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Categoria: Ambiente
Creato Lunedì, 01 Febbraio 2010

Clima, ecologia e mass-media, di Elena Nicolini (n°121)

La crisi climatica spiegata dal tg

Ci sono fatti scientificamente provati e ampiamente diffusi e discussi dai media. È noto, per esempio, che siamo di fronte alla più grave crisi climatica che l’umanità abbia mai affrontato, con scenari gravi nel medio periodo o apocalittici nel lungo.
È provato che un innalzamento di 2°C della temperatura media dell’atmosfera potrebbe portare a un punto di non ritorno, con fusione di circa la metà dei ghiacciai terrestri e innalzamento del livello dei mari fino ad annegare isole e atolli degli oceani Pacifico e Indiano, coste e riviere di tutti i continenti. È vero, infine, che la stragrande maggioranza dei climatologi assicura che ciò dipende dalle attività industriali degli uomini e in particolare dal consumo di risorse dettato da un modello economico, come quello capitalista, basato sull’incremento costante ed esponenziale dei consumi e della produzione.
I dati recentemente diffusi dal Worldwatch Institute sono chiari: il 7% più ricco della popolazione mondiale è responsabile del 50% delle emissioni di anidride carbonica. Il consumismo di cui sono vittime gli abitanti dei paesi industrializzati (16% della popolazione mondiale) costa al pianeta il 78% delle risorse consumate. I principali responsabili della crisi climatica sono le industrie dei paesi occidentali, solo gli Stati uniti utilizzano un terzo delle risorse globali.
Questi dati sono alla portata di tutti e facilmente reperibili attraverso i mezzi di informazione più diffusi. Eppure il modo con cui i mezzi di comunicazione hanno informato sui cambiamenti climatici è stato negli ultimi anni estremamente ambiguo.
Da un lato stampa e televisione hanno assecondato una voglia diffusa di non credere alle evidenze: su numerosi quotidiani nazionali, lo spazio di informazione per i cambiamenti climatici è stato spesso occupato dalle affermazioni perentorie di chi negava, minimizzava o ridicolizzava il problema, nonostante l’infondatezza e l’assenza di basi nella letteratura scientifica di queste teorie.Dall’altro lato, l’ossessione meteorologica sviluppata in chiave sensazionale ha calcato sull’urgenza del problema in maniera controproducente. Il meteo, non più rubrica di informazioni neutrali e previsioni, è stato elevato a notizia di prima pagina: per qualche giorno di temperatura sopra la media o per un acquazzone prolungato si grida allarmisticamente “ormai è troppo tardi!”, salvo poi smentirsi alla prima nevicata.È naturale che il problema climatico affrontato come processo secolare, lasci il posto nei media a carestie, inondazioni e disastri immediatamente e visivamente documentabili, insomma notiziabili. Ma questo irresponsabile atteggiamento esaspera ingiustificatamente i rischi immediati del cambiamento climatico, lasciando nello spettatore un senso di impotenza, frustrazione e conseguente rimozione o distanza dal problema.Non stupisce, in questo contesto, che l’ecologia, invece di ispirare le politiche dei governi, si ritrovi confinata a una dimensione individuale di sacralità, lontana da qualsiasi pretesa di scientificità o valenza pratica. E lo fa elaborando retoriche catastrofiste, quasi sempre negative, per nulla consolatrici, facendo leva sullo sgomento e l’impotenza che serpeggia nelle nostre società, nonché sui sensi di colpa.Ma il pensiero ecologico, così facendo, si auto impone un ruolo da Cassandra: dopo la rivelazione, come abbiamo visto, il posto è preso dalla rassegnazione. Il dibattito non è neppure incominciato, non ha spazio pubblico in cui svilupparsi, rimane astratto. Le soluzioni avanzate sono sempre soluzioni individuali, dal localismo al ritorno alla terra, dal naturismo alle lampadine a basso consumo. Moderate o radicali che siano, sembrano buone più a sedare l’angoscia e il senso di colpa, che a risolvere il problema.Nella tempesta emotiva della crisi climatica a trovare la via della salvezza è sempre il mercato che, attraverso la pubblicità, ci indica la strada da seguire. Ecco dunque la nascita del marketing ecologico o ambientale, la moda verde dell’eco-lavatrice, dell’eco-automobile, dell’eco-incentivo a consumare meglio e di più, di una industria attenta all’ambiente che si assume le proprie responsabilità e ci fornisce prodotti “puliti”, salvando il nostro stile di vita, la nostra coscienza e i propri guadagni.