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Categoria: Libri
Creato Lunedì, 01 Dicembre 2003

Alain BROSSAT, Scarcerare la società, recensione di Sergio Onesti (n°26)

BROSSAT Alain,  Scarcerare la società, Eleuthera, 2003

Prefazione di A. Dal Lago Postfazione di S. Lucido Pagine 149 Euro 11,00

Farla finita con il carcere è una scelta etica così come quella di contribuire a progettare una società senza carcere.

Se sostituire il sistema carcerario con altro sistema sanzionatorio e in che cosa esso debba consistere è, invece, solo un problema di chi ha scelto di governare e cioè di istituzionalizzare la società civile.

Il pragmatismo di chi ci chiede quale possa essere l’alternativa al carcere nasconde una proposta di complicità alla quale si deve rispondere sul piano etico in questo modo: "Non sta a noi dire di che morte dobbiamo morire; non vogliamo più giocare il gioco della penalità; non vogliamo più giocare il gioco delle sanzioni penali; non vogliamo più giocare il gioco della giustizia".

E’ questa la tesi di Brossat, filosofo e docente universitario francese che non nasconde il tributo che deve all’ insegnamento di Michel Foucault, di cui prova a sviluppare alcuni temi, tentando di dare una risposta ai tanti interrogativi in una materia – come quella penitenziaria – afflitta dal dualismo interpretativo rappresentato, da una parte dal fronte securitario che ritiene il carcere il modello repressivo-conten-itivo di cui non si può fare a meno e dall’altra dal fronte umanitario. Tale contrapposto orientamento, sicuramente più illuminato del primo ma altrettanto funzionale al sistema carcerario, parte da un presupposto meramente culturale secondo il quale la sensibilità dell’uomo moderno, che ritiene il carcere un luogo di sofferenza shockante tanto per la sofferenza del detenuto quan-to per la insopportabilità/re-pulsione che tale sofferenza suscita in sé e per sé, accetta il ricorso al carcere solo come extrema ratio, privilegiando le misure alternative alla detenzione e la razionalizzazione/ ammodernamento del sistema penitenziario.

Per Brossat i due modelli – che potremmo definire di tolleranza zero e di compassione buonista - sono entrambi approcci che non risolvono il problema politico dell’ istituzionalizzazione violenta della società da parte dello stato.

La terza via che, invece, Brossat percorre nel libro è quella tracciata da Foucault secondo il quale "Le prigioni sono anacronistiche e al contempo profondamente legate al sistema" e, pertanto, il carcere, lungi dall’essere un male necessario i cui arcaismi vanno razionalizzati, costituisce il laboratorio di sperimentazione della progressiva istituzionalizzazione della società fino alla sua identificazione nello stato.

L‘Autore, dopo aver evidenziato l’assoluta inutilità del carcere nella sua storia recente, ne spiega, infatti, la necessità della persistenza in termini di Ragion di stato: stato e carcere sono un tuttuno indissolubile e la carcerizzazione della società costituisce il prezzo di un’ ossessione securitaria indotta dallo stesso sistema, sempre meno libero e sempre più diseguale, che si preoccupa degli effetti senza rimuovere le cause del conflitto che hanno dato luogo al delitto.

In altri termini, per Brossat il carcere, quantomeno come modello di istituzionalizzazione, non può essere né razionalizzato né reso più umano perché conserverebbe comunque gli elementi costitutivi del luogo di isolamento-smaltimento dei rifiuti sociali e di laboratorio di disciplinarizzazione della società.

Se il problema relativo alla necessità del carcere è, pertanto, solo un problema politico e cioè diretto alla rinegoziazione delle norme di convivenza civile, è un diritto dell’uomo moderno quello di proclamarsi rigorosamente e definitivamente intollerante di fronte all’orrore del carcere senza per questo dovere prospettare né forme alternative né tantomeno di razionalizzazione di un sistema incivile che va abolito senza alcun rimpiazzo a causa della sua intrinseca capacità di sperimentare forme sempre più raffinate di sofferenza arbitraria e sterile, di annichilimento individuale e di alienazione sociale anche se ha definitivamente abbandonato (ma poi non troppo!) pratiche di mutilazione / annientamento del corpo del detenuto.

E’ proprio per queste ragioni che per Brossat, il carcere, al pari della tortura nei tempi passati, va estirpato dalla nostra civiltà culturale; solo in questo modo saremo liberi di pensare e di dare una risposta a quattro quesiti principali che il filosofo francese pone al termine del suo lavoro.

Questi gli interrogativi che l’accettazione dogmatica del carcere rende ad oggi improponibili:

a) quale significato ha la parola responsabilità complessivamente intesa e quindi non solo nella sua accezione penale;

b) quali sono le basi del contratto sociale; chi detta precetti e sanzioni a presidio della pacifica e giusta convivenza civile ed, infine, siamo sicuri che tutti – e più specificatamente chi viola le regole - partecipano in condizioni di parità al contratto sociale;

c) quali sono i termini per definire oggettivamente tanto la sicurezza personale quanto quella collettiva e se tale condizione costituisce effettivamente un diritto che giustifica la sanzione e la sua esecuzione;

d) quando e come si può definire proporzionata la risposta sanzionatoria alla violazione commessa e quale efficacia nel tempo ha tale valutazione.

L’ossessione securitaria che la società civile occidentale e soprattutto i media hanno alimentato in questi anni impedisce - secondo Brossat - una riflessione collettiva, non solo etica, ma anche solo pragmatica se non politica, intorno all’utilità del carcere come modello esclusivo di risposta sanzionatoria alla condotta delittuosa.

I quesiti di cui sopra rimangono senza risposta come d’altra parte i problemi ad essi sottesi che vengono rimossi come afferma Brossat – con "una sollecitudine che altro non è se non la manifestazione, cambiata di segno, della loro urgenza".

Il titolo del libro "Scarcerare la società" è quindi un imperativo categorico per ogni uomo moderno che trova la sua giustificazione non solo nell’ ambito etico, ma in una lettura criminologica, psicologica e sociale della storia del modello carcere, che impone la chiusura definitiva e senza appelli di luoghi la cui presenza e sempre maggiore diffusione rompono con i principi del contratto sociale, inteso come legame sociale e sede di riproduzione delle ragioni della convivenza sociale.

In altri termini, se il carcere è funzionale allo stato, non lo è rispetto alla società civile la cui stessa separatezza dallo stato è messa in pericolo dall’ inarrestabile sua istituzionalizzazione.

In conclusione, il processo di criminalizzazione / carcerizzazione di sempre più ampi settori della società al quale assistiamo a livello planetario determina solo isolamento / e-sclusione del reo – inteso come individuo e come classe di provenienza - dal sistema sociale dal quale viene disconnesso spaziotemporalmente per un periodo più o meno determinato. Ciò senza che la società mostri interesse per le ragioni individuali e le cause sociali che hanno dato luogo al crimine con la conseguenza che la stessa società non riuscirà mai ad approntare gli strumenti di rimozione delle cause individuali/sociali della violazione/conflitto ulteriormente allontanando il reo dal contesto sociale e i problemi sociali dalla loro soluzione.