Notizie dalla comune Urupia, di Nerio Casoni (n°109)
Da quasi quindici anni è attiva, nell’Alto Salento, la comune Urupia, all’interno della quale vengono praticate forme particolarmente radicali di organizzazione libertaria (non esiste la proprietà privata, tutte le decisioni vengono prese all’unanimità). A coloro che partecipano a questa esperienza il nostro redattore Nerio Casoni ha posto alcune domande.
Come è nata e con quali presupposti economici e finanziari si è riusciti a dare vita all’esperienza di Urupia?
Il progetto Urupia ha iniziato a definirsi nel corso dei primi anni novanta, in seguito soprattutto all’incontro tra un gruppo di anarchici salentini – all’epoca quasi tutti redattori della rivista antimilitarista “Senzapatria” – e alcuni/e berlinesi attivisti/e della sinistra radicale tedesca. La base ideale del progetto si è fin dal primo momento identificata nel desiderio di realizzare una sorta di laboratorio dell’uto-pia, un luogo fisico in cui sperimentare pratiche di organizzazione sociale libertaria e dove elaborare soluzioni egualitarie e non gerarchiche agli innumerevoli problemi della convivenza umana.
Il luogo fisico intorno al quale la comune si è sviluppata si trova nell’Alto Salento, a metà strada tra Taranto e Brin-disi, nelle campagne di Francavilla Fontana, ed è costitui-to da un corpo di fabbricati (una non molto antica “masseria”) di quasi duemila metri quadri e da circa 25 ettari di terreno (tra uliveti, vigneti, frutteti, orti, seminativi, ecc.).
L’acquisto di questi immobili, all’inizio in condizioni di totale abbandono, è stato reso possibile dall’attivazione di un vasto circuito di sostenitori e sostenitrici che, a vario titolo e in diversa misura, ne hanno reso possibile in seguito anche la ristrutturazione e l’adeguamento ai crescenti bi-sogni della comune.
Nello specifico, al momento dell’acquisto le comunarde disponevano di una piccolissima parte delle risorse economiche necessarie: il resto del denaro è stato fornito da diverse compagne e compa-gni, in forma di prestiti a tasso zero o anche di regalie, oppure è stato raccolto attraverso concerti, cene sociali e iniziative di ogni tipo.
L’acquisto è stato reso possibile inoltre anche da un prestito di MAG6* di Reggio Emilia (della quale le comunarde di Urupia erano già socie) e da uno simile della GLS* tedesca, le quali hanno anticipato grosse somme che sono state poi restituite in piccole rate mensili dallo stesso circuito di sostenitori e sostenitrici italiani/e e tedeschi/e.
E’ ovvio che senza questo sostegno economico – ma anche poi senza tutta la solidarietà che si è in seguito espressa in forma di aiuti lavorativi, di offerta di competenze, di informazioni, di progettualità, di vari tipi di accompagnamento – senza tutto questo la comune Urupia non sarebbe mai diventata quello che oggi è, e anzi forse non sarebbe neppure esistita. Va sottolineato il fatto che se all’inizio questa solidarietà si è espressa soprat-tutto nei termini di un fondamentale aiuto economico e lavorativo, in seguito, quando la comune ha cominciato a produrre e a diventare via via sempre più autonoma, altrettanto importante è stato il ruolo di chi ci ha aiutato ad esempio a distribuire i nostri prodotti, a promuovere le nostre iniziative, a pubblicizzare le nostre attività e i nostri percorsi.
La proprietà formale dei beni materiali della comune è intestata all’Associazione Urupia, un’associazione culturale sen-za scopo di lucro creata ad hoc nel 1993 proprio allo scopo di “tutelare” anche giuridicamente tutti i beni della comune dalla eventuale rivendicazione privata di sin-goli individui, comunarde e non (per esempio parenti o altri “aventi diritto”, secondo il codice civile italiano). La scelta di formalizzare la proprietà collettiva della comune anche secondo il cosiddetto diritto “borghese” si è rivelata negli anni una scelta fondamentale e strategica, benchè le garanzie dell’eguaglian-za economica, a Urupia, siano assicurate dagli accordi tra le comunarde e dal corpo delle regole interne, e non certo dalla forza di qualche codice statale.
Dall’ottobre del 2002 esiste a Urupia anche un’altra forma giuridica: una cooperativa agricola che ufficialmente ha in affitto dall’associazione i terreni, i mezzi di produzione e i laboratori di trasformazione (la cantina, lo spaccio dell’olio, ecc.), e che si occupa delle attività agricole e della commercializzazione dei principali prodotti.
Quali sono le caratteristiche organizzative e gestionali, con quali relazioni tra le persone e con quali strumenti e sistemi produttivi si sta operando?
Tutti i principi sui quali la comune Urupia si fonda sono riassunti in una sorta di “patto associativo” che risale al settembre del 1993 e che noi definiamo i “Punti Consensuali” della comune.
Di questi, i più importanti sono la non esistenza all’in-terno della comune di proprietà privata (dunque la proprietà collettiva di tutti i beni, mobili ed immobili) e quello che noi comunarde chiamiamo il “principio del consenso”, ossia l’unanimità delle decisioni. Ogni comunarda, in altri termini, non solo partecipa alla gestione della cassa comune (nel sen-so che, dopo aver socializzato le sue precedenti proprietà, versa in questa cassa tutti i proventi economici delle sue attività e da qui preleva il ne-cessario per tutte le sue spese), ma ha anche la possibilità di esercitare all’interno del-l’assemblea il diritto di veto sulle decisioni collettive.
Questo modello organizzativo e decisionale, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, stimola la curiosità, il confronto e il dialogo molto più di quanto non accada all’interno di strutture organizzate secondo il principio della maggioranza e della minoranza, laddove invece lo scopo principale del “dibattito” inevitabilmente diventa la conquista del numero suffi-ciente a far vincere la propria opinione, che verrà poi regolarmente imposta alla minoranza di turno.
Nella pratica, a Urupia tutte le decisioni vengono prese all’interno di assemblee, diversamente organizzate e strutturate, dove si discutono i temi di interesse collettivo, a seconda del loro livello e della loro complessità, e si decide quali azioni intraprendere. In genere ogni lunedì si svolge l’assemblea generale, alla quale prendono parte sia le comunarde che gli ospiti, durante la quale vengono organizzate su base volontaria tutte le attività che si svolge-ranno nella settimana successiva: i vari turni (a Urupia molte mansioni, ad esempio il servizio cucina, sono a rotazione), i lavori nei campi o nella casa, le iniziative, ecc. L’assemblea delle comunarde, invece, anche questa in genere settimanale, affronta questioni di più vasto respiro e di prospettiva più lunga: scelte economiche, posizioni politiche, questioni sentimentali e di principio, ecc. A questa assemblea partecipano se lo desiderano anche alcuni ospiti tra quelli che noi chiamiamo di “lungo periodo”, persone cioè che si fermano a Urupia per mesi o anche per anni, magari con la prospettiva di diventare un giorno comunarde. La presenza degli ospiti è una caratteristica della nostra comune, la quale fin dall’inizio si è presentata come comune “aperta”: ogni anno, infatti, offriamo a decine di persone la possibilità di condividere la nostra esperienza di vita, così che nella comune difficilmente vivono meno di una ventina di persone al giorno.
Tutti i settori di attività, sia produttivi (nel senso che creano ricchezza materiale) che riproduttivi (e cioè le attività di cura e di accompagnamen-to) hanno a Urupia almeno un/a responsabile il/la quale anche, con tempi più o meno lunghi, può essere sostituito/a. I tempi, i ritmi e i modi del lavoro sono decisi collettivamente all’interno di ciascun settore lavorativo. Attualmente le entrate economiche della comune derivano dalla vendita dei prodotti agricoli (olio, vino, pane e prodotti da forno, trasformati), dal lavoro di un falegname e di una maestra elementare che insegna nella scuola di un paese vicino, dalle attività di un artista di strada. Tutte le altre attività hanno come scopo la soddisfazione dei bisogni della comune, in una logica di autogestione e di sussistenza.
Quali prospettive future pensate possa avere l’esperienza in corso sia in relazione alla propria forza costitutiva sia in relazione alle condizioni socioecono-miche in atto?
Il futuro della comune Urupia, ma soprattutto il suo ulteriore sviluppo, dipende molto dall’afflusso di nuove energie, ossia dall’arrivo di persone in grado e con la voglia di aprire nuove prospettive, di cogliere nuove possibilità. Le potenzialità di questo posto sono enormi: è incredibile la quantità di cose che si possono fare quando prendi in mano la tua vita e cominci ad autogestirla. Attualmente il limite più grosso a Urupia è proprio il numero limitato delle comunarde, che già hanno grandi difficoltà a stare dietro agli impegni ordinari di una realtà che dopo quasi quindici anni di vita ha assunto una ricchezza ma anche una complessità abbastanza difficili da gestire.
Negli ultimi tempi stiamo discutendo della possibilità di aumentare l’autonomia della comune in termini energetici: nell’ottobre del 1995 abbiamo costruito il primo impianto italiano di fitodepurazione delle acque reflue a canneto e già dal 1998 esistono a Urupia due impianti di solare termico, uno dei quali integrato con una caldaia a legna/sansa per il riscaldamento degli spazi abitativi; adesso l’obiettivo è la realizzazione – a lungo rimandata per questioni soprattutto economiche – di un impianto fotovoltaico per la produzione di corrente elettrica. Ma questo è solo uno dei tanti progetti dei quali si discute in assemblea, o sotto il camino.
Per quanto riguarda poi il condizionamento che la situazione socioeconomica esercita sulle prospettive della nostra comune (così come sul futuro di qualsiasi altra persona al mondo) spesso, di fronte alla non certo rosea situazione economica e politica italiana e mondiale, ricorre nelle nostre discussioni un “detto” coniato da alcuni anarchici milanesi agli inizi degli anni ottanta, che diceva più o meno così: “lasciamo il pessimismo per tempi migliori”. Questo per dire che, se agli albori del progetto la dimensione utopica dello stesso era predominante, oggi la comune si considera anche e soprattutto un baluardo, una barricata, una sacca di resistenza della cultura libertaria ed egalitaria di fronte alla crescente arroganza e violenza di un contesto sociale sempre più autoritario e fascista. La resistenza, insomma, è l’attività alla quale dovremo dedicarci in futuro, e questa coinciderà con uno sviluppo pratico ancora più forte dei nostri ideali libertari.
* Si tratta, per chi non lo sapesse, di strutture (la prima giuridicamente una cooperativa, la seconda una fondazione) che operano nel campo della cosiddetta finanza etica, o critica. Nate come forme di obiezione monetaria all’attività speculativa delle banche, praticano sia la raccolta del risparmio dei soci e delle socie che il finanziamento di progetti ad alto contenuto etico, politico, sociale, ecologico, ecc.