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Categoria: Cinema
Creato Sabato, 24 Maggio 2014

The zero theoremThe Zero Theorem, recensione di Luca Baroncini (n°168)

di Terry Gilliam

con Christoph Waltz, Mélanie Thierry, Matt Damon, David Thewlis, Tilda Swinton

Come spesso accade ai registi, anche Terry Gilliam continua a mettere in scena le proprie ossessioni. Resta infatti fedele al suo stile dove a dominare sono il grottesco e una visione tutt’altro che conciliante della vita. In pratica, pur con storie, personaggi e scenari diversi, finisce per girare lo stesso film di sempre. Cambiano i titoli (“Monty Python – il senso della vita”, “Brazil”, “La leggenda del re pescatore”, “L’esercito delle 12 scimmie”, per citare le sue opere più famose), ma non la ricerca di un senso nell’esistenza accompagnata dal fallimento della società contemporanea. Uno sguardo tutt’altro che rassicurante che predilige un approccio fantastico, spesso sopra le righe, ai limiti del delirante, che nel corso del tempo, e delle regie cinematografiche, ha fatto conquistare a Gilliam l’appellativo di visionario.

“The Zero Theorem” prosegue il viaggio attraverso un’allegoria del presente ambientata in un futuro distopico, quindi quanto mai indesiderabile, dove a dominare sono le multinazionali, il controllo sulle persone è pressoché totale e nulla sfugge a Management, sorta di capo supremo a cui tutto è connesso. Il protagonista è una specie di tecnico informatico a cui viene attribuito il compito di scoprire le ragioni della vita e il suo mistero.

Quello che Gilliam richiede allo spettatore è un vero e proprio atto di fede nei confronti della sua capacità di trasportare altrove. Se si azzerano le domande, si accettano di buon grado l’abbondanza di caricature, i continui raccordi nonsense imposti dalla sceneggiatura e si limitano gli sbadigli, il film riesce nel suo scopo, che è quello di intrattenere instillando interrogativi privi di risposte. La vita non ha senso, pare concludere Gilliam, e anche l’amore è solo una fantastica illusione. L’importante è esserne il più possibile consapevoli. Se, però, all’ennesimo personaggio bizzarro che sbuca urlando da qualche angolo dello schermo ci si spazientisce, significa che il gioco non regge. Questione, come sempre accade al cinema, di gusti e sensibilità personali. A beneficio del risultato, l’ottima dedizione alla causa del protagonista Christoph Waltz, che si butta anima, e soprattutto corpo, nel folle progetto. La sua interpretazione concorre sicuramente a rendere più digeribile il risveglio delle coscienze e la ribellione alle convenzioni sollecitate da Gilliam, anche se non può fare il miracolo di trasformare lo sconclusionato film in un’opera riuscita. Una piccola chicca, però, la sceneggiatura la regala: la definizione della morte come “obsolescenza divinamente programmata”.

 

 

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