Che cosa si muove (e cosa no) in Italia, di Luciano Nicolini (n°261)
Sono passati cinque mesi da quando la destra ha vinto le elezioni politiche (con il 44% dei voti espressi) e al suo interno la destra estrema ha trionfato (26% dei voti) insediandosi al governo
La reazione di quel poco che rimane della sinistra è stata piuttosto scarsa: i sindacati conflittuali hanno scioperato, in tutta l’Italia, il 2 dicembre e manifestato, a Roma, il giorno successivo, per il recupero dell’inflazione reale schizzata sopra il dieci per cento. Ma la partecipazione dei lavoratori allo sciopero non è stata esaltante.
Il rinnovo dei consigli regionali
Il 12 febbraio si è votato per il rinnovo dei consigli regionali in Lazio e in Lombardia: come largamente previsto, la destra ha vinto in entrambe le regioni. Ciò che invece ha sorpreso è stata la bassissima affluenza alle urne: hanno partecipato al voto solo quattro elettori su dieci!
La spiegazione, quasi unanime, di tale fenomeno, che s’inserisce peraltro in un andamento pluridecennale, è che gli Italiani non credono più nelle elezioni. Molte persone di sinistra avevano creduto, o perlomeno sperato, nel Movimento 5 Stelle: un movimento ambiguo fin dall’inizio ma che, nel far propri molti obiettivi della sinistra, anche estrema, aveva promesso di rinnovare profondamente la politica. La sua inaspettata alleanza con la Lega (prima) e, ancor più, il rapido omologarsi dei suoi portavoce alle peggiori abitudini dei loro predecessori (poi), hanno dato un altro duro colpo alla fiducia nei meccanismi elettorali.
Chi di sinistra non è (cioè la maggioranza degli Italiani) ha invece sperato nella “novità” rappresentata prima da Salvini, poi da Giorgia Meloni che, come era prevedibile, appena insediatisi da soli al governo hanno continuato la politica atlantista e neoliberista che caratterizzava il governo Draghi.
Tutti, insomma, hanno avuto la sensazione che attraverso le elezioni non si cambi niente.
Il sindacalismo conflittuale, nella misura in cui è anche politico, quando cioè mette in discussione gli equilibri di potere e le scelte di politica internazionale, non è immune da questa ondata di sfiducia; e ciò forse spiega perché, a vertenze settoriali anche dure e partecipate, come quelle che hanno luogo nel settore della logistica, si faccia fatica ad affiancare mobilitazioni di respiro più ampio.
Le lotte ambientaliste
Qualcosa si muove nel campo ambientalista: la grande siccità di questi ultimi anni, e in particolare quella verificatasi in Italia nell’estate scorsa, hanno fatto capire a molte persone che l’attuale modello di sviluppo è difficilmente sostenibile. Si diffonde cioè l’idea che siano necessari cambiamenti radicali nel modo di consumare e di produrre. Accade quindi che, di fronte alla minaccia costituita da una potenziale fonte di inquinamento o da una grande opera inutile quanto energivora, chi si mobilita tenda a formarsi una mentalità diversa da quella che aveva in precedenza, e a cercare il collegamento con altre lotte ambientaliste se non, addirittura, con quelle, rese sempre più necessarie dalla minaccia di un conflitto nucleare (che risulterebbe particolarmente devastante per il nostro paese), a carattere antimilitarista. In questo senso, mobilitazioni come quella contro il rigassificatore di Piombino, che culminerà l’11 marzo in una manifestazione nazionale (riportiamo l’appello a pagina 6) meritano di essere appoggiate dalla sinistra con grande determinazione.
L’otto marzo
Pochi giorni prima, in tutta l’Italia (e in tutto il mondo) si svolgeranno le consuete manifestazioni femministe in occasione dell’8 marzo, manifestazioni che spesso coinvolgono un gran numero di giovani. Avrà luogo anche uno sciopero generale proclamato, come ormai accade da diversi anni, dai sindacati conflittuali.
Il movimento delle donne, insieme a quello degli omosessuali, è forse il solo che, nei paesi del cosiddetto Occidente, continua a mietere successi. Non deve confondere la constatazione che diritti conquistati con tanta fatica, come quello all’aborto, vengano messi in discussione dai settori più arretrati della società, o che il diritto alla pensione anticipata venga condizionato, come ha voluto il governo Meloni, allo svolgimento dei tradizionali ruoli di badante e riproduttrice: la posizione delle donne nella società occidentale si rafforza ogni giorno di più, e sembra assai improbabile che possa essere restaurato lo stato di totale subordinazione nel quale le donne vivevano fino a pochi decenni fa.
È assai più probabile, invece, che l’obiettivo di godere degli stessi diritti dei maschi venga raggiunto anche in quei paesi che, sotto tale profilo, risultano più arretrati: la lotta delle Iraniane è lì a dimostrarlo.