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Categoria: Cinema
Creato Sabato, 01 Settembre 2018

LuckyLucky, recensione di Luca Baroncini (n°215)

di John Carroll Lynch 

con Harry Dean Stanton, David Lynch, Ron Livingston, Ed Begley Jr., Tom Skerritt

Lucky è un novantenne ateo, single e senza figli che vive in una piccola città americana ai margini del deserto, uno di quei luoghi sospesi tra realtà e mito dove il tempo scorre ma tutto sembra restare immutato e simile alla location di un vecchio film western. Lucky, però, è anche l’attore Harry Dean Stanton, alla sua ultima interpretazione (è morto poco dopo la fine delle riprese per cause naturali).

Un caratterista che ha attraversato la storia del cinema passando da “Nick mano fredda” a “Il padrino - parte II” e poi “Alien” e “Il miglio verde”, con una seconda giovinezza artistica grazie al ruolo da protagonista in “Paris, Texas” di Wim Wenders. 

La fusione tra personaggio e attore è totale; il film è cucito su misura sulle rughe e il vissuto del piccolo grande attore americano. L’omaggio di John Carroll Lynch (attore in tanti film al suo debutto nella regia) si trasforma in una riflessione sulla vita nel momento in cui le certezze vengono meno, la routine vacilla e l’appuntamento con il grande mistero della morte diventa un’ipotesi sempre meno remota.

Non ci sono grandi eventi a scandire la narrazione che si sofferma sulle giornate di Lucky e sugli incontri che fa, tra discussioni filosofiche, chiacchiere, cruciverba e canzoni. Scorrono nomi importanti tra i clienti dei modesti bar in cui la vicenda è ambientata, da Tom Skerritt a David Lynch (nessuna parentela con John Carroll), ma a rubare la scena è soprattutto la tartaruga President Roosevelt che apre e chiude il film e concretizza, con i duecento anni di età che è in grado di raggiungere, il sentire dei personaggi, impegnati a confrontarsi sulla relatività del tempo e sul diverso modo di valorizzarlo. 

A crepare l’andamento lento ma soddisfacente di Lucky è un malore improvviso che il medico identifica come semplice ma ineluttabile vecchiaia. Un evento che metterà in crisi Lucky e le sue certezze. Il buio si avvicina e in alcuni momenti fa molta paura. Ma bastano un incontro inaspettato e un abbraccio disinteressato (quello della barista che lo va a trovare, in uno dei momenti più toccanti del film) per trovare un po’ di quel coraggio in grado di rendere l’incessante scorrere del tempo più sopportabile. Senza cedere di una virgola dal proprio modo di essere, respingente, un po’ cinico ma affettuoso. 

Il film è tutto qua. E in tempi in cui la frenesia è il motore di ogni azione, sedersi per riflettere senza rivoluzionari punti di arrivo è una boccata di ossigeno perché consente di dare valore alla poesia del quotidiano.

 

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