Intervista a un giovane in viaggio nel lavoro, di Annalisa Righi (n°128)
Carmelo, 28 anni, si è trasferito a Bologna con la sua famiglia dove ha frequentato l’ultimo anno delle superiori e si è laureato in Economia e Commercio. Attualmente frequenta a Parma la Specialistica in Trade Marketing e Strategie Commerciali. Tra i suoi interessi la musica e la fotografia.
Questa testimonianza ci offre uno spaccato della realtà lavorativa bolognese degli ultimi dieci anni. Dai Contratti di Formazione Lavoro a quelli generati dalla così detta Legge Biagi. Ciò che appare sono strategie contrattuali orientate al solo vantaggio aziendale. Un gioco al massacro in cui la ricerca dell’incremento economico ha depauperato i lavoratori di una giusta retribuzione e dei loro diritti originando di fatto una situazione di stallo. Un’involuzione dei rapporti lavorativi e sociali che soffoca il mercato del lavoro, le aziende e gli individui stessi. Involuzione che, come emerge dalle parole dell’intervistato, non ha mancato di toccare anche il sistema e l’istituzione della formazione per eccellenza, l’Università. Oggi con la nuova laurea triennale si accede a tipologie di lavoro per le quali, fino a qualche anno fa, bastava il diploma. Anche le organizzazioni sindacali non difettano meno, forse anche perché le aziende non esistono quasi più e così gli storici luoghi di ritrovo si sono rarefatti. A tutto ciò aggiungiamo anche lo stato di torpore che sembra pervadere alcuni a tal punto da accettare come naturale la situazione che abbiamo descritto.
Sembra anche affiorare la necessità di cercare le risorse in sé stessi, aprendo così ad un diverso modo di rapportarsi con il mondo del lavoro e la società.
Ma ascoltiamo le parole del nostro.
Quando hai cominciato e qual è stata la tua prima esperienza lavorativa?
«Appena diplomato mi sono iscritto all’università ed ho cominciato a cercare un lavoro. Dieci anni fa, la situazione era diversa, in un mese avevo ricevuto ben tre proposte. Accettai un part-time notturno come magazziniere presso una nota azienda di distribuzione alimentare, di notte lavoravo e di giorno andavo all’università».
Proposte di lavoro con quale tipo di contratto?
«Fino al duemila l’unico contratto flessibile che potevano utilizzare le aziende era il Contratto Formazione Lavoro. Quindi, passato un periodo di due anni di attività lavorativa, avveniva l’assunzione a tempo indeterminato».
Questo accadeva realmente oppure l’azienda cercava, in un qualche modo, di non rendere effettiva l’assunzione a tempo indeterminato?
«Personalmente a me è accaduto, anche perché all’epoca occorrevano validi motivi per non ottemperare. Di fatto, già dal primo anno mi fecero passare a tempo indeterminato, full-time, e a formarmi come capo reparto, offrendomi quindi la possibilità di una crescita professionale.
L’unica cosa fu che, passati otto mesi di formazione come capo reparto, volevano continuare a farmi svolgere quella mansione senza darmi né il livello né la corrispettiva retribuzione. Cercavano di procrastinare per non regolarizzare a pieno titolo il rapporto lavorativo. Così, passato un certo periodo, decisi di tornare a svolgere la mansione iniziale e tornare al part-time.
Diciamo comunque che forse fui anche fortunato, perché probabilmente ho iniziato a lavorare in un momento propizio. Qualche anno dopo, infatti - il mio rapporto lavorativo all’interno di quell’azienda è durato circa sette anni - le cose sono cambiate. Cominciarono ad eliminare tutta una serie di figure intermedie come capi e vice -capi reparto, naturalmente per loro erano un costo, molte le assunzioni con contratti a tempo determinato, soprattutto le cassiere venivano assunte solo per tre mesi e, ultimo ma non ultimo, cercavano anche di licenziare i lavoratori già assunti a tempo indeterminato».
E per licenziare i lavoratori a tempo indeterminato cosa facevano?
«Cercavano, attraverso pressioni psicologiche, di portare il lavoratore a licenziarsi, un vero e proprio svilimento dell’autostima. Inoltre forzavano dei trasferimenti, difficili da sopportare per i dipendenti.
C’è poi da dire che Bologna, rispetto ad altre città, è molto sindacalizzata, quindi noi ci facemmo forza cercando di far valere i nostri diritti con la legge».
Questo fino al 2007, ma tu pensi che ancora oggi sia così fortemente sindacalizzata?
«No, oggi no, perché il sindacato ha perso credibilità e poi allora si faceva riferimento al sindacato interno dell’azienda; noi poi avevamo un collega che oltre ad essere rappresentante sindacale stava facendo il praticantato da avvocato, quindi eravamo molto attenti.
Comunque questo fino al 2007 perché poi mi sono stancato di questi meccanismi e mi sono licenziato.
Così ho scoperto che il mondo del lavoro era cambiato».
Com’è cambiato il mondo del lavoro dal 2000 ad oggi?
«La situazione è più difficile. Ho cercato lavoro sui siti preposti ai quali si appoggiano le agenzie di lavoro, come per esempio Infojobs. Fino a 5/6 anni fa per ogni annuncio c’erano una decina di candidati, adesso ce ne sono 100/200… Bisogna ricordare che la Legge Biagi prevedeva comunque degli ammortizzatori sociali, ma nella sua applicazione è stata tranciata da Maroni che ne ha lasciato solo l’aspetto della flessibilità, così di fatto accade che uno lavora tre mesi, poi è a casa e così via… Il lavoro dovrebbe essere continuativo per permettere di avere delle prospettive future».
Che lavori hai svolto dopo che nel 2007 ti sei licenziato?
Ho lavorato per conto di un’azienda di formazione e ho fatto il formatore. Il meccanismo era questo: l’azienda presentava insieme ad un’agenzia interinale un progetto - nel mio caso era un corso di formazione per cassieri e magazzinieri - questo progetto veniva presentato alla Comunità Europea la quale stanziava dei fondi per la sua realizzazione. Per legge dovevano poi garantire, al termine del corso, un posto di lavoro al 30% dei frequentanti.
Per me però è stato tutto un po’ paradossale, io ero in aula davanti a venti ragazzi, più o meno della mia stessa età, che speravano arditamente di trovare, attraverso questo corso, un lavoro. E alla fine il risultato era che 3/4 dei ragazzi effettivamente un lavoro lo trovava, ma a tempo determinato per tre mesi… Quindi, la prassi burocratica era compiuta ma il reale risultato occupazionale no.
Tra l’altro il corso prevedeva 120 ore di lezione di cui le mie erano 80 tra teoria e pratica, troppe rispetto ai contenuti da trasmettere…»
Insomma, un modo per far circolare del denaro ma senza una ricaduta di miglioramento effettivo dei lavoratori… Che tipo di contratto ti avevano stipulato? E la retribuzione?
«Un contratto di consulenza, la retribuzione direi buona: 1.500 euro in dieci giorni pagati come rapporto occasionale e la ritenuta d’acconto».
Altre esperienze?
«Ho lavorato anche come Visual Merchandiser, studiare l’ allestimento migliore della merce per ottimizzare ed incrementare le vendite. In questo caso la mia retribuzione era proporzionale al numero di negozi serviti».
Ma questi due lavori li hai trovati con agenzie di lavoro interinale?
«No, questi lavori li ho trovati con il passaparola. Non credo molto in queste agenzie. Ho portato dei curricula, ma mi hanno sempre chiamato solo per andare a lavorare nei discount come vice responsabile, in realtà poi fai di tutto e i contratti sono sempre a tempo determinato. Un’altra volta mi hanno chiamato per una selezione come commesso per una nota catena di abbigliamento, è stata un’esperienza negativissima, la selezione era tutta orientata a valutare la capacità di gestione di eventuali problematiche aziendali più che una valutazione della capacità di servizio e attenzione alla clientela. Il problema è che oggi con la laurea triennale trovi i lavori che una volta si trovavano col diploma… anche l’Università ormai è un sistema poco credibile che non dà sbocchi lavorativi».
E adesso, come vedi il tuo futuro?
«Sinceramente le mie delusioni le ho avute, il mondo del lavoro l’ho conosciuto con tutte le sue contraddizioni e falsità, mi sono laureato, ho mandato un mucchio di curricula senza mai avere nessun riscontro, poi la specialistica… pensa che addirittura, all’Università di Parma, ad un colloquio con un professore, parlando oltre che di studi anche di lavoro e prospettive future, mi fu proposto un master a numero chiuso con sbocchi occupazionali nella grande distribuzione… per accedere al master bisognava pagare 13.000 euro…!
Comunque oggi sono arrivato al punto che credo solo in me stesso; quindi ho deciso di aprire una partita IVA per attivare un portale internet in cui organizzo spazi pubblicitari per i negozi di Bologna… Le mie esperienze sono simili a quelle di molti miei coetanei, il fatto è che spesso capita di confrontarsi e ci si accorge che, oltre alla situazione generale, forse la cosa peggiore è che sembra che per molti il precariato sia una cosa normale, soprattutto per i ventenni, per loro sembra che sia normale così...»