Caro bugiardo, recensione di Eugen Galasso
(Dear Liar. A Comedy of Letters) di J. T. Kilty
Produzione: Namastè Teatro
Regia: Stefano Tamburini
Interpreti: Michele Fabbri, Laura Martelli
Testo, come dice il titolo, che mette in scena la corrispondenza tra George Bernard Shaw (1856-1950) e l’attrice Stella Patrick Campbell (1865-1940), che dopo un repertorio shakespeariano, interpretò varie pièces di Shaw, tra cui la più famosa rimane “Pigmalione”.
Nel 1940 l’attore e poi autore teatrale Kilty, americano di origini irlandesi, in Inghilterra quale aviere durante la guerra, chiese a Shaw il permesso di ricavarne un testo teatrale, ma Shaw glielo rifiutò e autorizzò la pubblicazione solo dopo la sua morte.
La messa in scena, diretta da Tamburini, fonde il salotto/scrittoio di Shaw e il camerino della Patrick Campbell, con le scene in cui i personaggi sono a sè stanti e quelle in cui si incontrano, sempre rimproverandosi qualcosa, giocando con i malintesi, come quando Shaw le dice (scrive) che è “una veterana”, alludendo alla sua bravura e alla sua fama di attrice, e lei intende invece un riferimento all’età non più verdissima.
Un continuo gioco anche decisamente crudele, in cui Fabbri e la Martelli eccellono, mostrando tutte le sfumature di quella che potremmo definire una dialettica “servo(a) / padrone” o, meglio, “commediografo/attrice, dove non sfuggono implicazioni sentimentali presenti ma sempre rimosse o rimandate.
Un puzzle dove emerge il british humor, ma anche il sottile gioco gatto versus topo, che caratterizza molti rapporti umani e sociali, come ben noto.
La dimostrazione che un testo difficile perché abbastanza alieno dai gusti italiani, se ben diretto e ben interpretato come in questo caso (in Italia la versione precedente, con regia dello stesso Kilty, era del 1961) può avere successo, come confermato dagli applausi del pubblico, che ha richiamato in scena per ben tre volte interpreti e regista.