Sulla ratifica della riforma del MES (n°269)
La questione della ratifica della riforma del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) ha visto divisi i partiti di governo e, ancor più, quelli di opposizione.
A tale proposito riportiamo un appello firmato nel 2020 da settanta intellettuali vicini alla sinistra e, di seguito, un articolo, di ben altro tenore, del nostro collaboratore Toni Iero.
Mes, una riforma che persevera negli errori
«L’Italia non deve avallare un meccanismo che riproduce le logiche del passato, che si sono rivelate clamorosamente sbagliate. Inoltre accettare questa riforma significherebbe ridurre gli interventi innovativi decisi per fronteggiare la pandemia a un’eccezione, in attesa di tornare appena possibile a politiche che minacciano la stessa sopravvivenza dell’Unione.
Il governo italiano si appresta ad approvare la riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Una riforma preparata prima dell’insorgere della pandemia e che risponde alla logica della “vecchia” Europa, quella che ha drammaticamente fallito nella gestione della crisi greca e che ha sbagliato anche nell’affrontare le conseguenze della crisi del 2008, relegando una delle aree economiche più ricche del mondo ad una sostanziale stagnazione decennale.
La crisi pandemica sembrava aver provocato un salutare anche se tardivo ripensamento, con la messa in campo di strumenti che fino ad allora erano stati rifiutati. Ma questa riforma, per le sue caratteristiche, fa pensare che si voglia relegare questo cambiamento all’eccezionalità della situazione, per riprendere, una volta dichiarata finita l’emergenza, quegli stessi schemi che si sono dimostrati clamorosamente fallimentari. Anche le ipotesi su un’altra importante riforma, quella del Patto di stabilità, rafforzano questa lettura.
Il Mes, derivante da un accordo intergovernativo, è estraneo all’ordinamento dell’Unione, e questa riforma rafforza il suo ruolo rispetto agli organismi comunitari, aumentando ulteriormente il carattere tecnocratico della gestione dell’Unione. Il dramma è che l’accrescimento di questo ruolo avviene a favore di una tecnocrazia che si è già dimostrata ampiamente inadeguata nelle scelte di politica economica.
Anche personalità di indiscutibile fede europeista, come il presidente dell’Europarlamento David Sassoli e l’ex presidente del Consiglio italiano Enrico Letta, si sono dichiarate a favore di un radicale ripensamento di questo meccanismo, che dovrebbe essere ricondotto all’interno dell’ordinamento comunitario. Altri, invece, come il membro lussemburghese del board della Bce Yves Mersch, hanno chiarito in modo esplicito che il Mes non serve a “salvare gli Stati” – cosa che sarebbe impossibile senza l’intervento della Banca centrale europea – ma a sottoporli a una sorta di “amministrazione controllata” attraverso le famigerate “condizionalità”. Mersch è giunto a minacciare una battaglia per frenare l’azione della Bce, di fondamentale importanza specie in questa fase, se i paesi europei non ricorreranno al Mes. Non si poteva spiegare più chiaramente che il Mes non è uno strumento di aiuto, ma di controllo, un controllo affidato a funzionari senza nessuna legittimazione democratica e il cui compito statutario è agire “nell’interesse del creditore”, indipendentemente dalle conseguenze che ciò può provocare al paese sottoposto alla sua potestà.
Nel Movimento 5 Stelle, che finora è stato il solo partito della maggioranza di governo ad opporsi all’approvazione, sembra farsi strada l’orientamento di dare il via libera alla riforma a patto che poi l’Italia non faccia ricorso al Mes. È un errore. Il Mes va rifiutato senza se e senza ma, così come va respinta l’affermazione secondo cui il prestito sanitario avrebbe condizionalità leggere o persino inesistenti, cosa che non ha riscontro nelle norme, che non sono state in nulla modificate. Il problema più importante è proprio il via libera a una riforma che riconferma una linea europea fallimentare, che in prospettiva mette in pericolo la stessa sopravvivenza dell’Unione. Qualsiasi seria riforma dell’ordinamento europeo deve prevedere l’abolizione del Mes. L’Italia non deve perdere l’occasione di affermare con forza questo punto.
La storia d’Italia degli ultimi trent’anni è caratterizzata da snodi critici in cui riforme apparentemente tecniche e di scarsa portata hanno pesantemente condizionato gli sviluppi futuri e limitato fortemente la discrezionalità politica nazionale, consegnandola al “vincolo esterno”. Tali riforme sono state fatte passare senza che l’elettorato fosse sufficientemente informato e cosciente della posta di gioco, spesso con argomenti speciosi quali la necessità di non perdere “credibilità” dinanzi ai partner europei. Siamo convinti che la riforma del Mes rappresenti uno di questi snodi cruciali e che sia necessario opporle il veto. Non solo perché nessuna delle richieste italiane è stata accettata – in particolare la contestuale attivazione della garanzia europea sui depositi bancari – ma soprattutto per affermare con forza che bisogna farla finita con la “vecchia” politica, e che i provvedimenti presi per fronteggiare la crisi pandemica non devono essere una eccezione destinata ad esaurirsi, ma la base di una politica europea profondamente diversa da quella del passato».
Il 5 dicembre 2020 avevano firmato l’appello riportato nella pagina precedente: Nicola Acocella, Giuseppe Amari, Davide Antonioli, P. Giorgio Ardeni, Amedeo Argentiero, Lucio Baccaro, Alberto Baccini, Simona Balzano, Annaflavia Bianchi, Maria Luisa Bianco, Silvia Borelli, Paolo Borioni, Emiliano Brancaccio, Carmelo Buscema, Rorita Canale, Giuseppe Celi, Sergio Cesaratto, Roberto Ciccone, Carlo Clericetti, Omar Chessa, Andrea Coveri, Marco Dani, Massimo D’Antoni, Claudio De Fiores, Antonio Di Majo, Giovanni Dosi, Caterina Ferrario, Guglielmo Forges Davanzati, Gianfranco Franz, Andrea Fumagalli, Mauro Gallegati, Giorgio Gattei, Stefano Giubboni, Claudio Gnesutta, Marco Goldoni, Dario Guarascio, Andrea Guazzarotti, Valentino Larcinese, Riccardo Leoncini, Riccardo Leoni, Enrico Sergio Levrero, Federico Losurdo, Stefano Lucarelli, Salvatore Madonna, Ugo Marani, Massimiliano Mazzanti, Augustin Menéndez, Edmondo Mostacci, Antonio Musolesi, Guido Ortona, Sergio Parrinello, Gabriele Pastrello, Anna Pettini, Paolo Piacentini, Augusto Pianese, Paolo Pini, Riccardo Realfonzo, Fiammetta Salmoni, Enrico Saltari, Daniele Scapigliati, Roberto Schiattarella, Alessandro Somma, Antonella Stirati, Giuseppe Tattara, Mario Tiberi, Leonello Tronti, Andrea Ventura, Marco Veronese Passarella, Maurizio Zenezini e Gennaro Zezza.
La ratifica della riforma del MES. Un altro psicodramma italiano, di Toni Iero
Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES o, in inglese, ESM – European Stability Mechanism) è un’organizzazione intergovernativa con sede in Lussemburgo. Esso opera secondo il diritto internazionale per tutti gli Stati membri della zona euro che lo hanno ratificato. Il MES è stato istituito il 27 settembre 2012 per fornire accesso immediato ai programmi di assistenza finanziaria agli Stati membri della zona euro in difficoltà finanziarie, con una capacità di prestito massima di 500 miliardi di euro. La nascita del MES è avvenuta nel periodo più acuto della crisi dei debiti sovrani europei.
Gli “azionisti” del MES sono gli Stati. Ogni Paese ha versato una quota proporzionale al suo prodotto interno lordo e il suo voto pesa in funzione della quota versata. «Il MES è guidato da un “Consiglio dei Governatori” composto dai 20 Ministri delle finanze dell’area dell’euro. Il Consiglio assume all’unanimità tutte le principali decisioni (incluse quelle relative alla concessione di assistenza finanziaria e all’approvazione dei protocolli d’intesa con i Paesi che la ricevono). Il MES può anche operare a maggioranza qualificata dell’85% del capitale ma solo quando, in caso di minaccia per la stabilità finanziaria ed economica dell’area dell’euro, la Commissione europea e la BCE richiedano l’assunzione di decisioni urgenti in materia di assistenza finanziaria»1. Vi sono tre nazioni (Germania, Francia e Italia) che detengono più del 15% delle quote del MES: questo implica che, di fatto, questi tre Paesi abbiano una sorta di diritto di veto sulle decisioni di questo organismo.
Nel corso del 2021 sono state proposte alcune modifiche al funzionamento del MES. La proposta di riforma interviene sulle condizioni necessarie per la concessione di assistenza finanziaria e sui compiti svolti dal MES in tale ambito, introducendo modifiche di portata complessivamente limitata; la riforma non prevede né annuncia un meccanismo di ristrutturazione dei debiti sovrani, non affida al MES compiti di sorveglianza macroeconomica. La riforma, inoltre, attribuirebbe al MES una nuova funzione, quella di fornire una rete di sicurezza finanziaria (backstop) al Fondo di risoluzione unico (un’altra entità creata all’interno dell’Unione Europea, il Single Resolution Fund, SRF) deputato ad intervenire nel caso di crisi bancarie.
In sostanza, gli aspetti qualificanti la riforma del MES riguardano:
1. la concessione di linee di credito a un Paese in crisi;
2. le misure volte a rendere più facile la ristrutturazione del debito sovrano.
Per quanto riguarda il primo punto, sono state definite due diverse linee di credito, una precauzionale e una rafforzata. La prima è disponibile agli stati dell’eurozona con “solidi fondamentali economici”, che potrebbero essere colpiti da shock avversi fuori dal loro controllo. In sostanza, si tratterebbe di una assistenza temporanea ad un membro dell’Eurozona che… non avrebbe veramente bisogno di aiuto! Infatti, la vera questione riguarda la cosiddetta linea di credito rafforzata, per concedere la quale il Paese in difficoltà deve sottoscrivere un memorandum d’intesa che, presumibilmente, conterrebbe clausole vincolanti la sua politica economica (opzione indigeribile per i sovranisti di destra e di sinistra).
Infine, la riforma puntava a rendere più facile la ristrutturazione del debito pubblico, introducendo per i titoli emessi dagli Stati europei le cosiddette single-limb CACs (Collective Action Clauses). «Con le single-limb CACs si prevede che, se una maggioranza qualificata di creditori approva determinate modifiche al regolamento del prestito, queste valgano per tutti i titoli emessi. Ciò per evitare situazioni, viste ad esempio con l’Argentina, in cui alcuni speculatori comprano una emissione di debito pubblico a forte sconto e ne rifiutano la ristrutturazione se non a prezzo sensibilmente maggiore di quello di loro acquisto, bloccando tutto il processo»2.
Dovendo tirare le somme di questa proposta di riforma, verrebbe da dire che essa non appariva particolarmente minacciosa per l’Italia. L’affermazione che i soldi del MES servirebbero per salvare le banche tedesche o francesi è del tutto priva di significato, poiché l’intervento del MES in caso di crisi bancarie sarebbe piuttosto limitato e, soprattutto, avverrebbe solo dopo che gli azionisti delle banche interessate avessero perso i loro soldi.
Va poi sottolineato come non vi sia alcun obbligo di ricorrere al MES da parte di una Stato. Certo, in caso di una nuova crisi del debito pubblico, il MES concederebbe i suoi fondi a fronte di un piano fiscale e di spesa pubblica concordato. Se uno Stato è sull’orlo del default non ha molte altre scelte e il ricorso ai mercati finanziari per ottenere risorse sarebbe inutile o avverrebbe a condizioni molto peggiori.
D’altra parte, quando una entità presta del denaro ad uno Stato ha diritto a verificare che il suo denaro venga utilizzato ai fini del risanamento finanziario e non, magari, per nuova spesa pubblica clientelare.
La scelta del governo italiano (e della maggioranza che lo sostiene) di non ratificare la riforma del MES sembra del tutto irragionevole e guidata più da considerazioni ideologiche che da una seria analisi dei vantaggi e degli svantaggi offerti da questa riforma. È bene aver chiaro che questo organismo esiste ed è destinato a rimanere in vita, nonostante la mancata ratifica da parte del Parlamento italiano.
Poiché tale riforma richiedeva la ratifica di tutti gli Stati dell’Eurozona, il no italiano l’ha fatta definitivamente naufragare. Fattore che non aumenterà la “benevolenza” degli altri Paesi europei nei riguardi dell’Italia. È probabile che questo sia destinato a creare problemi in un’altra importante partita in corso di definizione, ossia la revisione del patto di stabilità, che riguarda la valutazione dei saldi di finanza pubblica (deficit e debito).
Temo che le velleità di chi crede di poter “sbattere i pugni sul tavolo” europeo, senza essere in grado di risanare i conti pubblici, ripristinare il funzionamento della pubblica amministrazione e rilanciare il proprio sistema economico, potranno solo apportare danni agli italiani.
1 Banca d’Italia, “Il Meccanismo europeo di stabilità (MES - European Stability Mechanism, ESM) e la sua riforma: domande frequenti e risposte”.
2 Mario Seminerio, “MES, domande e risposte su una commedia italiana”. https:// phastidio.net