Una dura pioggia sta per cadere? di Luciano Nicolini
Cresce in tutta l’Europa (e nel mondo) la voglia di menar le mani
«Oh, where have you been,
my blue-eyed son?
Oh, where have you been,
my darling young one?
I’ve stumbled on the side of twelve misty mountains,
I’ve walked and I’ve crawled on six crooked highways,
I’ve stepped in the middle of seven sad forests,
I’ve been out in front of a dozen dead oceans,
I’ve been ten thousand miles in the mouth of a graveyard.
And it’s a hard, and it’s a hard, it’s a hard, and it’s a hard, and it’s a hard rain’s a-gonna fall!
(Dove sei stato, figlio mio dagli occhi azzurri?
Dove sei stato, ragazzo mio caro?
Mi sono imbattuto nel fianco di dodici nebbiose montagne,
ho percorso e ho strisciato
per sei tortuose autostrade,
ho camminato nel mezzo di sette tristi foreste,
mi sono trovato faccia a faccia con una dozzina di oceani morti,
son stato per diecimila miglia nella bocca di un cimitero.
Ed è una dura, è una dura,
è una dura, è una dura,
è una dura pioggia quella che sta per cadere).
Così cantava Bob Dylan nel 1962. Molti all’epoca hanno pensato si riferisse alla pioggia atomica che si temeva imminente. Una pioggia atomica alla quale (ora lo sappiamo con certezza) siamo stati vicini, ai tempi della “Guerra Fredda”, almeno due volte. Ed in entrambi i casi ci ha salvato chi, contravvenendo ai protocolli, si è rifiutato di procedere (un ufficiale americano e un ufficiale russo, rispettivamente).
Nei primi giorni di giugno Guterres, segretario generale dell’ONU, ha dichiarato: «L’umanità è sul filo del rasoio: il rischio che venga usata un’arma nucleare ha raggiunto livelli mai visti dai tempi della Guerra Fredda». E, visibilmente preoccupato, ha aggiunto: «Fino a quando non saranno eliminate queste armi, tutti i Paesi devono accordarsi sul fatto che qualsiasi decisione sull’uso del nucleare debba essere presa da umani, non da macchine o algoritmi».
Il parlamento europeo
Negli stessi giorni si sono tenute le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo. Si è registrata, come era largamente previsto, una svolta a destra dell’elettorato, anche se non tale da stravolgere gli equilibri esistenti.
In Italia ha vinto la Meloni, facendo ottenere al suo partito ben ventiquattro seggi, cui sono da aggiungere i nove di Forza Italia e gli otto della Lega di Salvini. Il Partito Democratico ne ha conquistati ventuno, il Movimento 5 Stelle otto, l’alleanza tra Europa Verde e Sinistra Italiana sei. Pace, Terra e Dignità, la sola lista coerentemente pacifista, non è riuscita a superare la soglia di sbarramento, fissata al 4% dei voti validi, anche se soltanto il 48% degli elettori si è presentato alle urne.
Un dato che non è sfuggito agli opinionisti i quali anzi, in alcuni casi, hanno sottolineato con soddisfazione la sconfitta del pacifismo.
Il Riformista
Esemplare, in questo senso, è stato il commento del Riformista che, l’undici giugno titola: «I pacifisti alzano bandiera bianca, da Santoro a Conte e Tarquinio: l’armata arcobaleno si schianta contro il realismo».
E prosegue: «La grancassa mediatica del pacifismo si schianta contro lo scoglio del realismo. Uno squillo sguaiato e stonato di una trombetta rotta. La degna conclusione di uno pseudo-pacifismo di facciata. La mobilitazione del fronte pacifista italiano alle urne? Neanche l’ombra. Alla faccia di quella presunta maggioranza silenziosa di italiani contraria all’invio di armi per sostenere la resistenza dell’Ucraina. Le elezioni europee nel nostro paese restituiscono un’altra fotografia: viene premiato lo schieramento al fianco di Kiev, mentre non sfonda (anzi, non avanza nemmeno) la galassia delle bandiere arcobaleno che vorrebbe privare il popolo ucraino del supporto militare contro l’invasione della Russia. (…) L’armata pacifista si sarebbe dovuta recare in massa ai seggi contro l’asse euroatlantico (…). Davvero un gran peccato per Conte, che aveva provato a catalizzare le preferenze arcobaleno inserendo l’hashtag #pace nel simbolo del M5S. Che dire? Esperimento fallito. Una disfatta (…).
Non si può non menzionare Michele Santoro. La lista Pace, Terra, Dignità non va oltre il 2,2%. Poco più di 500mila preferenze. Ma bisogna essere magnanimi e armarsi (anzi, meglio usare la parola “dotarsi” per evitare di essere accusati di voler scatenare un conflitto mondiale) di onestà intellettuale. L’ex conduttore merita il podio al fianco di Conte per aver centrato un’impresa tutt’altro che scontata: la sua lista prende meno voti di Roberto Vannacci. Santoro meriterebbe una standing ovation. (…)
In Italia è robusto il fronte a sostegno dell’Ucraina. Il centrodestra cresce in termini percentuali rispetto alle elezioni politiche del 2022. Compresa la Lega che, al di là dei proclami di Matteo Salvini a ridosso del voto, non ha fatto mancare il via libera all’invio di armi a Kiev. Risultato assai positivo per il Pd che, sebbene diviso con varie sfumature al suo interno, vede i suoi principali esponenti sposare il supporto militare al popolo ucraino.
Ma come? Non doveva esserci un sussulto d’orgoglio? L’immenso esercito di benefattori pacifisti ha preferito restare a casa? O magari l’ammucchiata contro le armi all’Ucraina era solo una fantomatica congettura di chi – lavorando di fantasia e di immaginazione – voleva concedersi il gusto di un orgasmo per qualche secondo.
Ai pacifisti nostrani non resta che smontare il circo mediatico, mettere nel cassetto le trombette sgangherate e alzare bandiera bianca. Magari con una resa. Anche incondizionata. Applicando lo stesso ragionamento del blocco arcobaleno. Siano coerenti. La messa(inscena) è finita. Andate in pace».
Un pezzo ben scritto, a commento di dati che parlano da soli.
Ma tengano presente i suoi estensori che anche quando, il 10 giugno 1940, Mussolini annunciò l’entrata in guerra dell’Italia le piazze erano piene di folla festante. Di quella stessa folla che, il 25 luglio 1943, pochi giorni dopo che avevano cominciato a cadere le bombe su Roma, si riversò nelle stesse piazze distruggendo i simboli del fascismo…
Voglia di guerra
Gli storici si chiedono come sia stato possibile che una popolazione che poco più di vent’anni prima era stata decimata da una guerra assurda e sanguinosa, come fu il primo conflitto mondiale, abbia potuto salutare con entusiasmo l’entrata del proprio paese nel secondo.
Molto fece allora (come oggi) la propaganda militarista. Ma all’epoca le armi nucleari non esistevano. Oggi esistono e sono collocate, facili bersagli di quelle nemiche, a breve distanza dalle città nelle quali viviamo. All’epoca, nonostante quanto già era successo, era ancora forte l’idea che la guerra fosse un affare di giovani maschi in cerca di gesti eroici. Ora sappiamo che si tratta, soprattutto, di una strage di civili. Ed è la stessa televisione, lo strumento di propaganda per eccellenza, a mostrarcelo ogni giorno!
Ma, tra i maschi, la voglia di menar le mani sembra davvero irrefrenabile. E, tra le femmine, l’attrazione nei confronti del guerriero vincitore (o candidato a diventarlo) sembra essere ancora assai diffusa. Lo scarso appeal del pacifismo, segnalato dal Riformista con riferimento al nostro paese, risulta facilmente verificabile ovunque.
Questa spiegazione “antropologica” può far sorridere: tutti sappiamo che all’origine dei conflitti tra gli stati vi sono gli interessi delle rispettive classi dominanti. Ma, allora, perché tanto entusiasmo per la guerra da parte degli oppressi e degli sfruttati?
Difesa del privilegio
Forse, nella popolazione italiana (e in quelle degli altri paesi “occidentali”) ai bassi istinti sopracitati si aggiunge un calcolo razionale: la convinzione di poter mantenere, per mezzo dell’impiego della forza, quei privilegi nei confronti dei popoli dei paesi poveri (o ex poveri) che, con la forza, nel corso degli ultimi secoli hanno conquistato.
Forse è questo calcolo che Il Riformista chiama “realismo”. Ma si tratta di un calcolo sbagliato perché, come anche gli eventi recenti dimostrano, una guerra mondiale (nucleare o meno) distruggerebbe tutte le ricchezze accumulate. Lo fece con la Germania e l’Italia, uscite sconfitte dal secondo conflitto mondiale, come con la Russia e la Gran Bretagna, che invece ne uscirono vincitrici.
Chi risentì meno della seconda guerra mondiale fu la popolazione degli Stati Uniti d’America in cui, tuttavia, da decenni le classi subalterne pagano pesantemente i costi, divenuti ormai insostenibili, delle forze armate che, da allora, esercitano il loro dominio sul pianeta.
In altre parole, il vero realismo consiste nel capire che se un uso limitato della violenza può effettivamente consentire alle popolazioni che abitano i paesi più ricchi (e quindi anche a chi appartiene alle classi subalterne) di mantenere i privilegi conquistati a spese delle popolazioni dei paesi più poveri, un conflitto mondiale, al di là degli immensi costi in termini di vite umane, non risulterebbe economicamente conveniente per nessuno (se non, forse, per chi ci comanda approfittando delle guerre tra le nazioni).
Su questo, forse, più che su di un giustissimo (ma generico) invito a vuotare gli arsenali e riempire i granai, sarebbe necessario insistere.