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Categoria: Guerra
Creato Lunedì, 07 Giugno 2004

Le e/lezioni irachene, redazionale (n°38)

Forse il recente peggioramento della situazione in Irak è collegato con la matematica.

L’anno 2004 è un multiplo di 4. Vi chiederete cosa c’entra? Probabilmente qualcuno avrà già associato al 2004 il detto "anno bisesto, anno funesto". Beh, non è del tutto esatto ma, in un certo senso, è proprio così.

Nel corso dei primi mesi del bisestile 2004 la situazione del-l’Irak, conquistato dalla Coalizione dei Volenterosi, si è andata via via deteriorando. Gli attacchi contro le truppe occupanti si sono intensificati, ne sono rimasti vittime anche dei soldati italiani.

L’inquietudine degli sciiti, catalizzata dal "profeta" Moqtada al Sadr, si è trasformata in una specie di insurrezione generalizzata, che ha sorprendentemente trovato sostenitori anche tra i concorrenti religiosi, i sunniti. La pratica dei sequestri e dell’assassinio di stranieri si è largamente diffusa (anche in questo caso, a conferma che ci siamo dentro fino al collo, sono stati coinvolti alcuni Italiani). Gli attentati di Madrid e il goffo tentativo, da parte del governo di centro destra, di attribuirne la colpa all’Eta, hanno capovolto il previsto esito delle elezioni politiche spagnole, portando al potere i socialisti che, ormai l’avevano già promesso pubblicamente e non potevano più tirarsi indietro, hanno ritirato le truppe dal paese medio orientale, anche se solo per spostarle in Afghanistan. Si è poi arrivati alla denuncia delle torture inflitte dai militari americani ai prigionieri nelle carceri irachene. L’evento ha goduto di un’invidiabile copertura mediatica: foto, filmati, testimonianze, descrizioni particolareggiate su televisioni, radio, giornali, internet … insomma un ottimo e professionale lavoro giornalistico.

Tanto per confermare il successo dell’intervento umanitario nella regione, la risposta proveniente dall’altro fronte è stata la proposizione della decapitazione di un ragazzo americano su un sito internet: il medioevo sulla rete telematica.

Ma torniamo all’aritmetica. Negli anni divisibili per quattro avvengono alcuni fenomeni particolari. In primo luogo le Olimpiadi. Nate per affratellare l’umanità attraverso il confronto sportivo di dilettanti, si sono trasformate in una vetrina competitiva in cui ogni Stato cerca di affermare la propria superiorità esibendo i suoi migliori prodotti professionistici, le cui prestazioni sono "migliorate" grazie all’uso del doping.

Tuttavia, negli anni multipli di quattro, vi è un altro avvenimento che sta diventando sempre più importante per l’umanità: le elezioni presidenziali americane. Alla luce del peso che gli Stati Uniti hanno ormai raggiunto a livello planetario, in campo economico, militare, finanziario e politico, questa tornata elettorale ha assunto un’importanza rilevante anche per i popoli che non partecipano alle votazioni. Ciò è giustificato dal fatto che il potere gestito dall’Amministrazione degli Stati Uniti è enorme, e va ben oltre i confini degli USA. Si tratta, infatti, dell’unica superpotenza mondiale.

Vi chiederete allora: e l’Irak? Ci arrivo. Occorre tenere presente che, al di là degli elettori comuni, ogni candidato alla presidenza è espressione di influenti gruppi di potere industriale e finanziario, i quali potranno trarre enormi vantaggi economici dalle politiche portate avanti dal "proprio" presidente. È stato così per l’industria bellica e quella petrolifera con George W. Bush. Quando si parla di denaro non si scherza. È evidente che, pur di mettere alla Casa Bianca un proprio rappresentante, queste lobby sono disposte a fare di tutto.

Ebbene, qual è lo stato attuale della competizione per la conquista della Casa Bianca? Come è intuibile, chi è al governo gode di qualche vantaggio, dato che può usare il potere che detiene per creare le condizioni per farsi rieleggere. Un punto a favore dei repubblicani. Inoltre è tradizione che, se l’economia americana va bene, gli elettori tendono a riconfermare chi è già al governo. Un altro punto a favore di Bush. Vista la personalizzazione della competizione, un vantaggio significativo va a chi ha più fondi da spendere per la campagna elettorale. Terzo punto a favore del candidato repubblicano, che raccoglie i contributi della maggior parte del sistema industriale e finanziario americano.

Il dato sorprendente è che, però, gli ultimi sondaggi registrano un netto calo di popolarità del presidente in carica. Se si votasse oggi, probabilmente, non sarebbe rieletto. Dov’è la debolezza di Bush? È proprio nella politica estera e, segnatamente, sul fronte dell’Irak. Non è rilevante che sia stata fatta una guerra che ha isolato gli USA dai suoi tradizionali alleati. Nemmeno che i pretesti per fare la guerra (le armi di distruzione di massa e l’improbabile alleanza tra Saddam e Osama) si siano rivelati del tutto inventati. Non conta neppure che anche questa volta, come in tutte le guerre, le vere vittime siano state le persone comuni, le cui condizioni di vita sono peggiorate, se possibile, anche rispetto alla situazione esistente durante la sanguinaria dittatura di Saddam. No, quello che fa imbestialire gli elettori è l’insuccesso nel mettere sotto controllo il paese medio orientale e il continuo stillicidio di uccisioni di soldati americani (ne sono morti molti più nel "dopoguerra" che durante il conflitto).

Su Il Sole – 24 Ore del 20 maggio scorso, nell’articolo intitolato "L’incubo di novembre", Enzo Grilli scrive, tra l’altro, "I democratici sentono che la direzione del vento sembra mutata e stanno puntando tutto sull’Irak". Rientra nelle "regole elettorali" il fatto che il partito democratico sfrutti a proprio vantaggio le innegabili difficoltà che l’attuale Amministrazione repubblicana sta incontrando nel pacificare quel paese. È naturale che le lobby che sostengono il candidato democratico John Kerry sperino che il fuoco iracheno bruci le dita dell’incauto Bush.

Tuttavia alcune evidenze, come l’intensificarsi delle azioni della guerriglia in parallelo con la progressione della campagna elettorale americana, l’inusitata ampia disponibilità di fonti originali che testimoniano le torture praticate da militari Usa, il forte impatto mediatico dato all’inedito fronte iracheno che combatte, armi alla mano, contro le truppe di occupazione, l’ascesa di personalità, come al Sadr, che si oppongono alla pax americana, lasciano adito al dubbio che nella partita irachena non vi siano solo spettatori, più o meno interessati.

Forse c’è chi, negli Stati Uniti, fa il tifo per la "resistenza" irachena, sperando che Bush si insabbi nel deserto dell’Irak. Ovviamente, ove ciò fosse vero, non si tratterebbe certo di una presa di posizione politica che implichi la volontà di impostare, in futuro, una diplomazia USA molto diversa dall’attuale. Le avventure militari di Clinton non sono state minori o meno sanguinose: Somalia, Bosnia, Kosovo, lo stesso Irak è stato più volte bombardato durante l’amministrazione democratica, oltre al Sudan. La realtà più prosaica è che, per chi ambisce al potere, il fine giustifica i mezzi. Una volta raggiunto l’obiettivo, ossia la sconfitta elettorale di Bush, la prospettiva da cui valutare amici e nemici cambierà e, comunque, contatti e simpatie costruite nei mesi precedenti potrebbero addirittura essere utili in una nuova situazione.

Tutto ciò può apparire surreale e incredibile. Occorre però considerare che tuttora persistono pesanti sospetti, ancora non fugati, su possibili responsabilità di settori dei servizi segreti americani in una vicenda ben più inquietante, come gli attentati dell’11 settembre del 2001. Per chi vuole governare il mondo, vale la regola: quando la posta in gioco è grande, l’importante è vincere, non giocare lealmente. Ovviamente, non avendo accesso ad informazioni riservate, queste sono solo riflessioni assolutamente ipotetiche, il cui riscontro si basa esclusivamente su un’interpretazione degli eventi. Tuttavia, in questo ambito, nasce l’interrogativo: è possibile che un pezzo non irrilevante della campagna elettorale, per le elezioni che si svolgeranno in novembre negli Stati Uniti, si stia svolgendo in Irak?