Pane bianco e guerra sporca, di Luciano Nicolini (n°180)
Si usa dire che chi vuol capire dove andrà a parare il governo italiano deve leggere gli editoriali del Corriere della sera, quotidiano assai meno renziano di Repubblica, ma più vicino ai poteri forti che finora lo hanno sostenuto. In tale ottica va letto l’editoriale di Angelo Panebianco, pubblicato a cento anni dall’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale e intitolato: “La lezione (rimossa) delle guerre”.
«Le bandiere nere dello Stato Islamico non sventoleranno mai, o così si spera, a San Pietro – scrive - (…). A sua volta, la Libia verrà prima o poi messa sotto controllo senza combattimenti cruenti (ma qui le speranze sono decisamente inferiori), con il disarmo delle milizie armate, da una coalizione internazionale, magari a guida italiana, alleata ai governanti (quali?) locali.
E forse l’Italia continuerà ad avere fortuna: il terrorismo jihadista non ci colpirà. Forse. Nel frattempo, i rumori di guerra restano forti e vicinissimi a noi. Occorrerà restare pronti a tutto per chissà quanto tempo.
In queste condizioni diventa lecita una domanda: che succede quando uno Stato che deve fronteggiare tempi assai turbolenti decide, con atto solenne, di equiparare, civilmente e moralmente, i disertori condannati a morte di una guerra di cento anni prima ai soldati che in quella guerra combatterono e morirono rispettando gli ordini ricevuti? Tale atto solenne significa solo chiudere in un certo modo (discutibile o meno che esso sia) una pagina di storia passata?
O significa anche condizionare e prefigurare il futuro? Se viene stabilito per legge che non c’è differenza, morale e civile, fra colui che si ribellò agli ordini rifiutandosi di combattere e colui che morì combattendo, non si finisce per svalutare l’azione di quest’ultimo?
E non si finisce anche, se non proprio per legittimare la ribellione agli ordini in eventuali future situazioni di conflitto armato, per rendere comunque tale comportamento meno grave, quanto meno sul piano morale? Con una votazione sorprendente (331 sì, nessun contrario, un astenuto), la Camera ha licenziato un testo che ora passerà al Senato per l’approvazione definitiva. Se diventerà legge dello Stato consentirà la riabilitazione dei circa mille soldati italiani che, durante la Prima guerra mondiale, vennero giustiziati dopo un regolare processo oppure passati per le armi per ordine dei loro diretti superiori (in certi casi anche usando l’odioso metodo della decimazione) secondo le regole di guerra vigenti, perché accusati di diserzione, fuga di fronte al nemico o disobbedienza, anche collettiva, ai superiori. (…)» La cosa lo preoccupa, e prosegue: «Se chi diserta ha la stessa dignità di chi combatte, cosa diventa lecito pensare di quelli che, nonostante tutto, scelgono di obbedire agli ordini? (…)»
Evidentemente, ritiene probabile che il governo chiami presto i giovani (e non soltanto i volontari) a combattere per lui, e conclude: «Forse il Parlamento farebbe meglio a dedicare un supplemento di attenzione alle implicazioni, simboliche e pratiche, di certe sue scelte».
Siamo avvisati.