Argentina, continua l’autogestione degli operai della Zanon, di Ilaria Leccardi (n°86)
Gli operai della fabbrica argentina Zanon (vedi Cenerentola n° 71) potranno continuare a lavorare. La fabbrica di ceramiche, con sede nella città patagonica di Neuquén, simbolo del processo di autogestione nel paese latinoamericano, lavora sotto controllo operaio da più di cinque anni.
All’inizio dell’ottobre 2001, infatti, la direzione imprenditoriale chiuse impianto e produzione a causa di una crisi finanziaria, lasciando circa 330 ceramisti senza lavoro, 260 dei quali decisero di occupare gli stabilimenti e ridare autonomamente il via alla produzione.
Dopo aver superato ripetuti ostacoli frapposti dal governo provinciale, da sempre vicino alla vecchia proprietà, e aver fronteggiato numerosi tentativi di sgombero, ma anche minacce e aggressioni fisiche, lo scorso anno gli operai avevano ottenuto il riconoscimento della cooperativa che avevano costituito, dal nome Fa.Sin.Pat (Fabrica Sin Patrones, ossia Fabbrica Senza Padroni). Questo riconoscimento comportava al tempo stesso la possibilità per gli operai di lavorare almeno per un anno in tranquillità, senza rischio di sgombero.
Già dalla primavera di quest’anno però la Zanon, guidata dal combattivo Sindacato degli Operai Ceramisti di Neuquén, aveva dato il via ad una campagna per una nuova risoluzione giudiziaria, e per portare all’interno del Parlamento provinciale una proposta di legge per l’espropriazione della fabbrica, da mantenere comunque sotto il controllo dei lavoratori. Le firme raccolte a sostegno della Zanon sono state migliaia, sia a livello locale che internazionale. Lo scorso 20 ottobre il Tribunale Commerciale di Buenos Aires ha riconosciuto la validità della gestione operaia e i progressi fatti dalla fabbrica negli ultimi anni, che nel frattempo ha aumentato il proprio organico dagli iniziali 260 operai che avevano dato il via all’autogestione a più di 450 lavoratori, e ha concesso una proroga di 3 anni all’autogestione.
Ora gli operai sperano di riuscire a far discutere in Parlamento la propria proposta di legge sull’espropriazione e continuare a portare avanti un progetto di opere pubbliche che già da tempo hanno iniziato, e che ha portato in passato alla costruzione di un centro di primo soccorso e diverse case per la popolazione locale più disagiata.