Stato di emergenza, redazionale (n°267)
Il 5 ottobre il governo italiano ha prorogato di altri sei mesi lo “stato di emergenza” sull’intero territorio nazionale. Il pretesto è l’eccezionale incremento dei flussi di immigrati attraverso il Mediterraneo.
In base all’articolo 24 del decreto legislativo 1/ 2018 è il consiglio dei ministri a deliberare lo stato di emergenza, sulla base delle valutazioni presentate dal dipartimento della protezione civile. Tale delibera fissa la durata dello stato di emergenza e ne delimita l’estensione territoriale in base alla natura e alla gravità degli eventi.
Ormai, stando a quanto racconta il governo, si vive in un perenne stato di emergenza, che può essere dichiarato in seguito, o anche solo in previsione, di “situazioni eccezionali”.
La normativa prevede che in presenza di uno “stato di emergenza” si possa derogare alle disposizioni di legge. Questo avviene mediante l’esercizio del potere di emanare ordinanze, generalmente conferito al capo dell’ente responsabile della protezione civile.
Ci sono minori limitazioni riguardo ai vincoli di bilancio e trasparenza, e si possono limitare le libertà personali dei cittadini per motivi sanitari o di sicurezza: tutte cose che fanno molto comodo a chi detiene il potere.
La costituzione repubblicana, nata dalla resistenza, diventa carta straccia, e alle stesse leggi approvate dal parlamento è possibile derogare.
Di tutto ciò i giornali di regime non parlano neppure. E, del resto, come si potrebbe sostenere seriamente che l’immigrazione costituisce un’emergenza?
L’Italia è meta di immigrazione da più di trent’anni e, data la situazione demografica dei paesi africani (e non solo), è probabile che lo resterà per lungo tempo: di eccezionale c’è soltanto la faccia tosta di chi ci governa.
Nel frattempo l’Agens, associazione di servizi e trasporti, ha avanzato una proposta di legge che, nelle società di trasporto pubblico, riserva il diritto di sciopero ai soli sindacati firmatari del contratto collettivo, mentre gli altri dovrebbero sottoporre la proclamazione a un referendum preventivo ed ottenere il voto favorevole del 40% degli aventi diritto.
Ovvio che questo ennesimo attacco è il primo passo per estendere tale limitazione del diritto di sciopero a tutto il mondo del lavoro; come è ovvio che non ci sarà nessun partito che si dichiarerà contrario.
È necessario impedire che la proposta di legge sia approvata.