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Categoria: Storia e personaggi
Creato Martedì, 22 Aprile 2003

Il capitano Toni (n°14)

Questo numero di Cenerentola andrà in stampa nei giorni immediatamente precedenti il 25 Aprile, giornata che in Italia è dedicata al ricordo della liberazione del paese dai nazifascisti (avvenuta appunto il 25 Aprile 1945).

Molti, per non dispiacere all’attuale governo, cui purtroppo partecipano i loro eredi, eviteranno di parlarne. Altri utilizzeranno quel ricordo per incitare alla violenza, un incitamento del quale non si sente il bisogno, con i tempi che corrono.

Abbiamo pensato di commemorare la cacciata dei nazifascisti raccontando gli ultimi mesi di un uomo mite, Antonio (Toni) Giuriolo, nativo di Arzignano (Vicenza). Toni, di fronte alla tragedia, scelse di combattere e morire, per la libertà di tutti, sulle montagne bolognesi. Lo ricordiamo attraverso le testimonianze di partigiani che lo conobbero, raccolte e pubblicate nel 1979 da Giuseppe Fanti sulla rivista Nueter.

"CIONI ANTONO, di Granaglione, ex partigiano della Matteotti

Vide per la prima volta il capitano Toni quando arrivò nel luglio del 1944 al Monte Cavallo.

Era un bravo comandante che pensava non solo alla vita dei suoi combattenti ma anche a quella dei civili. Per questo motivo una volta si oppose all’idea di fare un’azione contro una colonna di Tedeschi lungo la strada di Pracchia che avrebbe potuto fruttare delle bestie da macellare ma che probabilmente avrebbe provocato ritorsioni contro le popolazioni inermi.

Pensava spesso alla pace che desiderava al di sopra di ogni altro bene e ne parlava spesso.

TARUFFI ROMANO, di Granaglione, ex cuciniere della Matteotti

Ricorda che un giorno i partigiani si trovavano con poco cibo e Toni diede la sua razione a uno che era arrivato improvvisamente; sono gesti semplici ma che non si dimenticano. Era colto, molto colto però alla buona; parlava con accento veneto ma non per questo era considerato diverso.

Sapeva anche amministrare bene il denaro che riceveva e pagava sempre il giusto prezzo dei vettovagliamenti che venivano acquistati o presso i negozi o presso privati.

Tutti lo consideravano come un padre o come un fratello maggiore. Seppe guadagnarsi la fiducia anche perchè condivideva qualsiasi disagio che comportasse la vita in una formazione partigiana male armata e male equipaggiata quale era la Brigata Matteotti.

BORGOGNONI ANNA MARIA, ex staffetta partigiana

(E’ figlia di Donatello di Capugnano – nel 1945 aveva appena undici anni. In casa sua c’era una base della Matteotti).

Ricorda ancora oggi in modo vivissimo quando il capitano morì. Vennero alcuni partigiani molto giovani che piangevano a dirotto, disperati, come è difficile che capiti. Non riuscivano ad aprir bocca e ad articolare parola; riuscirono solamente, dopo un po’, a dire unicamente che Toni era morto.

Non solo da questo episodio ma anche da tanti altri si può affermare con sicurezza che il capitano era veramente amato moltissimo dai suoi quasi come fosse loro padre e questa non è retorica ma autentica verità.

Toni veniva spesso a Capugnano in casa di Donatello e poteva fermarsi anche due o tre giorni. Ebbene, ogni notte leggeva in continuazione fino ad ora tardissima libri di vario genere ma in particolare la Divina Commedia che possedeva in un formato che oggi potremmo chiamare tascabile.

Era un uomo veramente buono e bastava guardarlo in viso per capire che ci si trovava davanti ad una degna persona.

FARNETI ENNIO, LEL- LI GIORDANO, di Lizzano, ex partigiani della Formazione Garibaldi del generale Armando

Anche se non erano della Brigata Matteotti, ebbero l’occasione di conoscere il capitano Toni nella zona dei monti della Riva e a Ca’ dei Lanzi.

Ricordano molte cose di lui ma soprattutto che era coltissimo, dotato di autocontrollo e intelligenza viva però modesto e nello stesso tempo uomo di polso; meritava davvero i gradi di capitano degli alpini.

Rammentano un fatto. Alcuni Tedeschi erano stati mandati in Farnè per studiare la situazione locale in relazione alle forze partigiane operanti nella zona. Ebbene il capitano Toni si divertì ad avvicinare tre Tedeschi disarmati che si lavavano ad una fontanella, avvertendoli nella loro lingua, con perfetto accento berlinese, che su quelle montagne di partigiani ce ne erano a migliaia e organizzatissimi (la verità era ben diversa) e che per i Tedeschi era assai meglio stare alla larga da luoghi così pericolosi.

Ricordano anche un bell’ episodio di umanità, quando il capitano Toni, che come abbiamo sentito conosceva molto bene la lingua tedesca consolò un soldato ferito e mezzo cieco, prigioniero dei partigiani, che era spaventatissimo e timoroso per la propria sorte. Fu cercato un dottore che potè curare il ferito.

Ci fu grande amicizia fra il capitano Toni e il veterinario dottor Arrigo Pasquali, morto da tempo, col quale più di una volta tenne lunghe conversazioni su argomenti profondi sia di politica che di letteratura che spesso non venivano completamente capiti da chi ascoltava ma che era egualmente piacevole seguire, perchè istruttivi.

MASINI LUCIANO, di Porretta, ex partigiano della Matteotti

Ha conosciuto il capitano Toni nel luglio del 1944 quando, dal Comitato di Liberazione Nazionale di Bologna, venne mandato sull’ Appennino tosco – emiliano per coordinare i gruppi partigiani che si erano formati nella zona.

Lo vide per la prima volta sulla dorsale del Corno alle Scale ma i momenti in cui imparò ad apprezzarlo profondamente furono soprattutto dopo il rastrellamento di Montefiorino, quando la Brigata Matteotti si trovò sulle falde del monte Cimone in pessime condizioni sia morali che materiali. Lo sconforto era grandissimo e, fra le altre cose, per combattere la sete il capitano Toni insegnò ai suoi uomini come raccogliere la rugiada dalle foglie di faggio per sopperire alla assoluta mancanza d’ acqua della zona.

Le scorte di vettovagliamenti per la Brigata consistevano in 20 – 30 chili di riso ed in aggiunta all’armamento personale c’era in dotazione una vecchia mitragliatrice francese Saint – Etienne con munizioni. A turno questo materiale doveva essere portato da tutti. Però per il caldo, per la fame, per la difficoltà del percorso da compiere non erano in pochi a lamentarsi per questo peso aggiuntivo.

Dopo una sosta, poichè stavano nascendo discussioni sui turni di trasporto, il capitano Toni si caricò tanto il riso quanto la mitragliatrice e si incamminò.

Per tutti fu sufficiente questo gesto per capire e ritrovare la concordia.

Era veramente umano e sicuramente non sapeva odiare neppure i nazifascisti anche se era a conoscenza del trattamento che questi riservavano ai partigiani catturati vivi, cioè l’impiccagione mediante l’uncino alla gola. La sua fama di uomo sereno, di uomo di pace, doveva aver raggiunto anche i Tedeschi. Infatti dopo la liberazione di Castelluccio (28 settembre 1944) due pattuglie di questi vennero a consegnarsi spontaneamente ai partigiani della Brigata Matteotti.

Nell’ottobre del 1944 ci fu un’imboscata ad una pattuglia di una dozzina di S.S. sopra il cimitero di Porretta. Circa la metà dei componenti la pattuglia rimase sul terreno mentre i restanti uomini si asserragliarono in una casa. Il capitano Toni, che parlava correttamente il tedesco, li indusse a consegnarsi prigionieri e, fatto insolito per degli uomini delle S.S., questi aderirono all’invito. Furono consegnati, unitamente a quelli di Castelluccio, agli Americani non appena questi arrivarono a Porretta.

La Brigata Matteotti fu poi impiegata dagli Americani sulla "Linea Verde" in azioni di attacchi e contrattacchi nella zona del Monte Belvedere definitivamente espugnato nell’aprile del 1945 dalla X divisione americana da montagna.

Non ha mai sentito il capitano Toni parlare di politica tanto che le sue simpatie per il Partito d’Azione furono palesi solo a guerra finita quand’egli era già morto in combattimento.

Questo anche se la Brigata Matteotti, come dice il nome, era di ispirazione socialista ed ebbe in alcuni momenti un commissario politico nella persona del bolognese Fernando Baroncini.

In momenti di particolare carestia non era infrequente il caso che il capitano rinunciasse alla sua parte di viveri per i "suoi ragazzi", come lui usava chiamarli. Gli stessi Americani chiamarono i partigiani della Matteotti "Boys of Tony" a conferma dei rapporti intercorrenti fra il comandante e i subalterni.

Morto Toni, non venne rieletto ufficialmente alcun altro comandante anche se la Brigata venne guidata da "Mario" (il bolognese Mario Bacchelli).

La costante del carattere del capitano Toni era quella di un uomo che non conosceva lo sconforto e la demoralizzazione. Anche se provava questi sentimenti sapeva nasconderli dietro un perenne aspetto pacato e sereno che influiva positivamente su quanti avevano occasione di conoscerlo e su quelli che lo hanno seguito.

ASMARA ADLER, di Porretta Terme

Ritornato dai militari dopo l’8 settembre 1943, si era dovuto fermare a Porretta a causa di una gravissima malattia del padre, così fu sorpreso dall’arrivo del fronte, nell’estate del 1944, nella zona di Castelluccio.

Il capitano Toni era allora in stretto contatto con il dottor Emilio Buini e fu proprio su suggerimento del dottor Buini che Asmara potè recarsi sul monte di Granaglione dove la Matteotti era accampata. Toni era venuto sui nostri monti a causa di una ferita a una mano, infatti, ricoverato al S.Orsola e dimesso sotto falso nome, era stato assegnato alla Brigata Matteotti di montagna perchè la riorganizzasse.

La prima volta che l’incontrò si trovò di fronte un uomo biondo, stempiato, sui trentacinque anni, più alto della media, in divisa ma senza gradi. Quella volta stette assieme a Toni un paio d’ore.

Fra i partigiani c’erano indubbiamente anche persone che si erano portate in montagna forse più per far dimenticare il loro passato che per far la guerra ai Tedeschi. Comunque tutto questo fu superato anche per le capacità di intelligenza e di umanità che Toni possedeva. Che avesse un’umanità grandissima l’ha dimostrato ampiamente più volte ma soprattutto quando riuscì, di sicuro, a salvare alcuni che avrebbe dovuto far fucilare. Egli agiva così non per disobbedire ad ordini superiori precisi ma per dare una possibilità di recupero a tutti, mettendo gli uomini alla prova in combattimento.

Un altro particolare non secondario è rappresentato dal fatto che Giuriolo era stato eletto comandante dai suoi e non imposto come forse si potrebbe credere. Era anche un maestro che insegnava ai suoi il valore inestimabile della vita e riusciva a formare delle coscienze in un periodo in cui si uccideva con estrema facilità.

Dotato di una profonda cultura umanistica che riusciva a trasmettere agli altri era di un equilibrio eccezionale che dimostrò più volte ma soprattutto quando andò a salvare due suoi partigiani sapendo il rischio che correva e affrontò la morte con fermezza, però a mente fredda e senza esaltazioni. La sua forma mentale era infatti quella tipica di un ragionatore intelligente, sereno e pacato."

 

 

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