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Categoria: Cinema
Creato Domenica, 14 Novembre 2021

claudio santamariaFreaks Out, di Luca Baroncini (n°247)

di Gabriele Mainetti

con Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Giorgio Tirabassi

Il nuovo film di Gabriele Mainetti rappresenta una grande sfida per il cinema italiano. Si tratta infatti di un vero e proprio kolossal, con grande dispendio di mezzi e tripudio di effetti speciali. Le intenzioni sono lodevoli, unire Storia (la vicenda è ambientata a Roma nel 1943) e storie (i quattro protagonisti sono fenomeni da baraccone di un circo), quindi fondere racconto di avventura, romanzo di formazione e riflessione sulla diversità. Il risultato è apprezzabile per lo sforzo produttivo e la capacità di pensare in grande, ma l’insieme finisce per essere più frastornante che convincente. La sceneggiatura propone infatti un campionario abbastanza trito di nazisti alla Sturmtruppen, personaggi esagitati e sequenze urlate che finisce presto per stancare. Gli auguriamo comunque il meglio, perché ha le carte in regola, almeno a livello visivo, per varcare i confini italiani e imporsi sui mercati internazionali.

In occasione della presentazione in concorso al Festival di Venezia, Claudio Santamaria che interpreta l’uomo lupo Fulvio, uno dei quattro protagonisti, ci ha concesso un’intervista. L’incontro è presso una villa del Lido e l’attore si dimostra entusiasta della esperienza e molto disponibile.

Com’è tornare a lavorare con Gabriele Mainetti dopo il grandissimo successo di “Lo chiamavano Jeeg Robot”?

Ci sono solo parole banali per una domanda del genere, nel senso che è molto stimolante perché, come immaginavo, Gabriele ha alzato ancora di più l’asticella creando un mondo fantastico con personaggi interessanti. Mi ha detto ti ricopro di peli!

Ma è stata la prima scelta il ruolo del lupo?

Ho fatto comunque dei provini per questo personaggio che richiedeva forza, maturità e un carisma riconoscibile all’interno del gruppo, in cui finisce per essere una sorta di fratello maggiore che nel silenzio tiene le redini, a volte anche sbagliando.

E com’è l’espressività attraverso un trucco che ti rende quasi irriconoscibile?

Abbiamo lavorato molto sul corpo, su ciò che il personaggio esprimeva fisicamente. Attraverso una energia, dei silenzi, gli abbiamo dato un passato, per evitare che si confondesse con Chewbacca di “Guerre Stellari” che parlava a versi, mentre Fulvio è un intellettuale, un lettore accanito, lo capiamo in vari momenti, dice lui stesso “mio padre mi ha chiuso in gabbia per dieci anni, per fortuna che c’erano i libri”, immagino provenisse  da  una famiglia  nobile romana che lo ha chiuso in gabbia per non farlo vedere al mondo, quindi abbiamo cercato di dargli una personalità che potesse farlo uscire fuori da quella selva di peli.

Quante ore richiedeva la preparazione del personaggio?

Circa quattro ore, ma quando avevo la tuta anche di più. Dal punto di vista fisico è il film più faticoso che abbia mai fatto.

Pensavo che il tuo film più faticoso fosse stato il James Bond  “Casino Royale”, in cui sei un terrorista che cerca di far esplodere un aereo all’aeroporto di Miami e corri come un pazzo!

“Ero anche più giovane però!”

A proposito, grande produzione hollywoodiana e grande produzione italiana, quali le differenze di approccio?

James Bond mi lasciò a bocca aperta! Al di là delle possibilità economiche quasi illimitate, nel senso che se una scena non viene bene la giri e la rigiri fino a quando non è perfetta, avevo notato anche una competenza di tutti i reparti di produzione che noi solo ora siamo riusciti a eguagliare; basta pensare alle prove con gli stunt. Molto spesso in Italia arrivavi sul set e ti facevi male perché le scene le provavi direttamente in scena, invece le sequenze di lotta e di azione sono delle coreografie che hanno bisogno di essere provate e assorbite dal corpo e questa mia esperienza di Bond mi ha salvato su Jeeg. Io ho detto “guardate che per fare quella scena sul camion io ho provato quindici giorni a Londra facendo un’ora e mezza di prove al giorno, perché di più non assimili, provando la sequenza come una danza altrimenti lo stunt diceva che ci saremmo fatti male!” Quindi su Jeeg abbiamo provato molto le sequenze di lotta e nonostante questo ci siamo fatti male ugualmente, mentre in “Freaks Out” la competenza italiana, per quanto riguarda sia gli stunt che gli effetti digitali e speciali, è cresciuta molto rispetto al passato. La scena iniziale, ad esempio, è pazzesca. La differenza è anche che questo film è costato tra i 13 e i 14 milioni di euro, mentre James Bond ne sarà costati cento di milioni. La parte economica ti permette di avere più tempo a disposizione, perché alla fine è il tempo la parte più preziosa da gestire su un set.

Il punto di forza del tuo personaggio qual è?

Sicuramente la forza fisica, è quello più visibile, il più freak.

Per connotarlo su cosa hai puntato?

Sulla presenza fisica, ma anche sulla voce, una caratteristica che gli dava tanto e lo connotava.

Qual è il genere che preferisci come spettatore?

Il genere “bello”. Vorrei fare il neutrale, in realtà sono un appassionato di horror, thriller e fantascienza. 

Tornerà il cinema di genere in Italia?

Eh speriamo! Se Jeeg è stato uno spartiacque, speriamo che questo sia una diga che tiene quelle acque separate e si ritorni a fare un cinema che sappia raccontare la società e la realtà che ci circonda attraverso il genere e il divertimento.

 

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