosso che emerge da questa situazione è quello contro cui si scontrano i sostenitori della soluzione democratica nei paesi musulmani: in libere elezioni, la popolazione vota i candidati legati a partiti islamici dalle caratteristiche ben poco democratiche.

È qui forse anche troppo facile rispolverare quanto da oltre un secolo vanno affermando gli anarchici e il movimento libertario: le elezioni sono uno strumento insostituibile della democrazia, la loro efficacia è però vincolata alla diffusione tra la popolazione di una coscienza democratica, che si acquisisce solo attraverso l’esercizio e la partecipazione alla cosa pubblica.

È ben difficile che tale coscienza nasca e si sviluppi in paesi retti da dittature e da regimi corrotti.

Un secondo paradosso potrebbe emergere sul terreno dello scontro tra Israele e i Palestinesi. Non è escluso che, dal punto di vista della situazione militare in Palestina, la vittoria degli islamisti possa portare chiarezza all’interno del variegato e contraddittorio mondo palestinese. La vecchia dirigenza legata al movimento di Arafat ha mostrato chiaramente di non essere in grado di scegliere tra pace e guerra, anche per il semplice fatto che non ha il controllo militare dei territori assegnati all’Autorità Palestinese. Inoltre, per quanto riguarda Hamas, un conto è lanciare proclami inneggianti allo scontro totale con Israele da una condizione di sostanziale irresponsabilità, un conto è farlo come un governo che ha a disposizione una polizia e una forza di sicurezza armata. È addirittura possibile che questa nuova situazione possa portare ad una riduzione degli attacchi terroristici contro Israele.

Il terzo paradosso ci riguarda più direttamente. Nasce dalla constatazione del fatto che una discreta fetta dei Palestinesi ha mostrato di identificare la speranza in un miglioramento della propria condizione con la strategia portata avanti da una formazione clericale. Non ci si vuole certamente schierare in difesa di Fatah, organizzazione che si è distinta per l’intollerabile livello di corruzione con cui ha gestito il potere (e i contributi economici destinati ai Palestinesi) in tutti questi anni. Però il dato di fatto con cui ci si deve confrontare è che, in una ampia area geografica, rilevanti settori di popolazione ripongono le speranze di cambiamento in movimenti religiosi le cui posizioni in molti campi possono essere tranquillamente definite reazionarie.

Questo paradosso riguarda direttamente tutti coloro che credono che il miglioramento delle condizioni della maggioranza della popolazione non possa che discendere dal progresso e dall’aumento delle libertà individuali di cui godono le persone. Nonostante tutti i fallimenti che la storia ci evidenzia, è ancora prevalente il mito del raggiungimento di una società più equa attraverso l’esercizio dell’autoritarismo e della coercizione.

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