Fate l’amore, non la guerra! di Luciano Nicolini (n°276)
Ormai sono quasi tutti schierati: Il pacifismo, si sente dire da più parti, è ipocrisia
Sono tanti gli argomenti sui quali vorrei stimolare il dibattito tra i lettori: il riscaldamento del pianeta, che si fa di anno in anno più preoccupante; l’attacco alle libertà individuali e collettive, reso pervasivo dai progressi della telematica; l’irrisolta questione sociale, purtroppo sempre attuale.
Del cambiamento climatico in corso abbiamo parlato più volte su questa rivista, e i suoi effetti con riferimento all’Italia, dove si manifestano in modo particolarmente evidente, sono sotto gli occhi di tutti. In questo numero, a pagina 5 e a pagina 10, ci limitiamo a segnalare alcune lotte in corso contro le opere inutili, lotte che, pur nella limitatezza degli obiettivi che si propongono, dimostrano come stia facendosi strada la richiesta di cambiamento di un modello di sviluppo ormai insostenibile.
Degli effetti della telematica parliamo diffusamente a pagina 6, ma con riferimento alla didattica a distanza; ai suoi effetti sulle libertà individuali si accenna invece a pagina 8, evidenziando come i cosiddetti “social” siano stati utilizzati per controllare i gusti, e soprattutto le opinioni, dei cittadini (e dei lavoratori in particolare). Personalmente ho sempre avuto il dubbio che la loro grande diffusione sia stata agevolata dal potere proprio a tale scopo (ma non vorrei passare per complottista!).
Anche dell’irrisolta questione sociale, da sempre al centro della nostra attenzione, torneremo a parlare nei prossimi numeri della rivista, e lo faremo in modo innovativo, perché nuove sono le caratteristiche con le quali si propone oggi, almeno nei paesi dell’occidente (post)industrializzato.
Ma purtroppo l’incalzare degli eventi mi costringe a dedicare l’editoriale, ancora una volta, alla guerra.
Il delirio guerrafondaio
Numerosi, come sappiamo, sono i conflitti armati in corso nel pianeta, ma due in particolare (e non a caso) sono quelli dei quali si parla in Italia: la guerra tra Federazione Russa ed Ucraina (o, se preferite, tra Federazione Russa e NATO) e quella tra Israele e Hamas.
La prima è una classica guerra tra stati (o, se preferite, tra imperi). Sia l’uno che l’altro contendente dispongono di buone ragioni da mettere sul tavolo, e posso capire che tra i compagni ci sia chi, in cuor suo, parteggia per l’uno o per l’altro. Ciò che non capisco è come si possa sostenere apertamente una delle due parti che si combattono sul campo di battaglia.
Non siamo più internazionalisti? Non abbiamo sempre sostenuto che i soli nemici degli sfruttati sono i loro sfruttatori?
Eppure, recentemente, mi sono sentito dire da diversi compagni che essere equidistanti dai due contendenti è ipocrita: a loro parere chi è di sinistra deve schierarsi contro l’imperialismo statunitense (e cioè con Putin!) E, tra i compagni, c’è persino chi sostiene le forze armate di Zelenski…
Il conflitto tra Israele ed Hamas
Più complessa è la situazione con riferimento alla Palestina. La storia della migrazione degli Ebrei verso il loro paese dì origine, l’ho sostenuto più volte, è una storia nata male e finita peggio. I figli e i nipoti di coloro che avevano scelto di abbandonare i paesi nei quali risiedevano per sfuggire alle persecuzioni si trovano oggi ad essere accusati di essere persecutori. I figli e i nipoti di coloro che, in molti casi, avevano costruito comunità socialiste (e talora tendenzialmente libertarie) sono ora guidati da un governo decisamente di destra. Una dimostrazione, a mio parere, che quando si parte con il piede sbagliato, difficilmente si combina qualcosa di buono.
Ovvio che, sulla base di questi presupposti, posso comprendere chi critica aspramente lo stato di Israele (inclusa la sua stessa esistenza) e, in particolare, chi critica la politica di Netanyahu.
Ciò che invece non capisco è come si possa sostenere apertamente Hamas: si tratta infatti di un movimento integralista e fanaticamente nazionalista, decisamente anticomunista e maschilista.
I suoi dirigenti, tra l’altro, non sembrano avere molto a cuore la salvezza del loro popolo. Vi pare possibile che, in conseguenza della mattanza del 7 ottobre, non si aspettassero la reazione israeliana? Gli stati (e quello israeliano non costituisce un’eccezione) non sono nonviolenti!
Parlando dell’Italia
A tale proposito è forse opportuno ricordare che nel 1999 l’Italia, governata dall’ex“comunista” Massimo D’Alema (il cui vicepremier era l’attuale presidente della repubblica Sergio Mattarella) bombardò, colpendo numerosi obiettivi civili, un paese, la Jugoslavia, che non aveva danneggiato né minacciato in alcun modo il popolo italiano. E che lo stesso ha fatto nel 2011 con la Libia cui, da soli tre anni, era legata da un patto di amicizia.
Che cosa avrebbe fatto se dalla Jugoslavia fosse piovuto sull’Italia un migliaio di razzi e, poco dopo, l’esercito jugoslavo fosse penetrato in territorio italiano uccidendo milleduecento persone e prendendone duecentocinquanta in ostaggio?