Saint Imier (agosto2012), di Alessio Lega (n°150)
I francesi fanno un rock-bandistico. Cioè sono musicisti di banda – “la Fanfare”, si chiama lì la banda - loro hanno una bella banda tradizionale, con un repertorio composto appositamente per loro, abitano in un paese prossimo a Poitiers e di quello vivono: degli spettacoli della loro banda. Sono tutti compagni, hanno costituito un collettivo e, fra gli altri progetti, girano pure con questo “Bolchoî Karma Expérience” che fa una sorta di Punk dai testi molto impegnati conditi da fiati strombazzanti. Sono molto simpatici: una piccola tribù che si porta appresso compagne, figli piccoli piccoli e masserizie varie. È con loro che siamo entrati in contatto io, Rocco e la Fra appena giunti a Saint Imier per cantare all’incontro internazionale degli anarchici. Il nostro trio suonava il primo giorno, alternandosi sul palco con i francesi. Arrivavamo stremati da cinque giorni (più che altro da 5 notti) di Festival “Fino al cuore della rivolta” a Carrara… ma questa è un’altra storia e la racconterò un’altra volta.
Partiamo da Carrara alle 9 e arriviamo a Saint Imier nel pomeriggio. L’ultimo caffè italiano è il simbolo della frontiera, un po’ per questioni di qualità, ma più che altro per questione di costi: ma quant’è cara sta Svizzera!
Il palazzetto che ospita le iniziative musicali ha senz’altro un’aria molto professionale. I camerini… tanto per cominciare ci sono (cosa per nulla scontata in queste occasioni militanti), e hanno un piccolo frigo ben stipato di birre: una quarantina di lattine, direi… per noi tre è un po’ sovradimensionato… le condivideremo con i Bolchoî che ne hanno altre quaranta, ma sono la metà di mille… sul frigo troneggia un piatto con due mele, tre pesche noci, tre albicocche e tre pomodori, evidentemente qui considerano il pomodoro proprio un pomo, un frutto da sbocconcellarsi come una mela, senz’altri condimenti.
Ci accolgono e ci istruiscono proprio loro, i nostri colleghi di palco… nei dintorni però si sta aggirando, con la sua aria svagata, Zeppo, il compagno di Neuchatel responsabile delle iniziative musicali, un giovane dall’aspetto e dalla capigliatura punk, uno stranissimo e insondabile mix di rigore ed assenza, di precisione elvetica e spontaneismo anarchico.
Finito il check dei suoni, in carovana, dietro al furgone scassato di Zeppo e al Camper dei francesi, si prende possesso (si fa per dire!) dell’alloggio che ci ospiterà appena fuori dal paese.
Caro diario libertario,
stiamo lì increduli davanti a quest’edificio greve, seminterrato.
È un bunker antiatomico, un rifugio, costituito al tempo della guerra fredda e oggi utilizzato per altri scopi… utilizzato, attenzione, non riconvertito… il luogo è rimasto quello che era: un sinistro dormitorio con le pareti di metallo, le porte spesse un metro e imbottite di cemento armato.
Ci dicono che alcuni compagni – destinati a questo alloggio - non hanno retto al senso di oppressione e asfissia che impone questo edificio e sono andati più su, sulle montagne, a occupare una palestra abbandonata… solo che questo rifugio qui, il bunker, è stato concesso dalla municipalità, invece la palestra è proprio occupata-occupata. Carichi come siamo di costosi strumenti non abbiamo nessuna voglia di correre il rischio di confrontarci con la polizia locale. Resteremo nel bunker.
Un’immagine mi si stampa negli occhi, in questo luogo che ben rappresenta il monotono orrore del pericolo nucleare e della guerra fredda. Nel parcheggino davanti all’ingresso, dove stiamo con i compagni francesi a guardarci negli occhi, c’è un tavolino tipo scuola. Seduti al tavolino in questa zona suburbana affacciata su quattro cascine, vista pollaio, una coppia di giapponesi fa un “romantico” picnic. Si sono seduti al tavolo, hanno aperto una busta di insalata, tirano fuori da un’altra busta due mozzarelle (proprio qui… in Isvizzera!!!) e si accingono a cenare… lì, soli in questa desolazione.
La situazione ha tinte surreali.
“Una coppia di giapponesi, mi dico, ma chi saranno”?
Sfoglio il programma delle conferenze: caspiterina, deve trattarsi del compagno Takurou Higuchi, che fra due giorni parlerà del “movimento di protesta contro le centrali nucleari in Giappone dopo Fukushima”… ma dico io, un giapponese esperto di protesta Anti-Nuke era proprio il caso di alloggiarlo in un rifugio atomico?
Noi intanto realizziamo con orrore che abbiamo tralasciato di portarci dietro sacchi a pelo e quant’altro e qui comincia già a spirare un’arietta di montagna che si muterà in gelo notturno… - la “Siberia” diceva il compagno Cotichelli fuggendo dal campeggio montano - e chi ci pensava? Veniamo da due mesi di caldazza infame, anche sui monti apuani!
Zeppo! Amico, compagno, salvaci tu… e Zeppo con la sua aria svagata parte. Chissà se ha capito che siamo italici di molto freddolosi! Riappare un quarto d’ora dopo sepolto da una montagna di piumini e coperte varie… per stavolta non moriremo di freddo. Ma s’è fatta ora di cantare.
La grande sala dei concerti è gelida – in senso lato, non climatico – e vuota… ci facciamo avanti un po’ timidi. Ma, appena cominciamo, comincia anche l’afflusso. Noi vogliamo testimoniare il nostro patrimonio popolare di canti di rivolta e gli anarchici italiani – presenti in tanti - hanno voglia di sentirli e cantano con noi… Oh, saremo senz’altro contro le patrie e i confini, ma cantare le parole di Addio Lugano qui a Saint Imier un brivido ce lo mette addosso. E infine “Il Galeone” è un urlo corale:
Compagni all’armi all’armi
pugnam col braccio forte
giuriam giuriam giustizia
o libertà o morte.
O libertà o…
… beh… meglio libertà!