Ambiente
I Sollevamenti della Terra (ancora) in marcia
«Il prossimo settembre ci metteremo di nuovo in marcia contro la cementificazione, la distruzione degli ambienti dove abitiamo e per fortificare quei modi di vivere che riteniamo più in sintonia con i nostri territori. Come l’anno scorso, abbiamo scelto di farlo camminando, per sentire la terra sotto i nostri piedi e per darci la possibilità dell’incontro.
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Sull’alluvione in Romagna, redazionale (n°264)
Mentre stiamo scrivendo, l’Emilia-Romagna è allagata. Già si contano più di dieci morti, e decine di migliaia di sfollati. I danni alle cose, inoltre, sono incalcolabili.
Diversi lettori, da fuori Bologna, ci telefonano per sapere come ce la stiamo passando (la nostra redazione, come molti di voi sanno, è a Bologna); altri, consapevoli che in genere pesiamo attentamente le parole e i giudizi, ci chiedono cosa pensiamo di ciò che sta accadendo.
Ancora sui “sollevamenti della terra”, in marcia dalla pianura alla montagna (n°260)
«La marcia si è conclusa a settembre – scrivono i promotori – ma il nostro percorso continua. Come avrai capito, il modo migliore per conoscerci è venire alle nostre assemblee o alle altre iniziative che organizzeremo. Altrimenti puoi scriverci a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
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Onde elettromagnetiche, di Elena Dalbasso (n°253)
Appare sempre più evidente che le onde elettromagnetiche hanno un impatto negativo sugli organismi viventi. È un argomento difficile da affrontare: non si percepisce la pericolosità delle onde in quanto non sono visibili, non emettono rumori e non spargono odori. Ma autorevoli studi epidemiologici e prove sperimentali hanno dimostrato gli effetti negativi dei campi elettromagnetici sugli esseri viventi
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Illusioni verdi, di Toni Iero (n°247)
Il maggiore problema che l’umanità si trova ad affrontare nel momento attuale è, a parer mio, la questione del cambiamento climatico. La sua pervasività e la profondità delle conseguenze che comporta, lo rendono la principale minaccia incombente sul genere umano (e non solo).
Nel numero di ottobre di Cenerentola, Luciano Nicolini osservava, con riferimento a varie questioni, che occorre “cambiare modello di sviluppo, ispirandosi alla semplicità, alla libertà, all’uguaglianza, alla solidarietà”.
Le Georgiche: il vento, di Rino Ermini (n°242)
Il vento. Come si può non scrivere del vento? Il vento nella gola di un camino una sera d’inverno. Il vento Tramontano in un bosco di faggi subito sotto il crinale dei monti, con la sua voce imponente, solo molto più in basso, sulle colline, un poco mitigata nei boschi di castagni e fra gli olivi. E che cosa ha in sé e che cosa porta quel leggero vento di maestrale che accarezza il viso a una ragazza, seduti in un prato a primavera, mentre le fai la tua dichiarazione d’amore? Avete mai visto poi un bicchiere di vino guardato in controluce col vento Marino, un giorno di maggio, seduti al tavolo di un’osteria, tu e quella ragazza?
Le Georgiche: l’acqua, di Rino Ermini (n°241)
“Quid dicam, iacto qui semine comminus arva / insequitur cumulusque ruit male pinguis harenae, / deinde satis fluvium inducit rivosque sequentis / et, cum exustus ager morientibus aestuat herbis, / ecce supercilio clivosi tramitis undam / elicit? illa cadens raucum per levia murmur / saxa ciet scatebrisque arentia temperat arva.
Libro I, vv 104-110
“Che dire di colui che appena seminato segue / i solchi e rompe i cumuli di terra infeconda, / poi induce un corso d’acqua con i suoi ruscelli nel maggese / e, quando il campo riarso brucia di erbe morenti, / ecco attira a sgorgare l’acqua dal ciglio di un sentiero / in declivio? Quella cadendo tra sassi levigati solleva / un murmore roco, e ristora con zampilli l’arida campagna”.
Le Georgiche: i boschi, di Rino Ermini (n°240)
È inevitabile che nelle Georgiche, trattando il Poeta di campagne, campi e bestiame, vi sia una diffusa presenza dei boschi, dell’acqua e del vento, accennati a volte brevemente, quasi di sfuggita, altre invece in ampi passaggi. Di questi tre aspetti della natura e del mondo contadino dove vivevo un tempo, voglio parlare negli ultimi tre interventi dedicati alle Georgiche, cominciando dai boschi.
Le Georgiche: le api, di Rino Ermini (n°239)
“Protinus aereii mellis caelestia dona/ exsequar: hanc etiam, Maecenas, aspice partem./ Admiranda tibi levium spectacula rerum/ magnanimosque duces totiusque ordine gentis/ mores et studia et popolus et proelia dicam.” Libro IV, vv. 1-5
“Proseguendo, dirò del dono celeste dell’aereo miele./ Volgi lo sguardo, Mecenate, anche su questa parte./ Ti canterò mirabili spettacoli di modeste cose,/ e i magnanimi capi, e, per ordine, l’indole/ e le attitudini di tutta una gente, e i popoli e le battaglie.”
Le Georgiche: pecore e capre, di Rino Ermini (n°238)
“Nunc, veneranda Pales, magno nunc ore sonandum. / ... stabulis edico in mollibus herbam / carpere ovis, dum mox frondosa reducitur aestas, / et multa duram stipula felicumque maniplis”
Libro III, vv. 294-297
“Ora, o veneranda Pale, si deve cantare con voce solenne. / ... prescrivo che le pecore bruchino fieno / in comode stalle, finché non torni presto la frondosa estate / e che si copra sotto di loro la dura terra di molta paglia”.
Nel nostro podere avevamo, fino alla metà degli anni ’60 del secolo scorso, un piccolo gregge di meno di dieci pecore e due capre. A quell’epoca ormai eravamo rimasti i soli ad averle, ma fino a non molti anni prima quasi ogni contadino le aveva.
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Le Georgiche: elogio della vacca da lavoro, di Rino Ermini (n°237)
Ci addentriamo nel Libro III. Vacche e cavalli sono i protagonisti di circa la metà del canto. Molti i riferimenti mitologici, d’altronde Virgilio era un poeta, non un contadino. Sono difficili sia la sintesi sia la scelta di alcuni passi che possano esserci d’aiuto nel nostro discorso. Proponiamo intanto l’inizio, con l’immediata invocazione a Pale, “antichissima divinità italica dei pascoli e delle greggi” e un accenno struggente a Mantova e al Mincio. Quindi, per entrare nel merito, la descrizione di una mucca.
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Le Georgiche: vivaio, innesto, potature della vite, salici, di Rino Ermini (n°236)
“At siquos autoulla virus vigilantia fugit,/ ante loculum similem exquirunt, ubi prima paretur/ arboribus sege et quo mox digesta feratur,/ mutata ignorent subito ne semina matrem”.
(Libro II, versi 266-268)
Coloro che esercitano un’assidua attenzione, cercano un luogo/ dove preparare il primo germoglio alle viti,/ simile a quello dove ben presto il trapiantino/ così che i virgulti non si avvedano dell’improvviso mutamento della madre ”.
Le Georgiche: scasso e impianto della vigna, di Rino Ermini (n°235)
“Hactenus arvorum cultus et sidera caeli; / nunc te, Bacche, canam nec non silvestria tecum / virgulta et prolem tarde crescentis olivae. / Huc, pater o Lenaee (tuis hic omnia plena / muneribus, tibi pampineo gravidus autumno / floret ager, spumat plenis vindemia labris), / huc, pater o Lenaee, veni nudataque musto / tingue novo mecum direptis crura coturnis”.
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Le Georgiche: il granturco, di Rino Ermini (n°234)
Al tempo di Virgilio mancava ancora qualcosa come 1500 anni all’arrivo del granturco in Europa perciò è ovvio che nelle Georgiche di questa pianta non c’è menzione. Siccome tuttavia essa aveva un certo suo peso nel nostro podere del Valdarno e nella relativa rotazione delle colture, non si può non parlarne.
Si seminava, in aprile, in quei campi dove nell’ottobre di due anni prima era stato seminato il grano e nel settembre precedente lo strame, cioè un misto di segale, avena e lupini, da mietere freschi per le bestie dal tardo autunno alla primavera.
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