Democrazia libertaria: quadratura del cerchio?, di Eugen Galasso (n°126)
Non credo che la questione sia da porsi in questi termini, ma rimane senz’altro il problema di una democrazia (potere del popolo, comunque lo si intenda, fatalmente di una maggioranza) che accetti in pieno i diritti e la libertà degli individui.
Ciò non è sempre facile, specialmente quando la libertà dovrebbe venir sacrificata a favore di una comunità (il “popolo sovrano”, concetto che deriva da Rousseau). Proprio per ovviare a tale rinuncia al bene individuale, in particolare al bene supremo, che è comunque la libertà, pensatori come Godwin, Gobetti, i fratelli Rosselli (soprattutto Carlo), Jaurès, Calogero, Ragghianti, Capitini, Landauer, Daniel Guérin, Costa, Merlino, si posero il problema di teorizzare modelli sociali non oppressivi. I movimenti libertari, in particolare quelli della Spagna degli anni Trenta dello scorso secolo e quelli della controcultura americana ed europea, oltre che molti movimenti nonviolenti, tentarono di metterli in pratica.
Se la cosa sia riuscita o meno, è questione aperta. Non in Spagna, pur se con qualche effervescenza positiva, in quanto anarchici, libertari e socialisti dovevano confrontarsi con gli stalinisti; quasi sempre (almeno in una prima fase) nei movimenti di protesta statunitensi ed europei; non nella Machknovicina, ossia nella rivolta ucraina dove, per opporsi al montante totalitarismo sovietico, Nestor Machkno divenne peggiore - o quasi - di coloro che voleva combattere. Anche negli altri tentativi di democrazia diretta (Baviera, Torino, qualche emanazione austriaca) ci furono solo bagliori sparsi.
Il problema della democrazia libertaria rimanda a quello delle regole, che, una volta accettate (se accettate) dalla maggioranza del corpo sociale, devono in qualche modo essere rispettate dagli “altri”, dagli oppositori. Nell’assenza di una coazione violenta, dovrà essere l’educazione, possibilmente l’autoeducazione, a fare la sua parte, altrimenti non potrà funzionare nulla. D’accordo che “la mia libertà finisce dove inizia quella altrui” (Voltaire, tra gli altri), ma come fare, in concreto? Se sarà più facile far passare regole generali ed etiche come il “non uccidere”, sarà sicuramente più complicato mettersi d’accordo quando si tratta di por mano alla borsa per un contributo a favore di tutti. Ancora una volta, l’educazione: non persuasione obbligante (ci mancherebbe...), non persuasione occulta (la pubblicità e i suoi meccanismi), ma persuasione per convinzione vera, autentica, che si basi, se non sul mutuo appoggio di kropotkiniana memoria, sulla convinzione razionale che “siamo tutti sulla stessa barca” e quindi non ha senso ostacolarsi a vicenda, ma è più “conveniente” aiutarsi per poi essere aiutati.
La psicologia, dunque, è ancora una volta la chiave di volta della cosa, in quanto scienza del comportamento che, lontana dal behaviorismo (comportamentismo) e da una psicoanalisi spesso inquisitoria, sa invece favorire l’autostima e la stima reciproca, dove il ruolo dell’educazione è prioritario. Chiaramente, tale psicologia nuova, anche se ricca di stimoli eclettici (da Jung a Reich), sarà un contravveleno rispetto alla psicologia dell’induzione gregaria, quella formulata da teorici della politica e “psicologi” quali Michels, Pareto, Mosca che teorizzavano la necessità di quelle élites carismatiche a guida forte, che poi sarebbero stati i dittatori fascisti del periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale ma anche, in forma ulteriormente degenerata, quelli del secondo dopoguerra.
Una politica nuova dovrà anche fare a meno del “fascino dei partiti”, ridotti ormai a comitati d’affari, a macchine elettorali. Ciò per un comunista anarchico sarà forse stato chiaro a priori, per un libertario anche (ma con maggiori riserve), per gli altri no, e bisogna allora farlo capire, con esempi che possiamo trarre dalla vita politica quotidiana. Non si tratta di cavalcare la tigre curiosa dell’astensionismo, che va sempre in varie direzioni; ma di riscoprire tutte le iniziative sociali, politiche, economiche, che non hanno bisogno dei partiti, che si muovono al di fuori di essi.