Soros e il destino maligno, di Toni Iero (n°204)
Chi ha paura di Soros? Si chiede, non senza una certa ironia, Luciano Nicolini sul numero 201 di Cenerentola, osservando, giustamente, come certi ambienti abbiano fatto di tale personaggio l’emblema del male assoluto. Senza mancare di sottolineare un fatto curioso: la maggioranza dei suoi detrattori si trova nell’estrema destra e nell’estrema sinistra.
Ora, in verità, il personaggio non è che sia poi troppo simpatico. È quello che, insieme ad altri finanzieri, nel 1992 ha speculato contro la sterlina inglese e la lira italiana, contribuendo al collasso finanziario del nostro Paese. Che abbiamo pagato, nell’immediato, con una manovra da 90 mila miliardi di lire, il prelievo forzoso sui conti correnti e la prima di una lunga serie di “riforme” delle pensioni. Curiosamente, a tale soggetto, non proprio un benefattore della patria, nel 1995 è stata conferita la laurea honoris causa dall’Università di Bologna. Svista di qualcuno che ignorava chi fosse e i guai che aveva causato agli italiani, usuale servilismo tricolore nei confronti dei potenti o premio per un condiviso obiettivo raggiunto? Da rimarcare come, in occasione della sua visita presso la città felsinea, a fare compagnia al finanziere palindromo sia stato Romano Prodi che, qualche mese dopo, sarebbe diventato primo ministro italiano alla guida della coalizione di centro-sinistra dell’Ulivo.
Quindi, almeno in Italia, vi sarebbero giustificati motivi per avere in antipatia tale individuo. Tuttavia, la diffusione di voci sui suoi maneggi complottistici sono relativamente recenti e hanno poco a che fare con le sue poco edificanti imprese di un quarto di secolo fa.
Certo, una densa cortina di fumo circonda le sue mosse. D’altra parte, anche la definizione che dà di se stesso (Sono un uomo di Stato senza Stato. Nel realismo della geopolitica, ormai gli Stati sono fatti solo di interessi e non di principi. Io allora sono un capo con solo i principi e senza interessi) suona piuttosto inquietante. Ignoro se sia vero tutto quanto si afferma a suo proposito, così come appare difficile dimostrare il suo intervento dietro decine di organizzazioni non governative, molte operanti per lo più in Europa orientale, altre impegnate a traghettare migranti verso l’Italia. Potrebbe essere, ma anche no. Ancora meno chiare sono le motivazioni che lo spingerebbero a spendere notevoli somme di denaro per “aiutare” i poveri o gli oppressi da regimi autoritari.
Certo è che Soros, come tanti suoi colleghi, appartiene a quella élite globalista che ha tratto grande beneficio dai processi di internazionalizzazione della finanza. È ricco, ma la sua attività non produce nulla: non si tratta di un imprenditore per il quale vale il processo di accumulazione “denaro - merce – denaro” (denaro per investire e produrre qualcosa che, una volta venduto, procura maggiore denaro di prima). Nel suo caso, il denaro è generato solo da altro denaro (fare soldi con i soldi, vi ricordate di Mickey Rourke in “9 settimane e mezzo?”). Mi sembra del tutto normale che le sue pretese filantropiche generino più sospetti che altro.
Negli ultimi anni si sta assistendo a rilevanti cambiamenti del quadro sociale e politico. La scena politica di molti Paesi occidentali si sta dividendo non più solo secondo il tradizionale solco destra / sinistra, ma anche lungo un nuovo asse che separa le forze politiche favorevoli alla globalizzazione da quelle contrarie, che sostengono la necessità di ripristinare una rigida sovranità nazionale. Simpatizzanti di quest’ultimo approccio si trovano tanto all’estrema destra, quanto all’estrema sinistra: non stupisce quindi di trovare proprio tra costoro i più accaniti detrattori di personaggi come George Soros.
Questa nuova faglia del panorama politico è destinata a segnare profondamente il futuro. Si va diffondendo, tra la popolazione duramente provata dalla micidiale accoppiata tra globalizzazione e austerità fiscale, un sordo risentimento contro tutti coloro che fanno parte di questa nuova aristocrazia transnazionale che governa il mondo. Sempre più persone vedono nel ritorno allo Stato – nazione e nelle frontiere chiuse l’unica via d’uscita dall’incubo in cui le classi dominanti globaliste le hanno cacciate.
La sinistra riformista, che si è incaricata di sostenere la progressiva globalizzazione dei sistemi economici, si ritrova sempre meno apprezzata dai suoi antichi elettori, ossia i ceti usciti perdenti da questo grande sconvolgimento economico. Il favore con cui guarda al libero mercato, il suo atteggiamento propenso all’austerità fiscale, le scelte nel campo dell’immigrazione, l'abbandono di qualsiasi parvenza di lotta di classe le hanno alienato le simpatie di quella fascia di popolazione che afferma, in termini ormai sfumati, di voler rappresentare.
Il sistematico impoverimento cui è stata sottoposta la cosiddetta classe media nell’Occidente capitalistico ha generato paure e rancori che non mancheranno di manifestare i loro effetti. Il disfacimento di quello che una volta era il nucleo centrale della società ha reso di dubbia utilità i sistemi democratici, il cui funzionamento si basava sul conservatorismo / progressismo di questi ceti. Così, oggi, il potere fatica sempre più a governare il meccanismo elettorale. La plateale dimostrazione di questa difficoltà la si riscontra nel fastidio con cui vengono viste le elezioni: si pensi al “bizzarro” comportamento del Presidente della Repubblica italiana quando, alla fine del 2011, ha liquidato un governo cui il Parlamento non aveva mai votato la sfiducia e ha nominato un nuovo primo ministro evitando accuratamente di chiamare i cittadini alle urne. In parallelo, lo scetticismo popolare verso il meccanismo elettorale si sostanzia in tassi di astensionismo mai sperimentati in passato.
Qualcuno, ingenuamente, crede che tale diffusa sfiducia rappresenti la base su cui far attecchire una qualche proposta di autogestione sociale. Invece, siamo di fronte ad un persistente spostamento a destra dei ceti popolari, dove per destra intendo le forze politiche sostenitrici di uno Stato etico che impone le sue scelte ai cittadini. L’odio trasversale verso il vecchio finanziere di origini ungheresi, che accomuna gruppi marxisti con ambienti della risorgente destra sociale, ne è un sintomo. Si tratta di un fenomeno foriero di guai generalizzati poiché il nuovo scontro politico che si sta delineando nelle nostre società è quello tra globalisti finanziari (oggi al potere anche grazie ai loro agenti che controllano la maggioranza dei governi europei) e statalisti (agglomerato dove ha un peso determinante la componente autoritaria).
La proposta libertaria sembra essere del tutto fuori gioco. Con il concreto rischio che il nostro movimento possa rimanere schiacciato tra questi “opposti estremismi”.