La crisi della sinistra italiana, di Luciano Nicolini (n°252)
La sinistra italiana è in crisi. Molti sono i motivi ma, tra tutti, spicca la sua scarsa credibilità
Il declino è cominciato alla fine degli anni settanta del Novecento. Dopo aver trasformato profondamente il nostro paese (chi è giovane oggi non riesce neppure a immaginare che cosa fosse l’Italia, clerico fascista da un lato e stalinista dall’altro, dei primi anni sessanta), la sinistra radicale ha cominciato ad arretrare sotto i colpi dei suoi nemici. Li aveva colti di sorpresa: nessuno si aspettava la contestazione giovanile, il risveglio del movimento operaio, l’ondata femminista degli anni settanta. Ma al potere è stata sufficiente una decina di anni per riprendersi e passare al contrattacco.
Dagli anni settanta al nuovo secolo
Complice la folle scelta della lotta armata, operata da alcuni settori del movimento, nel corso degli anni ottanta siamo stati quasi tutti colpiti personalmente (tranne chi, opportunisticamente si era nel frattempo gettato tra le braccia del partito “socialista” di Craxi): le sedi politiche e sindacali si vuotavano rapidamente e i pochi compagni rimasti coerenti venivano ridicolizzati e tacciati di essere “idealisti”. Non è andata molto meglio negli anni novanta, malgrado la rinascita del sindacalismo conflittuale, né all’inizio del nuovo secolo, nonostante lo sviluppo del cosiddetto movimento “no global”: nei fatti, pur consolidando alcune conquiste ottenute negli anni settanta (si pensi al sostanziale miglioramento della condizione femminile e di quella degli omosessuali) abbiamo continuato a perdere terreno da un punto di vista economico e politico.
La situazione attuale
Nel corso degli anni successivi la sinistra radicale è praticamente sparita dalla scena: a sinistra del Partito Democratico, divenuto a tutti gli effetti forza politica di centro (non a caso ha cambiato il proprio nome da Partito Democratico della Sinistra a Partito Democratico), e dei suoi alleati, troviamo una miriade di minuscoli partiti sempre in lite tra loro. Non meglio vanno le cose nel campo del sindacalismo conflittuale (anch’esso diviso in numerose organizzazioni), né nel movimento libertario, diviso tra Federazione Anarchica Italiana, Alternativa Libertaria, Unione dei Comunisti Anarchici d’Italia e una moltitudine di gruppetti incapaci di rappresentare un punto di riferimento per la popolazione.
Qualche speranza da molti era stata riposta nel Movimento 5 Stelle che, pur nella più totale confusione ideologica, si era fatto portatore, nei suoi primi anni di vita, di rivendicazioni di estrema sinistra. Ma tutti sappiamo come è andata a finire…
Il Movimento 5 Stelle, del resto, è stato l’ultimo a godere di una militanza di massa paragonabile a quella che caratterizzava negli anni settanta le formazioni della sinistra radicale. Ma i suoi vertici hanno volutamente distrutto tutto, per non essere intralciati nella gestione del potere cui sono stati sapientemente associati.
Oggi, praticamente, la militanza non esiste più: coinvolge pochissime persone anche nei partiti e nei sindacati della sinistra radicale. La popolazione ha scarsissima fiducia nella possibilità di cambiare lo stato delle cose attraverso l’azione politico-sindacale. I giovani anche meno.
Una crisi di credibilità
Mi capita spesso, negli ultimi tempi, di partecipare a dibattiti sula crisi della sinistra. Chi vi partecipa fa notare che esistono mobilitazioni a carattere progressista (contro l’inquinamento, contro i licenziamenti, per il diritto alla casa, etc..) ma che chi le promuove, soprattutto se giovane, rifugge dall’inquadrare le proprie lotte in una prospettiva più generale, sia essa politica o sindacale.
Che ciò sia vero è fuori di dubbio: lo possiamo facilmente constatare. Il problema è che, a mio parere, tale prospettiva più generale non c’è, e quando è presente non è credibile.
Prendiamo ad esempio la cosa della quale si parla, quasi ossessivamente, da due anni a questa parte: il covid-19. La sinistra radicale, in tutte le sue componenti, non ha saputo, di fronte all’avanzare dell’epidemia e alle iniziative del governo, sostenere una posizione credibile: inizialmente quasi tutte le organizzazioni politiche e sindacali (comprese quelle del movimento libertario) hanno sostanzialmente sostenuto le posizioni governative anche quando erano chiaramente assurde e liberticide, arrivando a definire “fascista” chi le contestava. Solo da qualche mese diversi sindacati conflittuali hanno rivisto le loro posizioni, dando così l’idea di accodarsi a quelle formazioni di destra che avevano fin dall’inizio assunto un atteggiamento più critico: una figura davvero meschina!
E le cose non stanno andando molto meglio con la guerra attualmente in corso in Ucraina: l’iniziale, e coerente slogan “né con Putin, né con la Nato” comincia già ad essere messo in dubbio, oltrechè da qualche inguaribile filorusso, dai molti che si lasciano influenzare dalla martellante propaganda statunitense veicolata dai mezzi di comunicazione di massa. Insomma: si ciurla nel manico!
Prima del covid-19
Facendo due passi indietro, tornando a prima dell’epidemia, la maggiore preoccupazione degli Italiani sembrava essere quella di un’invasione di immigrati: su tale preoccupazione Salvini aveva costruito il proprio successo, e poco è mancato che si impadronisse del Paese. La sinistra radicale, coerentemente, si è sempre schierata per la libera circolazione degli esseri umani. E ha fatto bene: occorre che l’Italia si accolli gli oneri relativi all’accoglienza degli immigrati, cercando di integrarli nel miglior modo possibile e di farne pagare il costo alle classi dominanti. Ma non si può nascondere agli Italiani, che stupidi non sono, che un prezzo da pagare, in termini di minori consumi, ci sarà per tutti. E occorre quindi far intravedere loro, in cambio dei sacrifici richiesti, la possibilità di una vita più degna di essere vissuta, con maggiore soddisfazione nel proprio lavoro, maggiore libertà nella gestione della propria vita quotidiana, maggiore solidarietà, una giustizia civile efficiente e via dicendo. Non si è credibili se, come talvolta si è fatto, si affianca alla richiesta della libera circolazione degli esseri umani quella di forti aumenti salariali per categorie che già adesso godono di salari superiori alla media!
Un discorso analogo può essere fatto a proposito delle mobilitazioni tese a frenare il cambiamento climatico e le sue devastanti conseguenze. Bene ha fatto la sinistra radicale a raccogliere il grido di allarme che proviene dagli scienziati e viene amplificato dai giovani, i più direttamente interessati a quanto sta avvenendo. Ma non si può parlare di transizione ecologica senza evidenziare che essa potrà concretizzarsi soltanto attraverso l’adozione di un novo modello di sviluppo basato sulla semplicità volontaria. Una semplicità volontaria che significa anche rinunciare a una serie di consumi cui molti di noi si sono abituati.
In altre parole: a mio parere, alla sinistra radicale, per essere credibile, occorre un progetto chiaro e coerente per il futuro di quelle che oggi sono le classi subalterne, non la corsa a cavalcare qualsiasi rivendicazione offra l’occasione di contestare il potere delle classi dominanti.