Camillo Berneri e il delirio razzista, di Luciano Nicolini (n°103)
E’ stato recentemente ripubblicato, a cura di Alberto Cavaglion, il saggio “Il delirio razzista”. Lo si può trovare all’interno di una raccolta di scritti di Berneri intitolata “Mussolini grande attore. Scritti su razzismo, dittatura e psicologia delle masse”.(1)
Spesso trascurato dai cultori del pensiero berneriano e, ancor più, dagli studiosi di antropologia, il testo fu scritto a Parigi nel novembre del 1934 e appare, nel complesso, di straordinaria modernità; soprattutto se si considera che, nello stesso periodo, l’antropologia italiana si stava schierando sempre più a favore delle teorie razziste e, di lì a poco, sarebbe arrivata a parlare, all’interno di congressi scientifici, di “inferiorità mentale irriducibile nei sudditi di colore, connessa a cause razziali di cui sarebbe pericoloso contaminarsi” (Cipriani, 1938). (2)
Contro tale delirio razzista Camillo Berneri si scaglia con forza, ma non lo fa soltanto sulla base di considerazioni etiche e politiche, utilizza tutte le argomentazioni scientifiche disponibili all’epoca, mostrando una non comune conoscenza della materia.
Il saggio si apre con una breve introduzione sull’affermarsi delle idee razziste in Germania: siamo, come si è detto, nel 1934; poco tempo prima, il 25 marzo 1933, Goering, ministro degli interni del Reich, aveva dichiarato orgogliosamente che “l’antisemitismo appartiene con ogni evidenza al programma ufficiale del partito nazionalsocialista e il modo in cui questo ha forgiato le sezioni d’assalto evidenzia che oggi ogni componente delle sezioni d’assalto volge il suo sguardo verso il professor Einstein con un sentimento di superiorità razziale”.
Mussolini invece, all’epoca, ancora ridacchiava, affermando che “Non esiste alcuna razza pura. Il fatto comico è che nessuno dei sostenitori della pura razza tedesca era tedesco: Gobineau era francese; Chamberlain inglese, Woltmann ebreo”.
Ma, di lì a poco, non ci sarebbe più stato molto da ridere. Come acutamente osserva Berneri nel suo scritto: «Se l’antisemitismo diventasse necessario alle necessità del fascismo italiano, Mussolini, peggio di Machiavelli, seguirebbe Gobineau, Chamberlain e Woltmann e parlerebbe, anche lui, di razza pura». Il che, puntualmente, si verificò.
Berneri passa poi a prendere in esame il mito della superiorità ariana, mostrandone l’inconsistenza; il pangermanesimo, con le sue ridicole forzature («nelle scuole della Germania hitleriana si insegna che Gesù Cristo nacque da madre con occhi azzurri e capelli biondi e da un soldato germanico arruolato nell’esercito romano»); i sistemi di classificazione delle popolazioni umane più utilizzati ai suoi tempi.
Ed è qui che mette in mostra una notevole conoscenza dell’antropologia e dei dibattiti dai quali era attraversata: sostiene, con giusta ragione, che tutte le popolazioni, quelle europee in particolare, quella ebraica forse più d’ogni altra all’interno dell’Europa, non sono biologicamente omogenee: «Un’inchiesta condotta nelle scuole tedesche ha dato i seguenti risultati: 31,8% biondi puri, con occhi azzurri o grigi; 14,1% bruni, con capelli e occhi scuri; 54,1% di tipo misto. Nella più pura razza frisona si conta il 18% di dolicocefali, il 38% di medi e il 49% di brachicefali. Il tipo nordico è sparpagliato in tutta Europa, e in Germania non costituisce una base possibile per la purificazione della razza».
«La superstizione della razza definita come unità etnica omogenea – prosegue più avanti – mentre ha portato allo stupido orgoglio ariano, ha contemporaneamente condotto all’antisemitismo razzista»: ciò che viene definito come «razza ebraica» comprende infatti una notevole varietà di tipi razziali.
Lo sostiene soprattutto utilizzando dati storici e morfologici, ma non manca di ricordare che anche «tutte le analisi comparate del sangue dimostrano che non esiste “sangue ebraico” né “sangue germanico” né altro… sangue nazionale». E si schiera con il grande geografo Elisée Reclus (3) quando osservava che gli Ebrei (e non solo loro) costituiscono una nazione “in quanto hanno coscienza di un passato collettivo di gioie e sofferenze, il sedimento di tradizioni identiche come la convinzione più o meno illusoria in una medesima ascendenza”, affermazione, anch’essa, decisamente moderna.
La parte centrale del saggio è poi dedicata al concetto di razza. A tale proposito, Berneri prende le mosse da Buffon secondo il quale «non esiste che un’unica specie umana, di colore diverso a seconda del suolo e del clima» e «le differenze all’interno di questa specie corrispondono alle semplici varietà degli animali selvatici e alle razze degli animali domestici»; per proseguire con Blumenbach, Cuvier, Broca. Più che di razza, dopo gli studi di quest’ultimo, si dovrebbe parlare di tipo antropologico, dal momento che le popolazioni umane sono, nella realtà, mescolanze di tali tipi umani ma, ancor più, di individui con caratteristiche intermedie fra essi. E se ciò è vero a livello morfologico, è ancor più vero con riguardo alle caratteristiche ematiche. Infatti, come evidenzia Berneri, «al XIX Congresso internazionale di medicina legale e sociale i dottori Dujarric De la Rivière e Kossovitc, basandosi sui risultati di più di 400.000 analisi effettuate su più di 400 nuclei di popolazione con autonomia politica e sociale, hanno dimostrato che esiste in tutti un’enorme mescolanza di sangue».
Del resto, osserva, lo stesso «Günther, il papa razzista del Terzo Reich, riconosce che “i popoli sono mescolanze di razze e non sono delle razze”».
Il saggio si conclude con una tragicomica descrizione del delirio razzista come si stava sviluppando all’epoca in Germania (e non solo all’interno di essa), e qui l’Autore torna, con forza, sul piano della polemica politica, senza però trascurare di documentare ogni sua affermazione, consapevole di come l’umana ignoranza non possa che generare mostri.
(1)Camillo Berneri: Mussolini grande attore. Scritti su razzismo, dittatura e psicologia delle masse. (A cura di Alberto Cavaglion), Santa Maria Capua Vetere, Edizioni Spartaco, 2007.
(2)Citato in Giovanna Tomasello: La letteratura coloniale italiana dalle avanguardie al fascismo, Palermo, Sellerio, 1984.
(3)Federico Ferretti: Il mondo senza la mappa. Elisée Reclus e i geografi anarchici, Milano, Zero in condotta, 2007.