Le conseguenze economiche del nuovo coronavirus, di Toni Iero (n°232)
Nel momento in cui scrivo, gli italiani stanno vivendo una situazione surreale. È come se il governo avesse messo l’intera popolazione agli arresti domiciliari. Con una sorta di coprifuoco esteso a tutte le 24 ore del giorno.
Non voglio entrare nel merito della ragionevolezza dei provvedimenti che il governo ha via via preso nell’arco delle ultime settimane. Anche perché l’effettivo pericolo rappresentato dal nuovo coronavirus è tuttora controverso.
Mi interessa, in questa sede, proporre qualche riflessione sui possibili effetti derivanti dall’estensione del contagio e dalle misure assunte dall’esecutivo. Infatti, devo ammettere che avevo sottovalutato il coronavirus. Non tanto per i rischi (che mi appaiono non terribili) di natura sanitaria, quanto per gli effetti sul quadro complessivo scatenati da questo “animaletto”.
Globalizzazione addio?
Una prima considerazione: a causa di questa pandemia, la globalizzazione dell’economia, come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, appare drasticamente messa in discussione. Sia per l’insorgere di nuovi oggettivi ostacoli allo spostamento di merci e persone, sia per la prevedibile accentuazione dell’atteggiamento negativo nei suoi riguardi da parte della maggioranza dell’opinione pubblica. Di per sé, questa non sarebbe necessariamente una brutta notizia.
La crisi della globalizzazione appare evidente anche dall’ennesimo flop dell’Unione Europea. Questa entità, che pomposamente voleva proporsi come modello da imitare a livello mondiale, non è stata neanche in grado di coordinarsi per affrontare una prevedibile emergenza sanitaria. Ancora una volta ogni Stato ha agito da solo, applicando criteri e metodiche diverse con l’obiettivo di perseguire il proprio interesse, anche a scapito di quello degli altri. Il risultato è stato devastante, non tanto in termini di diffusione della malattia (l’epidemia vi sarebbe stata ugualmente), quanto in termini della sua gestione sanitaria. Alla fine, il primo concreto aiuto arrivato ai medici italiani è stato quello cinese, mentre i “fratelli” europei parevano più propensi a deriderci o, nella migliore delle ipotesi, stavano a guardare. Nelle capitali del vecchio continente, probabilmente, circola la segreta soddisfazione di poter assestare un altro colpo a un concorrente commerciale. La conclusione è che l’Unione Europea, dimostratasi platealmente incapace di tutelare la salute dei suoi cittadini, più che inutile appare a molti ormai dannosa. Alcune reazioni di fedeli europeisti (Mattarella vale per tutti) lasciano intendere come stia dilagando un certo nervosismo anche tra i seguaci italiani dell’ormai fallito progetto europeo. Il disastro borsistico seguito ai (mancati) provvedimenti presi dalla BCE e, soprattutto, alle dichiarazioni della presidente Lagarde, ha aggiunto ulteriori danni ad un sistema economico già in grave crisi.
L’Italia è in pericolo
Credo che il pericolo che sta correndo l’Italia non vada sottovalutato. In questa vicenda, il paragone con una guerra appare, per una volta, azzeccato. C’è un fronte (gli ospedali) con un esercito (il personale sanitario) e i suoi caduti (morti, ammalati, contagiati). Il punto è che, come al solito, arriviamo alla prova del fuoco impreparati: dopo decenni di risparmi, tagli, spending review, etc. la struttura sanitaria pubblica italiana dispone di pochi mezzi e anche di pochi uomini (è ben noto come l’ormai cronico sotto finanziamento dei corsi di specializzazione abbia prodotto una grave carenza di medici, ormai irrimediabile nel breve periodo). Questo è il quadro del Nord. Al Sud, la sanità pubblica è ancor più malandata. E, com’era facilmente immaginabile, la tanto lodata sanità privata, quando c’è stato bisogno di affrontare una minaccia seria, si è dimostrata inconsistente.
Inoltre, non tranquillizza la consapevolezza che, ad affrontare questa emergenza, vi sia una classe dirigente di quart’ordine. Che ha prodotto una sequenza continua di misure che talvolta si contraddicono tra loro. Pressappochismo e superficialità sono ben evidenti dai risultati conseguiti.
Il sistema produttivo
Se il paragone tra il contenimento dell’infezione da coronavirus e una guerra è azzeccato, per vincere servirebbero un efficiente sistema produttivo e un’adeguata logistica. Qui emergono alcuni problemi di cui abbiamo discusso in questi anni. Non può non colpire il fatto che, in tutta Italia, vi sia solo una piccola impresa che costruisce apparecchi per la ventilazione polmonare! Carenza tanto più grave alla luce del sostanziale disinteresse che gli amici europei hanno mostrato verso i nostri problemi. Inoltre, vi è il pericolo che le catene logistiche saltino a causa sia delle necessarie precauzioni sanitarie, sia delle inevitabili tensioni sorte all’interno del mondo del lavoro (non è un segreto che vi siano numerosi scioperi spontanei per la giustificata paura del contagio).
L’esperienza della tentata fuga in massa da Milano, in occasione della maldestra gestione governativa dell’estensione a tutta la Lombardia della qualifica di area rossa, lascia intendere che vi è una parte della popolazione suscettibile a farsi prendere dal panico. D’altronde, se si drammatizza la situazione, cos’altro ci si poteva aspettare? In questo fragile contesto, pensiamo cosa potrebbe accadere se si incominciasse a non trovare più frutta, verdura o latte nei supermercati ...
Il pericolo incombente non è solo quello di perdita di posti di lavoro o di diminuzione del reddito, elementi di per sé già gravi. In realtà, non può essere escluso il rischio di una repentina disgregazione sociale che potrebbe verificarsi se la sanità pubblica del Nord Italia dovesse collassare o se, per qualsiasi motivo, si interrompessero o si inceppassero le forniture, soprattutto alimentari, ai negozi. Si tratta di una prospettiva inquietante, se solo si immagina il tipico comportamento di una folla in preda al panico.
Il danno economico
In ogni caso, il danno economico inferto al nostro Paese è incalcolabile. Turismo, commercio, attività artigianali, ma anche fabbriche, trasporti... praticamente ogni comparto produttivo è stato gravemente penalizzato dalla situazione venutasi a creare. È un ulteriore duro colpo inferto a una nazione che era già in grave difficoltà. Non illudiamoci che la tanto sbandierata disponibilità della Commissione Europea a permettere al governo italiano di spendere di più risolva il problema: non ci stanno aiutando, ci stanno solo consentendo di indebitarci di più!
Altre nubi potrebbero arrivare già nelle prossime settimane dal contesto internazionale. Gli Stati Uniti sono strutturalmente incapaci di gestire l’epidemia di coronavirus, poiché hanno una debole sanità pubblica e una ancor più debole tutela del lavoro. In questi giorni il governo di Washington sta affannosamente cercando di correre ai ripari. Però potrebbe non farcela. Se gli USA dovessero trovarsi nelle condizioni in cui versa oggi l’Italia, rischierebbe di fermarsi la principale economia planetaria... non occorre aggiungere altro.