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Categoria: Economia e finanza
Creato Giovedì, 31 Maggio 2018

Centro commercialeSupermercati, di Domenico Secondulfo (n°213)

Da qualche tempo a questa parte, negli Stati Uniti è iniziata una notevole crisi della grande distribuzione tradizionale, di quei supermercati che erano diventati un’istituzione durante l’espansione dei consumi, soprattutto trainati dagli acquisti del ceto medio. Naturalmente, con l’impoverimento del ceto medio, questi punti vendita, di buona qualità e a prezzi medio medio-alti, stanno entrando pesantemente in crisi, soprattutto nel comparto merceologico che non riguarda il cibo, cioè abbigliamento e tecnologia. Si parla di diverse decine di migliaia di posti di lavoro a rischio negli Stati Uniti.

Da noi la situazione dovrebbe essere meno critica, anche perché questo settore distributivo non è così saturo come negli Stati Uniti, però i fenomeni che sono alla base della crisi americana ci sono anche da noi, e mi riferisco, per l’appunto, all’impoverimento del ceto medio. Possiamo quindi aspettarci a breve un inizio di crisi in questa fascia della grande distribuzione, quella media medio-alta, a favore, invece, delle strutture distributive di primo prezzo che, infatti, anche nel comparto alimentare si stanno espandendo molto velocemente e vengono incontro alla diminuita capacità di spesa del famoso ceto medio. Del resto, la crisi economica ha insegnato ai consumatori ad acquistare meno quantità di oggetti, e  li ha comunque abituati ad una minuziosa analisi prezzo-qualità, abitudini in cui gli hard discount si sono inseriti con successo, aumentando un pochettino la qualità delle merci vendute e rendendo più accogliente l’arredo del punto vendita, permettendo così al ceto medio impoverito di acquistare prodotti decenti a prezzi bassi senza dover scontare la sensazione di essersi impoveriti. In maniera emblematica, un supermercato hard discount vicino a dove abito io ha adottato lo slogan “non cambiare stile di vita cambia supermercato”. Una crisi di questo tipo non aprirà comunque la strada ad un recupero dei piccoli negozi, il comparto urbano in cui nascono il supermercato ed il centro commerciale non è adatto alla diffusione del piccolo negozio; inoltre le abitudini di acquisto, legate soprattutto alla scarsa quantità di tempo a disposizione dei consumatori, rendono molto problematico un allargarsi della piccola distribuzione che richiederebbe al consumatore di spostarsi da un punto vendita all’altro per concludere la spesa quotidiana o settimanale. Inoltre, va tenuto presente che il centro commerciale, in particolare, è diventato anche un luogo di aggregazione sociale; ad esempio la spesa del sabato al supermercato o al centro commerciale è forse l’unica occasione della settimana in cui tutta la famiglia è unita in un unico evento e in un’azione comune. 

La crisi di questo tipo di distribuzione avrebbe ripercussioni sociali abbastanza spiacevoli, a parte la disoccupazione ulteriore che verrebbe a creare, anche perché nell’hinterland delle nostre città i centri commerciali hanno assunto la funzione di luoghi di aggregazione, di piazze, che non sarebbe facile sostituire. Infatti, tutti i tentativi di creare delle piazze in modo artificiale nei nuovi quartieri periferici sono falliti, non basta creare uno spiazzo per costruire una piazza. Inoltre supermercati e centri commerciali in disuso diventerebbero dei luoghi estremamente pericolosi, delle sorte di scheletri abbandonati che non è certo ciò che serve alle periferie delle nostre città. 

Sarebbe opportuno che, anziché continuare a concedere licenze per spazi di vendita molto ampi, si iniziasse a contingentarle, limitando quindi gli eventuali impatti di disoccupazione in caso di crisi, ed inoltre che nell’hinterland delle nostre città si studiassero dei sistemi per favorire non dico i piccoli negozi ma almeno i supermercati di piccola e media pezzatura, favorendo però all’interno di questi punti vendita degli spazi di socializzazione, come ad esempio dei bar con tavolini interni,  per salvaguardare quella funzione di centro di aggregazione che comunque, piaccia o meno, il centro commerciale ha assunto nelle nostre periferie.

Del resto, anche da noi alcuni settori commerciali sono già andati in crisi, come ad esempio quello dei mobili oppure quello della tecnologia o dell’abbigliamento; il problema serio accadrebbe se cominciassero ad andare in crisi anche i settori legati al cibo, che spesso sono il fulcro dei centri commerciali ed hanno un’alta attrattività quotidiana di consumatori, per cui possono facilmente diventare il punto di partenza di spazi di aggregazione sociale. Un po’ di cura dimagrante a queste strutture comunque non farà sicuramente male e magari sarà la volta buona che si abbasserà un pochettino il tasso di sfruttamento che, in queste strutture, richiama spesso le fabbriche della prima fase di industrializzazione di fine ottocento. Sarà per esempio il momento buono per dire addio al famoso H 24 che ha stravolto la vita di non so quante persone senza avere avuto un sostanziale impatto migliorativo sul volume di acquisti? 

Purtroppo è facile immaginare che l’eventuale crisi si abbatterà soprattutto sui lavoratori, che comunque si vedranno togliere un lavoro, benché pesante e spiacevole, senza avere nulla in cambio. È da sempre che l’area del commercio ha i contratti di lavoro peggiori in assoluto, e sarebbe anche ora che quello che resta dei sindacati si accorgesse dei nuovi processi di sfruttamento e di sofferenza nel mondo del lavoro, anziché restare ancorato a un mondo ottocentesco che ormai non esiste più da anni.

 

 

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