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Categoria: Guerra
Creato Venerdì, 01 Aprile 2016

Gaddafi 1972Libia: che cosa succede al “Corriere”? di Luciano Nicolini (n°189)

Sono solito ripetere, come una litania, che per capire la volontà di coloro che comandano in Italia occorre leggere gli editoriali del Corriere della sera. E non ho mancato di far notare come, da alcuni mesi a questa parte, tale giornale stia facendo propaganda a favore di un massiccio intervento delle truppe italiane in Libia.

Potete pertanto immaginare il mio stupore quando, mercoledì 30 marzo, il quotidiano è uscito con, in prima pagina, un titolo a cinque colonne (su sei disponibili) intitolato “Caso Regeni, la madre scuote l’Italia”. Il nostro, è noto, è un paese di mammisti, e sbattere il dolore di una madre in prima pagina può far aumentare le vendite, ma il governo egiziano è alleato di quello italiano nell’impresa libica!

Ancor più mi ha sorpreso il fatto che la sesta colonna ospitasse un editoriale di Paolo Mieli intitolato: “Evitiamo avventure in Libia”. Scrive l’autore: “È giunto il momento di dirlo nella maniera più esplicita: sarebbe un grave errore, in un contesto come l’attuale, inviare migliaia, anzi decine di migliaia di soldati in Libia solo perché ce lo ha chiesto un governo insediato all’uopo. La presenza di quei militari getterebbe una pesante ombra di ulteriore discredito sul già delegittimato governo libico e, anziché debellarla, rischierebbe di rafforzare la presenza Isis che fa capo alla città di Sirte. La benedizione dell’Onu non sarebbe sufficiente a trasformare tale esecutivo in qualcosa di diverso da un “governo fantoccio”. E non esistono precedenti storici di governi di tal fatta che non abbiano aggiunto caos al caos e non abbiano trascinato nel baratro coloro che li avevano istituiti».

Più chiaro di così!

E dire che, poco meno di due mesi fa, sul Corriere della sera, Panebianco chiamava alla guerra e Sergio Romano, come da me sottolineato sullo scorso numero di Cenerentola, arrivava a scrivere, a proposito del caso Regeni, che «nella prospettiva del Cairo la riparazione di un atto ingiusto e crudele è molto meno importante, in questo momento, della efficacia del dispositivo di sicurezza con cui il Paese si difende dai jihadisti dell’Isis e dalla fazione radicale della Fratellanza musulmana. E – aggiungeva – sappiamo che non vi è purtroppo un forte sistema di sicurezza, in un Paese minacciato dal terrorismo islamista, se il governo non lascia ai suoi servizi di polizia un certo margine di libertà». Un ragionamento che suonava quale giustificazione anticipata dell’impiego della tortura da parte della polizia italiana nella “guerra contro l’Isis”.

 Che dalle parti del Corriere abbiano cambiato idea?

Per verificarlo sono andato a leggere la pagina in cui Sergio Romano risponde ai lettori e, guarda caso, il 30 marzo rispondeva a tale Aldo Astrologo che scrive «Gheddafi, anni fa, voleva acquistare l’atomica e gettarla su Israele. “Basta – diceva – una sola bomba su Tel Aviv e il problema è risolto. A chi gli faceva notare che avrebbe ucciso due milioni di palestinesi, rispondeva: “Non importa, saranno contenti di sacrificarsi”».

Ecco la risposta di Sergio Romano: «Affermazioni come quella citata nella sua lettera appartenevano alla retorica roboante di un leader che amava stupire, ma non era totalmente privo della capacità di calcolare le conseguenze delle sue iniziative.

Ne avemmo la prova quando, dopo parecchi anni di pericolose provocazioni (…) decise di venire a patti con i suoi principali nemici e accusatori. (…)

È probabile che la mossa di Gheddafi fosse dovuta principalmente al desiderio di ottenere la revoca delle sanzioni adottate contro la Libia dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Il colonnello aveva un ambizioso programma per la costruzione di enormi infrastrutture e sapeva che non avrebbe mai potuto realizzarlo senza gli investimenti e le tecnologie dell’Occidente. Anche l’accordo con l’Italia, firmato a Bengasi nell’agosto del 2008 con Silvio Berlusconi, allora presidente del consiglio, rientra in questa logica. Mi chiedo a quale logica appartenesse invece l’operazione militare voluta nel 2011 da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti: una sventatezza di cui ancora paghiamo le conseguenze».

Tutti fulminati sulla via di Damasco? (Sarebbe il caso di dirlo…)

La cosa non può che farmi piacere, ma è sospetta…

 

 

 

 

 

 

 

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