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Categoria: Libri
Creato Mercoledì, 01 Giugno 2011

Gianpiero Landi, La fine del socialismo? Francesco Saverio Merlino e l’anarchia possibile, recensione di Roberto Zani (n°136)

“La fine del socialismo? Francesco Saverio Merlino e l’anarchia possibile”, a cura di Gianpiero Landi (Centro Studi Libertari Camillo di Sciullo, Chieti 2010), è la pubblicazione degli atti dell’omonimo convegno tenutosi a Imola il 1° luglio 2000.

Quell’iniziativa, organizzata dall’Associazione “Arti e Pensieri”, risultò particolarmente partecipata e diede vita ad appassionate discussioni tra i presenti, dimostrando come le questioni poste dal libertario napoletano, possibilista verso forme di democrazia sostanziale e di mercato ben regolamentato, costituiscono ancora oggi un tema “caldo” e controverso.

Ricordiamo che Saverio Merlino (1856 – 1930), dapprima figura di spicco dell’anarchismo italiano e internazionale insieme a Malatesta, fu protagonista di una svolta negli ultimi anni dell’Ottocento che, a differenza di quella operata da Andrea Costa, fu caratterizzata da una profondità intellettuale e da una tensione etica che gli anarchici non liquidarono come opportunistica. Anzi, Malatesta si vide costretto dalle sollecitazioni merliniane ad approfondire i metodi dell’anarchismo, in un confronto di altissimo livello (poi pubblicato più volte con il titolo “Anarchismo e democrazia”).

Il libro

 
“La fine del socialismo? Francesco Saverio Merlino e l’anarchia possibile”, a cura di Gianpiero Landi (Centro La qualità principale del libro risiede a nostro parere nella diversità dei contributi, tale da costituire un “prisma” necessario per esaminare i variegati aspetti del pensiero merliniano, che spaziano da tematiche prettamente politiche ad altre collegate a questioni storiche, sociologiche e soprattutto economiche (una scienza neutra da utilizzare per i fini del socialismo, rifiutando la “metafisica” del Capitale di Marx e prevedendo con impressionante lucidità gli esiti catastrofici della pianificazione economica dello stato socialista).

Venendo alle relazioni, quelle di Giampietro “Nico” Berti (“Il socialismo liberal-libertario di Francesco Saverio Merlino”) e Massimo La Torre (“Una concezione deliberativa della politica. Francesco Saverio Merlino tra anarchismo e democrazia”) sono entusiastiche interpretazioni – da angolature alquanto differenti - del pensiero dell’avvocato napoletano. Enrico Voccia (“Il retroterra politico-culturale di Merlino”) e Natale Musarra (“Merlino e la rivoluzione nel Mezzogiorno d’Italia”) offrono contributi storici di grande spessore sul pensiero e la vita del personaggio. Emilio Raffaele Papa (“F.S. Merlino, un ‘avvocato dei malfattori’, alla difesa del regicida Gaetano Bresci”) ripercorre la vicenda più nota dell’avvocato napoletano, che spese una vita a difendere gli anarchici nei tribunali. Interessanti per la concezione minimalista del marxismo cui sono oggi costretti - e significativamente elusivi sul contributo che Merlino diede alla corrente revisionista - sono le relazioni dei due storici di formazione marxista Bruno Bongiovanni (“La revisione del marxismo tra fine Ottocento e i primi decenni del Novecento”) e Paolo Favilli (“Sui concetti ‘ortodossia’, ‘revisionismo’, ‘marxismo’. Noterelle a proposito del loro odierno uso storiografico”).

Nadia Urbinati, nella sua relazione “Un padre fondatore della cultura democratica italiana”, mette a confronto le idee del napoletano con quelle di un altro “grande atipico”: l’inglese John Stuart Mill. Seguono poi gli interventi di Luciano Lanza (“Merlino? Un marginalista piccolo piccolo”) e Luciano Pellicani (“Merlino e l’utopia collettivistica”), di segno opposto per quanto riguarda la valutazione del contributo in campo economico dell’avvocato napoletano. In appendice, impreziosiscono il volume due scritti inediti di Bruno Rizzi, che nel pensiero merliniano trovò preziose conferme alla propria originale concezione antiburocratica.

Socialismo libertario o socialismo liberale?

 
Ben più arrembanti dei marxisti sono l’anarcocapitalista Raimondo Cubeddu (“Merlino, i marginalisti austriaci e i teorici dell’individualismo”) e il liberale Pietro Adamo (“Merlino e Tucker: le origini di un dissidio”), che insieme a Nico Berti offrono un’interpretazione “di destra” del pensiero merliniano, anticipatore non solo del socialismo liberale, ma anche del liberismo libertario. L’eredità di Merlino può infatti apparire contraddittoria, molto possibilista e aperta nei confronti di questioni e figure importanti del campo liberale; e non c’è dubbio che egli fu certamente un precursore del pensiero liberalsocialista. Tale interpretazione è però riduttiva. Merlino mantenne sempre una tensione e degli obiettivi più radicali: si autodefiniva socialista libertario e, con un ossimoro,  riformista 

rivoluzionario. Sostanzialmente di questo parere è il curatore del libro, Gianpiero Landi, che oltre a ripubblicare in appendice una sua recensione critica sulla monografia che Nico Berti dedicò a Merlino (edita nel 1993), contribuisce con una minuziosa relazione su colui che più di tutti si dedicò alla diffusione del pensiero merliniano: “Aldo Venturini studioso e continuatore dell’opera di Merlino”.

L’attualità di Merlino

 

Merlino non riuscì a compiere il suo disegno politico di unire la sinistra. Commentò Malatesta nel 1932: “Egli, che aveva voluto riunire tutti, fu da tutti abbandonato e restò un isolato. Gli anarchici, ai quali egli avrebbe potuto essere molto utile con le sue critiche spesso giustissime, non potevano certo seguirlo per il complesso delle sue idee e specialmente per le sue tendenze parlamentari; i repubblicani che lo trovarono troppo socialista, e i socialisti giudicarono che il suo socialismo restasse ancora troppo libertario. Forse anche questi ultimi temettero che egli sarebbe stato un concorrente pericoloso per il suo ingegno e la sua dottrina. Fu abbandonato da tutti; però conservò la stima di tutti, perché tutti riconobbero la sua perfetta buona fede ed il suo ardente desiderio di fare del bene alla causa generale dell’emancipazione e del progresso umano”.

Oggi il giudizio sul pensiero di Merlino è generalmente assai lusinghiero (con l’eccezione dei marxisti), ed è riconosciuto come un anticipatore e fondatore di nuovi orizzonti e correnti politiche al crocevia tra anarchismo, socialismo e liberalismo. Le recenti ripubblicazioni delle sue opere costituiscono una riprova di tale “fortuna”: “Questa è l’Italia” nel 1996, “Pro e contro il socialismo” nel 2008 e “Politica e magistratura in Italia” nel 2011.

La questione fondamentale è se tutto ciò costituisca una curiosità storica e intellettuale, o se il pensiero politico di Merlino è ancora in grado di suggerirci qualcosa in una realtà molto mutata. Ad esempio, Merlino considerava il mercato come un meccanismo necessario per soddisfare i bisogni della popolazione; di qui la sua sfiducia nella pianificazione centralizzata. Ma le stringenti limitazioni da imporre al mercato per evitare lo sfruttamento e le sperequazioni sociali ci appaiono oggi come dei palliativi inefficaci, dato lo strapotere e soprattutto la reattività che il capitalismo ha nel frattempo dimostrato. Ci sembra invece ancora valida la sua fondamentale distinzione tra forme ed essenza del socialismo, dove per forme si intendono le realizzazioni pratiche che spesso possono uccidere l’essenza (andare alla voce “socialismo di stato”); e pure la sua convinzione che il socialismo è un movimento dal basso, presente più nella società civile che nei partiti politici, posta come condizione necessaria e non come movimento storico ineluttabile. In effetti, è solo la fiducia sulla presenza e sull’avanzamento di tale movimento (ribadita dall’anziano napoletano anche sotto il fascismo) e non la sostanza del ragionamento che potrebbe essere rimessa in discussione.

In via generale, dalla vita e dal pensiero di Merlino si possono trarre due conclusioni, che tuttavia sembrano in contraddizione: ragionare con spirito critico senza accontentarsi di schemi precostituiti o certezze consolatorie, nella convinzione che la vita del socialismo dipende dalla sua capacità di rinnovarsi e contaminarsi, attingendo il meglio da altre correnti di pensiero e dai movimenti sociali. Tuttavia, la spregiudicatezza e la coerenza con cui Merlino seguì tale metodo ne decretò l’incomprensione dei contemporanei, con la magra consolazione di una “riscoperta” circa un secolo dopo il suo ritiro dalla vita politica.