Il 2017, un anno difficile di Toni Iero (n°198)
È molto probabile che l’anno appena cominciato si presenti come un passaggio denso di pericoli per l’Italia e per i suoi abitanti
È difficile, se non impossibile, fare previsioni a proposito dell’evoluzione dei parametri economici. Tuttavia è molto probabile che l’anno appena cominciato si presenti come un passaggio denso di pericoli per il nostro Paese e i suoi abitanti.
Sul fronte economico conosciamo bene i numerosi punti di debolezza che contraddistinguono l’Italia. Anche a causa delle sciagurate politiche di austerità del governo Monti (non che i suoi successori siano stati migliori …), il sistema industriale italiano ha perso almeno un quinto della sua capacità produttiva. Molte tra le imprese sopravvissute sono state acquisite da conglomerati stranieri (Pirelli, Ansaldo, Parmalat, Italcementi, etc.), altre si sono trasferite all’estero (FIAT). Il sistema bancario, proprio a causa dei diffusi fallimenti aziendali, è alle corde ed è dovuto intervenire il governo che ha stanziato venti miliardi per ricapitalizzare gli istituti di credito in difficoltà (a proposito di riduzione del debito pubblico …).
Come se non bastasse, il quadro economico mondiale si presenta ricco di insidie. È finita la fase del petrolio a basso costo (il prezzo di un barile nel gennaio del 2016 era sceso sotto i 26 dollari, mentre adesso sfiora i 55 dollari). Questo implica un aumento della bolletta petrolifera per l’Italia, dato che dipendiamo quasi totalmente dall’estero per l’approvvigionamento energetico. La ripresa delle quotazioni petrolifere porterà ad un aumento dell’inflazione in Europa il quale, ancorché temporaneo, esacerberà gli attacchi tedeschi contro il “quantitative easing” della BCE, mettendo a repentaglio gli acquisti di titoli pubblici effettuati dall’istituto di Francoforte, ultima diga contro l’esplosione del problema del debito pubblico italiano (recentemente declassato anche dalla società di rating canadese DBRS).
La furente reazione elettorale alla disfatta sociale della classe media, determinata dalla globalizzazione, ha portato i cittadini inglesi a votare per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e, in novembre, all’elezione di un presidente protezionista negli Stati Uniti. Già nel 2015, la crescita del commercio mondiale è scesa sotto la crescita del PIL mondiale e, se verranno attuate le promesse di Trump per contrastare le importazioni negli USA, gli scambi internazionali rischiano di ridimensionarsi ulteriormente anche nel prossimo futuro. Ciò vuol dire che si ridurranno gli spazi anche per le imprese esportatrici italiane.
Sul fronte geopolitico, ma con importanti ripercussioni economiche, i nostri alleati ci hanno “soffiato” la Libia (ex colonia italiana). La rapacità di Francia, USA e Regno Unito, pronti a sfruttare la debolezza dell’Italia e la pochezza della sua classe politica, ha portato al disastro la nazione nordafricana. È ormai nota la minaccia degli “alleati” (c’era anche Hillary, tanto amata dalla sinistra istituzionale italiana) di bombardare i terminali petroliferi dell’ENI se l’Italia non avesse collaborato a defenestrare Gheddafi. La Libia è diventata terreno di scontro tra una pluralità di potenze (a quelle citate sopra occorre aggiungere almeno Turchia, Egitto e Qatar) che si combattono attraverso l’appoggio a gruppi tribali, etnici e religiosi. Per l’Italia ne sono derivati solo guai: problemi per l’ENI e i flussi di gas e petrolio verso la penisola, fine delle commesse libiche (che erano tutte a favore di imprese italiane), esplosione del traffico dei migranti, gestito da mafie e integralisti islamici.
D’altra parte, è dalla fine della guerra fredda che, con l’eliminazione politica di Craxi (voluta dagli americani e attuata dalla magistratura italiana con l’appoggio del PCI-PDS), il nostro Paese ha perso qualsiasi prospettiva di giocare un ruolo nella partita politica (ed economica) mondiale.
Il totale asservimento agli ondivaghi interessi del “protettore” americano ha dominato buona parte delle scelte politiche, sia sul fronte internazionale, sia su quello nazionale. Non è inutile ricordare come tra i principali agenti del padrone vi siano stati (e vi siano tuttora) proprio quegli esponenti del Partito Comunista Italiano (guarda caso, gli unici usciti indenni dal terremoto di Tangentopoli) che, a parole, si presentavano invece come i principali avversari del capitalismo USA.
La stessa partecipazione dell’Italia all’Unione Europea (creatura voluta da Washington) ha assunto un tale profilo di remissività e di passività che ha permesso ai partner europei di imporci trattati e normative a nostro totale svantaggio. Dalle “quote latte” al “bail in”, passando per quell’idiozia economica del “fiscal compact” (che ha introdotto nella costituzione il pareggio del bilancio), la classe politica italiana ha sottoscritto numerosi contratti capestro che hanno favorito il collasso economico (e sociale) del nostro Paese.
Da sempre, abbiamo trovato il cosiddetto centrosinistra (Prodi, D’Alema, Ciampi, Napolitano e soci) in prima fila nell’euro-entusiasmo più sciocco ed autolesionista. Oggi, il rappresentante in Italia degli interessi delle élite mondiali è proprio il Partito Democratico che, a parte qualche bizza estemporanea, non perde occasione per presentarsi come lo scolaretto modello che fa a casa i compiti commissionati dai maestri europei. Ad assecondarlo e spronarlo in questo atteggiamento entra in gioco il papa, in una versione terzo millennio di quel catto-comunismo così pernicioso per la società italiana sperimentato in passato.
Possiamo consolarci pensando che la sconfitta elettorale di Hillary Clinton ci ha risparmiato una probabile guerra con la Russia. Ma, a parte questa considerazione, sembra vi sia ben poco di buono in arrivo nel 2017. Dal punto di vista elettorale, le novità potrebbero essere il successo di Geert Wilders, fondatore e leader del Partito per la Libertà (una formazione di estrema destra), alle elezioni olandesi di marzo; il passaggio più importante sarà in Francia, dove l’unica candidata già accreditata per il passaggio al ballottaggio è Marine Le Pen, leader del Front National; infine, nelle elezioni tedesche che si terranno in autunno, le attese sono per verificare di quanto avanzerà il partito Alternative für Deutschland, anch’esso posizionato nello schieramento di destra.
Insomma, ci aspettano tempi difficili, come ripetiamo ormai da troppo tempo. Certo, qualcosa si muove, anche in conseguenza della furia dei cittadini che non mancherà di esprimersi elettoralmente. Però, ricordiamoci che in questi guai ci ha portato la sinistra (socialdemocratica ed ex bolscevica) e, quindi, è probabile che gli elettori si rivolgeranno alla destra per trovare una via d’uscita: si tratta di un passaggio foriero di grandi pericoli, anche sul fronte della tenuta di quel che resta dei nostri sistemi democratici.