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Categoria: Cinema
Creato Giovedì, 01 Gennaio 2015

Alba Rohrwacher e Saverio Costanzo - Foto di Luca BaronciniHungry Hearts recensione di Luca Baroncini (n°175)

di Saverio Costanzo

con Adam Driver, Alba Rohrwacher, Roberta Maxwell

Saverio Costanzo è regista sensibile, capace di dare voce e immagini al disagio interiore. I “cuori affamati” del titolo sono quelli di Mina e Jude, lei italiana, lui americano, che si conoscono restando bloccati nei bagni di un ristorante cinese. Quella che sembra un’unione come tante si evolve, proprio come tante, nella convivenza e nella creazione di una famiglia.

Costanzo si sofferma solo su alcuni momenti, scandaglia l’intimità, pone l’accento sulle decisioni che i personaggi devono prendere, affida ai sogni cupe premonizioni, ma lascia che i raccordi restino sottintesi. Almeno fino alla nascita del bambino che la coppia ha concepito, che finirà per disequilibrare l’armonia delle parti. Mina, infatti, sviluppa una forte possessività nei confronti del neonato vivendo sempre di più in simbiosi con lui e interpretando in modo estremo i suoi bisogni: nessuna esposizione alla luce solare, pochi contatti con il mondo esterno, niente medici e medicine anche in presenza di evidenti patologie e, soprattutto, un’alimentazione vegana che, di fatto, impedisce al piccolo una crescita regolare entro i parametri standard.

Costanzo non ha la verità in tasca, non esprime giudizi, non parteggia per nessuno, ma lascia che la macchina da presa registri il progressivo allontanamento tra Mina e Jude, inizialmente complici e via via sempre più distanti, sulle decisioni da prendere nei confronti del figlio. Lo squilibrio di Mina è evidente, ma Costanzo non lo ingigantisce per avvalorare una tesi e lascia, con grande acume, che sia lo spettatore a trovare la sua verità attraverso i conflitti esposti.

Poi, non tutto è sempre a fuoco, il contesto in cui i personaggi si muovono viene solo accennato e lascia un retrogusto di superficialità, la regia, con inquadrature insolite e punti di vista originali, capita che prenda il sopravvento perdendo una più consona invisibilità, così come delude la chiusa risolutiva, che suona tanto improbabile quanto sbrigativa.

Nonostante alcune evidenti crepe, però, il film regge, pone interrogativi non banali, affronta un malessere contemporaneo e si configura come opera atipica nel panorama spesso monocorde della produzione cinematografica italiana. Vista la predilezione di Costanzo per i brividi sottopelle, già evidente con “La solitudine dei numeri primi” e nuovamente palese nel permeare di sottile tensione la deriva del rapporto di coppia dei due giovani protagonisti, ci si augura che prima o poi si decida a girare un horror tout-court. Potrebbe trovare il suo approdo cinematografico definitivo.

 

 

 

 

 

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