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Categoria: Antropologia e demografia
Creato Giovedì, 01 Settembre 2016

Sophia-robotIl futuro delle macchine è il nostro futuro, di Domenico Secondulfo (n°193)

La nostra civiltà “occidentale” si è da sempre caratterizzata per il profondo rapporto con la tecnologia, il condensarsi, in determinati momenti storici, di capacità fisiche, mentali, sociali dell’uomo in una macchina ha sempre determinato nette svolte e forti trasformazioni nella nostra civiltà.

La trasformazione di una capacità umana in tecnologia permette a questa capacità di evolversi ed espandersi in tutta la società ad una velocità geometricamente crescente, portando con sé modifiche e trasformazioni che si espandono velocemente nel mondo, modificandolo in una determinata direzione ed eclissando definitivamente gli altri potenziali percorsi futuri che si sarebbero potuti aprire. È grazie a questo processo di sintesi e espansione che la nostra società è quello che è e non altro. Su questa capacità espansiva si fonda, come ricorda Mc-Luhan il fascino che le tecnologie esercitano sull’uomo, incantato come Narciso di fronte alla sua immagine parzialmente riflessa, ma amplificata, dalle tecnologie stesse. Il prezzo pagato è la amputazione delle capacità trasferite alla tecnologia, amplificate ma solo attraverso la tecnologia e fruite come ampliamento del nostro essere nel mondo solo e soltanto nei termini permessi dalla tecnologia stessa, soltanto attraverso, grazie e conformemente ad essa. Per questo, ogni tecnologia che amplifichi significativamente le capacità umane provoca, nella sua inarrestabile diffusione, una mutazione radicale, sociale, economica, antropologica, delle nostre società. E non potrebbe essere altrimenti visto che non trasformarci in modo da poter utilizzare le nuove tecnologie ci impedirebbe di trarne i vantaggi, di amplificare, in armonia con il resto della società, quella particolare abilità, facendoci restare fatalmente indietro, fuori, emarginandoci dal flusso del cambiamento e dai nuovi mondi che la tecnologia rende possibili. Di queste brusche svolte ed accelerazioni sono pieni i libri di storia: l’aratro, l’acciaio, la stampa, il pistone, il motore a combustione interna, l’elettricità, il tornio, il telefono, la televisione, il computer, il telefono mobile ecc...

Queste pagine nascono dalla sensazione che vi siano altre due tecnologie, attualmente in gestazione, che tra molto poco potrebbero sbocciare ed attivare il processo di diffusione-mutamento di cui ho appena parlato, mi riferisco alla realtà virtuale e ai robot “umani”.

La realtà virtuale

L’onda che ora sfocia nella realtà virtuale avvolgente parte da lontano e segue due linee di evoluzione: da un lato la fusione tra gioco e lavoro, generata dal computer, strumento sia di gioco che di lavoro; dall’altro la creazione di realtà di azione tutte interne ad una macchina, ambienti artificiali, completamente generati da una macchina e viventi solo al suo interno, ma interattivi verso l’esterno, veri territori da agire e su cui ed in cui muoversi e vivere. Iniziano con il gioco, si sviluppano poi con le armi remote, per ora i droni. Queste due linee si rincorrono per anni, producendo esperienze virtuali sia individuali che sociali sempre più verosimili e complesse, sempre più vive ed assorbenti. Si creano delle vere porte girevoli tra realtà e finzione, e la finzione, come insegna Baudrillard, pian piano supera la realtà proprio nel suo essere reale, l’iper-realtà dei giochi aumenta esponenzialmente di pari passo con l’aumento delle capacità di calcolo delle macchine che la creano, sino al punto attuale, a mio avviso di svolta, in cui la macchina è capace di generare un ambiente immersivo che simula completamente, ed anzi migliora, la realtà “reale”. L’immersività e la iperrealtà di questi ambienti virtuali li rende perfettamente simili alla realtà “normale”, avvolgenti, interattivi ai nostri movimenti ecc., viene così completamente meno quella dualità tra uomo e macchina garantita dallo schermo e dagli altri ausili “artificiali”, che teneva, comunque, ciascuno al suo posto e l’uomo fuori dalla macchina. L’impatto di una tale esperienza su di noi è attualmente solo immaginabile, ma non sarà piccolo visto che i giochi che sono solo dentro la macchina, e con i quali interagiamo attraverso i confini chiari di uno schermo o di una tastiera, già esercitano un’azione molto rilevante ed a lungo termine sulla nostra mente, sulle nostre abitudini, sulle nostre attività sociali. Gran parte del nostro apprendimento, soprattutto “di base” avviene attraverso il gioco, ed ora possiamo giocare in mondi creati ad hoc, senza più alcuna relazione obbligata con la realtà, una via di socializzazione e di fuga paragonabile soltanto alle sostanze psicoattive, ed in particolare agli allucinogeni, acidi, funghi ecc. Chissà quali livelli di dipendenza potrebbe creare una simile tecnologia; ancora negli anni ’50 il celebre fumetto fantascientifico “Jeff Hawke” prefigurava una simile tecnologia che, naturalmente, portava ad una sorta di fine della società. La porta girevole tra realtà e fantasia (oggettivata) sarà sempre più tenue, e pian piano quello spazio continuo che si estende dalla realtà “reale” ai mondi virtuali nei quali si allargano le nostre reti sociali, i nostri occhi ed orecchie, che già oggi, con la telematica mobile (i telefonini come terminali di multiformi ed infinite piattaforme telematiche) non ha grandi discontinuità, diventerà forse tutt’uno; oppure no, la realtà reale perderà di interesse, surclassata dalla iper-realtà prodotta dalla macchina. Io credo che questa seconda opzione sarà quella che ci attende. A questo proposito come non ricordare Pokemon-Go, l’invasione della realtà virtuale nella realtà “reale”, che fa implodere i due livelli in un continuum iper-reale vero ma finto al tempo stesso, grazie ai cellulari; dopodomani sarà la realtà virtuale a far implodere in una super realtà mondo e virtuale, un super mondo amplificato e migliorato in cui vivremo sereni e felici, al quale il mondo “normale” si dovrà piegare, nella sua limitatezza naturale.

I robot antropomorfi

Non è certo da ieri che i robot hanno fatto il loro ingresso nella nostra società, ma sino a qualche tempo fa la loro presenza era caratterizzata da due caratteristiche: la invisibilità e la non-umanità. I robot sono da tempo nelle catene di montaggio o in altri punti del ciclo produttivo, ma sono invisibili alla società allargata che ne ignora, sostanzialmente, l’esistenza, assimilandoli alle altre infinite macchine utensili che popolano le fabbriche. Stesso si dica per i vari robot, più o meno autonomi, utilizzati nei processi estrattivi o a scopo militare, si tratta di usi “di nicchia” che non portano il robot nel mondo del “qui adesso”; ed in secondo luogo si tratta di oggetti chiaramente con le fattezze di una macchina, bracci mobili, scatolette cingolate che siano, manifestano chiaramente al mondo la loro estraneità, il loro essere “solo” macchine. Tanto basta, l’eventuale complessità e quasi-umanità che potrebbe essere celata nella complessità delle intelligenze artificiali che li muovono resta al di sotto della soglia estetico-formale del riconoscimento umano, sembrano macchine = sono macchine. In questo aiutati anche dalla fantascienza che, dalle copertine degli Urania degli anni ’50 sino ai più recenti film, ci ha abituato a considerare robot soltanto quelle macchine a parvenza umana, soltanto le macchine antropomorfizzate, rispetto alle quali è sempre stata generosa di pennellate empatiche ed emotive tipicamente umane. Questo sino a qualche anno fa. Da un po’ di tempo a questa parte, e sempre più spesso, i robot “umani” si sono affacciati prepotentemente sulla scena, promettendo un prossimo sbarco in forze proprio in quel “qui adesso” della banale e scontata vita quotidiana. Se osserviamo i prototipi di robot prodotti o progettati in questi ultimi anni vediamo chiaramente il progressivo passaggio verso la antropomorfizzazione, con l’intento dichiarato di costruire macchine in grado di interagire con noi “come se” fossero vive e senzienti, in grado di instaurare con noi un rapporto che simuli fortemente la relazione con un essere vivente e senziente, dagli animali di compagnia agli altri esseri umani, parliamo di macchine fatte come un uomo, o una donna, con due gambe e due braccia al loro posto normale, con una testa e due occhi, capaci di camminare come noi, di rialzarsi se cadono e di riprendersi se scivolano, capaci di capire molte delle nostre espressioni e delle nostre emozioni ed in grado di rispondere a tono sia con le parole che modificando alcuni tratti del viso secondo espressioni di tipo umano. Perfino uno dei robot progettato per recarsi su altri pianeti al nostro posto, anziché la solita pentola con cingoli e telecamere, si presenta come una persona, e non credo che questo ne aumenti la efficienza operativa, ma ne aumenta infinitamente la efficienza simbolica e comunicativa. La nostra società, come abbiamo visto prima, si caratterizza per la creazione di realtà virtuali, del tutto artificiali e figlie del codice, in grado di simulare il vivente ed il reale, ed anzi di ipersimularlo, ed accanto alla realtà virtuale, ecco l’uomo virtuale, il robot, e non è detto che i due non possano diventare un’unica macchina. L’antropomorfizzazione è un passaggio essenziale, la macchina – robot dalle fattezze di un umano o di un animale da compagnia è in grado, ed è studiata per questo, di simulare le emozioni e le espressioni umane, per interagire a livello empatico con noi, interazione favorita dalla forma estetica adottata e dal tipo di software utilizzato. Sono di poco tempo fa alcuni filmati di prototipi di robot antropomorfi sottoposti ad alcune prove decisamente umane, che hanno scatenato onde di empatia positiva nei loro confronti in chi ha assistito ai filmati. Ad esempio il robot cui veniva spostata continuamente la scatola che doveva raccogliere, e che poi è anche stato gettato a terra, ha scatenato on line un’onda di empatia positiva e di solidarietà contro il “cattivo” sperimentatore che lo “maltrattava”, certo non sarebbe accaduto se al suo posto vi fosse stato un tostapane o una scatola con ruote e braccia prensili (magari tre anziché due); parimenti la stampa ha trattato la “fuga” di un altro robot da un laboratorio di sperimentazione come un umanissimo anelito alla libertà, per non parlare di quanti intrattengono con gli/le assistenti virtuali dei telefonini relazioni famigliari e magari piccanti, cercando una relazione quasi-umana nel piccolo volto virtuale. E la filmografia da diversi anni ci presenta robot umanissimi, sia nelle forme che nei sentimenti, assimilabili o ad esseri umani, o a bambini, o a animali da compagnia. La tendenza all’animismo, conseguenza della società dei consumi, fa il resto, e non è un caso se la cultura in cui lo sviluppo dei robot antropomorfi è maggiore, quella giapponese, è di stampo animista.

Viste le conseguenze legate alla passate rivoluzioni industriali, sorge spontaneo chiedersi cosa potrà accadere, ovviamente se non è difficile interpretare il passato, per il futuro si tratta di ben altro paio di maniche, come dimostrano i sistematici errori di previsione di discipline ben più gallonate della sociologia, come, ad esempio, l’economia. Sicuri di essere smentiti dai fatti, tentiamo ugualmente qualche proiezione.

Innanzitutto un cambiamento nella gestione del tempo. Direi da sempre, gli upgrade del mondo delle macchine, incorporando e amplificando nella tecnologia una o più abilità umane, sono intervenuti pesantemente sul tempo, sinora accelerandolo e densificandolo dal punto di vista della produzione e della valorizzazione del capitale. Le macchine informatiche hanno, per la prima volta, iniziato a cancellare la differenza tra gioco e lavoro, tra tempo di gioco e tempo di lavoro, offrendo nella stessa macchina, lavoro e gioco. Si lavora interagendo con un computer e si gioca sempre interagendo con un computer, a volte il medesimo. Questo massimizza l’abilità di interazione e la famigliarità con la macchina, producendo una fortissima socializzazione, che il lavoro da solo non riuscirebbe a compiere mentre il gioco, lavorando sul piacere, svolge in modo eccellente. I due tempi quindi si mescolano e perdono la loro capacità operativa e cognitiva di organizzazione e classificazione del tempo e delle attività umane, resta ancora il vincolo spaziale, l’orario di lavoro scisso dal tempo libero, il tempo di lavoro scisso dal tempo ludico, ma questo è un retaggio del passato, le più aggiornate forme di organizzazione del capitalismo cognitivo hanno da tempo superato questi dualismi, il tempo è un flusso indifferenziato di produzione e gioco, un gioco produttivo. Se comunque il vincolo spaziale del lavoro sulla macchina teneva ancora un poco divisi i tempi: tempi di lavoro/svago in un luogo fisso, tempo libero fuori da quel luogo; la telematica ha permesso alle macchine, ora divenute portatili e connesse, di seguirci anche fuori da casa e dall’ufficio mantenendoci connessi al lavoro e allo svago, anzi al continuum lavorosvago cui eravamo già abituati. Non a caso alcuni tablet e cellulari vengono pubblicizzati proprio facendo leva sulla possibilità di non avere più un ufficio in un luogo fisico fisso, ma di portarselo dietro ovunque. La saturazione del tempo, già iniziata con la trasformazione del tempo libero in tempo di consumo si ottimizza, invadendo ogni istante della vita. Questa fusione dei due tempi e delle due attività in una mescolanza che copre tutti i luoghi e tutti i momenti della vita ha cambiato profondamente il concetto di tempo, dalla scansione in tempi, ciascuno dedicato ad una cosa diversa, in una disciplina segmentata della vita, che però teneva ben distinte, sul piano cognitivo, simbolico e valoriale, i differenti ruoli e le differenti sfere relazionali in cui si articolava la vita quotidiana, ad un continuum indifferenziato in cui luoghi, tempi e contenuti sono potenzialmente presenti in contemporanea impedendo la segmentazione e la articolazione cognitiva e valoriale delle varie realtà della vita.

Questa segmentazione ha accelerato enormemente la frammentazione individualistica delle esperienze, che ora non hanno più luoghi fisici in cui aggregarsi favorendo la creazione di gruppi di interesse. Sotto questo ultimo aspetto, le macchine telematiche hanno offerto un ulteriore surrogato, sempre a patto di restare collegati a loro, i social network, aree di relazione generale ancora una volta esperite attraverso il legame con la stessa macchina con cui si lavora e si gioca. Ancora una vol-ta esperienze che erano distinte vengono fuse nella realtà generata dalla macchina telematica ed esperite soltanto attraverso di lei, in uno spazio virtuale in cui convive un numero crescente di esperienze ed attività tutte accomunate dalla interfaccia tecnologica che rende possibile viverle. L’impatto della robotica è stato sinora meno forte a livello di vita quotidiana, fatta eccezione per il licenziamento dei lavoratori sostituiti dalla robotica, fisica o virtuale che sia. Crediamo che saranno i robot antropomorfi a portare nelle nostre vite quotidiane quell’impatto che le macchine informaticotelematiche sono state in grado di esplicare soltanto una volta capaci di diffondersi e legarsi a noi attraverso oggetti “quotidiani” come i computer portatili prima e i tablet e i cellulari poi.

La robotica antropomorfa partirà ovviamente da dove gli altri cambiamenti sono attualmente arrivati, incorporando già dalla partenza le caratteristiche interattive e virtuali presenti nella telefonia mobile, e naturalmente ampliandole man mano che l’interazione con la quotidianità umana apre alle macchine nuovi orizzonti di simulazione ed apprendimento. Una delle linee di approccio è già evidente, forme antropomorfe o da “Disney world”, con macchine che richiamano la forma e l’interazione con i bambini (come già accade per gli orsacchiotti), oppure con gli animali domestici, sfruttando un ben consolidato flusso empatico. La relazione con il robot sarà meno problematica di quella con gli umani, cosa che già avviene nelle relazioni sociali simulate dalla telefonia mobile, ma questa volta la novità enorme sarà la presenza fisica della controparte, non più una macchina-ponte con altre realtà, ma un ponte-macchina, qui e ora. Una macchina capace di una adattabilità e di una plasticità direi sinora mai vista; l’accoppiata di adattamenti nel software e nell’hardware del robot non pongono limiti alle relazioni che potrà intrattenere, fisicamente, con noi, adattandosi a noi, alle nostre fantasie, alle nostre necessità come nessun altro potrebbe fare, umano o macchina che sia. Potrà mediare anche fisicamente le relazioni che ci aprirà attraverso le sue piattaforme telematiche, agendo, fisicamente, al posto di qualcuno, potrà andare in giro al nostro posto ed interagire con gli altri in nostra vece, ma farlo fisicamente e non nel modo astratto sinora reso possibile dalla telematica portatile. Va da sé che l’incontro tra questa macchina e la realtà virtuale di cui parlavamo prima, rende del tutto irrilevante il luogo in cui ci troveremo quando faremo esperienza attraverso i robot e la realtà virtuale, vedremo il mondo con i loro occhi (iper-reali rispetto ai nostri) e interagiremo con la realtà fisica del mondo attraverso le loro protesi, anche queste iper-reali rispetto alle nostre membra.

Potrebbe darsi che, alla lunga, la perfezione iper-reale delle esperienze con queste macchine, la loro prevedibilità, ci stanchi, e si ritorni alla imprevedibilità del vivente.

 

 

 

 

 

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