Euro e sovranità nazionale, di Toni Iero (n°218)
Con la rottura determinata dalle elezioni del marzo scorso, è entrato di prepotenza sulla scena politica il tema dell’appartenenza dell’Italia all’area della moneta unica europea
Su questo argomento si fronteggiano due fazioni, una acritica sostenitrice dell’euro e dell’integrazione europea, l’altra che ritiene che l’uscita del nostro Paese da questa area valutaria risolverebbe la maggioranza dei problemi economici in cui si dibatte da quasi un quarto di secolo l’Italia.
Ricordiamo che la circolazione fisica della moneta unica europea cominciò nel gennaio del 2002, ma l’euro ha cominciato a funzionare già a partire dal 1998, nel momento in cui furono fissate le parità irrevocabili tra le valute europee che sarebbero poi confluite nella nuova unità di conto continentale.
Nel grafico presentato sotto è riportata la crescita percentuale del PIL delle prime quattro economie dell’area dell’euro. Si noterà come l’Italia (rappresentata dalla linea continua più sottile) si collochi stabilmente tra i Paesi a minor crescita, occupando spesso l’ultima posizione.
Il secondo grafico, presentato nella pagina accanto, riporta il PIL medio pro capite, una misura della ricchezza prodotta per ogni abitante nei quattro Paesi oggetto del confronto. Qui la situazione appare ancora più chiara: per quanto riguarda questo importante indicatore, l’Italia ha perso l’aggancio con la Germania e la Francia, soprattutto a partire dallo scoppio della crisi generata dalla bolla dei mutui subprime americani.
I contrari all’euro sostengono che sia proprio la moneta unica responsabile di questa frenata dell’economia italiana e dell’impoverimento della popolazione, mentre i sostenitori dell'euro dichiarano che la cause di questa insoddisfacente prestazione sono complesse e vanno ricercate in problemi strutturali che affliggono la penisola (ci sarebbe, peraltro, da notare come i filoeuro, pur avendo governato ininterrottamente dal 1996, non siano stati in grado di risolvere neanche uno dei problemi strutturali cui fanno dotto riferimento).
Nel nuovo contesto politico, lo scontro tra pro euro e contrari all’euro ha assunto toni via via più elevati, anche perché al governo vi sono forze ed esponenti che non nascondono la loro propensione ad abbandonare l’euro. La questione non appare più, dunque, solo un’astratta aspirazione, ma un’azione che potrebbe essere messa in opera in un futuro non remoto. Da qui lo psicodramma che ritroviamo quotidianamente recitato sui media.
Se i contrari alla moneta unica europea, non senza una eccessiva semplificazione di complicate ed esplosive questioni economiche e finanziarie, assicurano che fuori dall’euro ci aspetta il ritorno ad una mitica età dell’oro grazie alla ritrovata sovranità monetaria, dall’altra i sostenitori dell’euro non risparmiano la fantasia nel descrivere scenari apocalittici conseguenti ad un eventuale ripudio di tale valuta.
In realtà, entrambe le squadre fanno più esercizio di propaganda che non analisi e previsioni sensate. Infatti, è praticamente impossibile prevedere cosa accadrebbe in seguito ad un evento così singolare come l’uscita dell’Italia da questo accordo di cambio. Anche perché, con tutta probabilità, la stessa moneta unica europea non sopravviverebbe se perdesse un Paese delle dimensioni dell’Italia che, ricordiamolo, è la terza più grande economia dell’area dell’euro. Si capisce bene come un tale evento potrebbe avere ripercussioni che andrebbero ben oltre il contesto economico e finanziario.
Credo che la realtà richieda un’analisi più equanime, dato che stiamo affrontando tematiche economiche assai complesse. È certamente vero che aver adottato la stessa moneta di Paesi con economie forti (Germania, Olanda) abbia creato un problema di competitività per le merci italiane, non più protette dalle ricorrenti svalutazioni della lira. È però altrettanto vero che i governi “europeisti” non siano stati capaci di risolvere innumerevoli intralci al funzionamento del nostro sistema produttivo di origine interamente autoctona. Le nostre scuole funzionano sempre peggio, per una sentenza di giustizia civile occorre aspettare un decennio, buona parte della pubblica amministrazione opera con strumenti del tutto superati, vi è un eccesso di leggi e di tasse che complicano la vita dei cittadini e delle imprese (soprattutto quelle di piccole dimensioni), la corruzione appare più diffusa rispetto agli altri Stati, il giro d’affari della criminalità organizzata ha un peso rilevante, etc. Appare velleitario scaricare la responsabilità del collasso del nostro Paese solo sulla decisione di aderire all’euro, ancorché, alla luce dei fatti, questa si sia rivelata una scelta del tutto inopportuna.
I due schieramenti opposti continuano a combattersi a colpi di analisi e discutibili previsioni economiche per giustificare la ragionevolezza delle rispettive posizioni. Come se una eventuale decisione si potesse prendere sulla base di un quadro prospettico analitico. Invece, io mi sono progressivamente persuaso che discutere di cosa dovrebbe fare l’Italia nei confronti dell’euro sia una pura perdita di tempo.
In realtà, per dirla con chiarezza, l’Italia non ha lo spessore geopolitico per porre la questione della sopravvivenza dell’area dell’euro (che si rifletterebbe, in definitiva, sulla stessa Unione Europea). Il nostro Paese ha un profilo troppo basso per decidere in autonomia su un argomento così importante a livello internazionale. Un governo italiano che, di propria iniziativa e contro gli interessi delle potenze dominanti, volesse ripudiare la moneta unica europea non durerebbe più di qualche settimana. Siamo una nazione che a distanza di 73 anni dalla sconfitta nella seconda guerra mondiale ha ancora il proprio territorio costellato di basi militari di una potenza straniera. Figuriamoci se ci può essere consentito di far fallire un progetto continentale che svolge un ruolo rilevante negli equilibri mondiali!
Quello che verosimilmente potrebbe accadere è qualcosa di diverso: l’Italia potrebbe fungere da detonatore di una scelta operata da qualche grande potenza (gli Stati Uniti di Trump, per esempio). Ossia, svolgere un ruolo a comando (da dissolutrice dell’Unione Europea) sulla base delle convenienze di un altro attore. Ma, in questo caso, sarebbe ben difficile presentare tale mossa come una tutela degli “interessi nazionali”. Ha senso che l’Italia si proponga per giocare questo ruolo nella partita geopolitica mondiale?
Prima ci renderemo conto dell’effettivo raggio d’azione in cui può operare il nostro Paese, prima saremo in grado di agire efficacemente per risollevarne le sorti. Il quadro che si sta delineando per gli italiani appare realmente preoccupante. Occorrerebbe attivarsi da subito per cercare di risolvere alcune questioni concrete ed urgenti. La lista da cui attingere è, purtroppo, lunga. L’unica strada è quella di definire alcune (poche) priorità e da quelle partire per ricostruire l’Italia e, perché no, anche la convivenza tra gli italiani.