Hervé Le Bras e la critica della ragion demografica, di Luciano Nicolini (n°104)
E’ stato pubblicato in lingua italiana, a sei anni di distanza dall’uscita in Francia, il libro di Hervé Le Bras intitolato“Addio alle masse. Critica della ragion demografica”(1). Si tratta di un saggio ricco di spunti di riflessione che,tuttavia, a mio parere, non riesce a convincere della tesi proposta e cioè del fatto che gli spauracchi comunemente agitati dai demografi (sovrappopolazione, invecchiamento, immigrazione) siano, appunto, soltanto tali.
Ma, procediamo con ordine.
L’Autore, dopo alcune discutibili considerazioni sull’etimologia del termine “popolazione” che, contrariamente a quanto affermato da autorevoli dizionari, fa derivare «dal verbo latino depopulari, che significa distruggere, devastare», e sulle caratteristiche dei censimenti effettuati prima del XVIII secolo, passa ad affrontare il problema della sovrappopolazione.
«Nella maggior parte dei casi – scrive – il catastrofismo della demografia si manifesta nelle previsioni a lunghissimo termine» ma «è un’illusione credere che le previsioni demografiche siano migliori di quelle politiche o economiche e che il loro orizzonte possa essere più ampio». (…) «Senza un collegamento alle previsioni politiche ed economiche, senza una conoscenza precisa dei loro rapporti con la popolazione, è impossibile che previsioni demografiche serie
vedano la luce». (…)
«E’ con questo genere di confronti a lungo termine tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo – prosegue - che si è costruito il timore di un’esplosione demografica del Sud del mondo fin dal 1945 e quello, speculare, dell’implosione dei paesi del Nord dal 1974». Ma, a suo parere, «oggi sono profondamente cambiati tre aspetti essenziali: il tasso di fecondità cala ed è calato rapidamente in tutti i grandi paesi del Sud; la crescita nei paesi del Nord è continuata, dopo una generazione, nonostante una fecondità inferiore a 2,1 figli per donna; e, infine, la distinzione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, espressa dall’eufemismo Nord -Sud del mondo, non è più pertinente».
Si tratta di affermazioni sulle quali non si può che concordare, tuttavia: il calo del tasso di fecondità che si sta verificando nella maggior parte dei paesi del Sud non ha fatto cessare l’aumento della popolazione; la crescita di molti paesi del Nord, in larga parte dovuta all’immigrazione dai paesi del Sud, non fa che aggravare la situazione; e, infine, la questione della distinzione Nord-Sud del mondo, che può interessare chi ha paura di perdere il proprio potere, non ha alcuna rilevanza in relazione al problema vero, e cioè la sovrappopolazione del pianeta.
Il secondo tema affrontato nel saggio è l’invecchiamento della popolazione.
«Quando calano la fecondità e la mortalità, aumenta la percentuale delle persone che superano una certa età, per esempio i 65 anni» e «l’invecchiamento della popolazione, nel senso qui definito, appare ineluttabile. Si tratta – si domanda l’Autore - di un fenomeno pericoloso?» (…) «La paura dell’invecchiamento – prosegue - rimanda a tre motivi concreti: il primo riguarda l’aumento della spesa sanitaria, il secondo il pagamento delle pensioni e il terzo la riduzione delle capacità d’innovazione nell’insieme della società».
Che l’invecchiamento della popolazione aumenti le spese sanitarie, afferma, è però da dimostrare, in quanto «lo stato di salute si evolve allo stesso ritmo e forse ancora più rapidamente della speranza di vita»: sicchè, a suo parere, «il problema dell’età dissimula quello dell’accanimento terapeutico». Per ciò che riguarda il pagamento delle pensioni sostiene, con validi argomenti, che «il futuro delle pensioni è una questione di scelte istituzionali e non una maledizione demografica». Quanto alla riduzione della capacità d’innovazione, osserva che «l’adozione di nuove tecniche e di nuove modalità di pensiero dipendono dall’organizzazione sociale e non dalla biologia o dal numero».
Si tratta di acute osservazioni. Tuttavia, anche ammettendo che lo stato di salute si evolva allo stesso ritmo della speranza di vita, è probabile che ciò abbia un costo (a prescindere dall’accanimento terapeutico); inoltre, guardando la cosa dal punto di vista dell’antropologo, non mi sentirei di escludere che i giovani abbiano, in generale, una maggior predisposizione a generare e ad accogliere l’innovazione(2).
«Di tutti i fenomeni legati alla popolazione, il più difficile da prevedere è quello della migrazione» e, a tale proposito, Le Bras evidenzia «i principali saldi migratori annui, positivi e negativi, in base alle previsioni della Banca Mondiale e quelli effettivamente osservati dalle Nazioni Unite nel periodo 1995-2000», a parer suo clamorosamente diversi. «Le cifre della Banca Mondiale, tuttavia, - prosegue – hanno un tratto in comune con quelle delle Nazioni Unite: sono basse. Il saldo migratorio annuale dell’insieme delle regioni in via di sviluppo verso quelle sviluppate è attualmente di 1,9 milioni di persone» e «i tentativi di stimare il numero di persone che vivono in un paese in cui non sono nate portano a un tetto di 150 milioni (…) Si può dimostrare che un secolo fa le migrazioni internazionali erano decisamente più frequenti di oggi. Prendiamo per esempio gli Stati Uniti (…). Intorno al 1900 l’immigrazione annua supera in più occasioni il milione di persone, con un picco di 1 milione e 300 mila nel 1907».
Dati importanti, utili, soprattutto a noi Italiani, per inquadrare un fenomeno che, per la sua novità (l’Italia era considerata, fino a vent’anni fa, un paese di emigranti) spaventa esageratamente, ma che non devono far dimenticare che se l’emigrazione dai paesi poveri è contenuta, è forse solo perché i loro abitanti sono talmente poveri da non poter neppure permettersi di emigrare.
Sembra dunque affrettato, a proposito della «esplosione della popolazione nel Sud del mondo», concludere che «la miccia si è spenta senza esplodere» e che «le migrazioni tendono verso flussi modesti, articolati, specializzati, in un contesto di generale radicamento». Gli argomenti portati dall’Autore a sostegno della propria tesi, appaiono, nella maggior parte dei casi, validi, ma insufficienti a dimostrarla in modo soddisfacente.
Luciano Nicolini
(1)Hervé Le Bras: Addio alle masse. Critica della ragion demografica, Milano, Elèuthera, 2008 (edizione originale francese, 2002)
(2)Danilo Mainardi: L’animale culturale, Milano, Rizzoli, 1974