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Categoria: Interviste
Creato Domenica, 01 Aprile 2012

Intervista a Davide Bono, di Annalisa Righi (n°145)

Torino, nell’appartamento all’ultimo piano di via Alfieri, sede del gruppo consiliare “Movimento 5 Stelle”, abbiamo incontrato il consigliere regionale del Piemonte Davide Bono. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio questo movimento e gli individui che lo compongono, un movimento che sta attirando attorno a sé sempre più consensi, soprattutto tra i giovani.

Abbiamo riflettuto insieme su temi come populismo, giustizialismo, equità sociale... toccando anche argomenti di attualità come il caso Tavolazzi e la protesta No Tav.

Ciò che appare - al di là delle polemiche che possono ruotare attorno a questo raggruppamento, al suo fondatore e ai singoli membri - è la percezione di un grande impegno quotidiano e una determinata volontà di realizzare strumenti per la trasparenza e il controllo dell’operato di chi amministra la cosa pubblica.

Davide Bono, 31 anni, laureato in Medicina, ha esercitato la professione di medico fino al 2010, anno in cui è entrato a far parte del Consiglio Regionale. Insieme a lui ha partecipato all’incontro anche Giorgio Bertola, attivista del movimento dal 2008. Precedentemente era agente di commercio. Oggi è assunto a tempo determinato nello staff del M5S Piemonte e, come dice lui: “guadagno meno di prima, lavoro di più, ho un mandato che scade con la legislatura, ma mi sento me stesso”.


Davide, come ti sei avvicinato al M5S?

Nel 1986, a causa di alcune battute sui socialisti, Beppe Grillo venne esiliato da qualsiasi programma televisivo. Nel 2005, insieme all’esperto di comunicazione Gianroberto Casaleggio, decise di creare un blog che divenne in breve tempo uno dei più frequentati in Italia e nel mondo. Utilizzò degli strumenti di comunicazione in rete, antesignani dei social network, i così detti meetup: forum digitali in cui si poteva parlare e anche decidere di incontrarsi fisicamente. Partecipai a questi meetup nel 2007 e da lì ho cominciato.

Facevo una vita molto frenetica, lavoravo moltissimo. Potrei dire che rappresentavo il tipico cittadino italiano: molto poco informato, molto interessato al proprio lavoro e alle pause da esso. Non avevo mai fatto politica, neppure a scuola. Sono del 1980; nel 1989 - anno della caduta del Muro di Berlino - avevo solo nove anni. Il mio primo ricordo politico è del 1993, quello del lancio delle monetine a Craxi davanti all’hotel Raphael a Roma. Mi ricordo i cappi della Lega Nord, Di Pietro... Avevo tredici anni e... questi sono forse i fatti e i personaggi che hanno segnato la crescita politica della mia generazione...

Ci puoi delineare le caratteristiche di chi entra in contatto col vostro movimento? Età, titolo di studio, genere...

Soprattutto giovani, dai trenta ai quarantacinque anni, generalmente persone che non si erano mai interessate prima di politica. Livello di studio medio-alto e soprattutto maschi, con un rapporto di circa di tre a uno. Questo potrebbe significare che le donne sono meno interessate alla politica, ma anche che tra i nostri contenuti non abbiamo ancora inserito tematiche vicine alle loro esigenze.

E’ importante sottolineare che a tutti quelli che entrano in contatto col movimento viene chiesto di fare qualcosa, anche solo per mezz’ora del loro tempo. E’ necessario che le persone capiscano che ognuno di noi è strategico ed ha un valore; non ci sono gerarchie ma piuttosto una struttura a rete... Al nostro interno inoltre è lasciato molto spazio al confronto di idee diverse e al controllo reciproco, tanto che di frequente i giornali strumentalizzano le nostre discussioni spacciandole per liti e scontri significativi, quando sono semplicemente confronti...

Spesso venite accusati di populismo; cosa rispondi a questa critica?

Noi non ci definiamo né di destra né di sinistra, al di là di quello che dice Beppe Grillo, che lo ripete quasi come un mantra. Forse è per questo che qualcuno parla di demagogia e populismo, ma è vero che non ci siamo mai riconosciuti all’interno di un blocco. Siamo fuori da questa logica e penso sia un pregio.

Quindi voi siete per il proporzionale?

Si, sono per il proporzionale. Ci tengo a precisare che in questa intervista parlo molto a titolo personale perché, com’è noto, il M5S si considera una federazione “anarchica” - se vogliamo usare un termine che a voi potrebbe essere caro - cioè di liste dove non c’è un legame gerarchico tra una lista comunale, una regionale o in futuro con eventuali deputati che eleggeremo in Parlamento. C’è una linea che è scritta nel programma, ma c’è la libertà dei singoli consiglieri di esprimere le proprie opinioni, proprio perché pensiamo che la differenza sia qualcosa che arricchisce e quindi non ci deve essere l’ordine del partito che irreggimenta tutti...

A questo proposito apro una parentesi sul caso Tavolazzi, i giornali parlano di espulsione dal movimento da parte di Grillo...

Innanzitutto il consigliere comunale Tavolazzi non aveva una lista 5 Stelle, si chiamava “Progetto Ferrara”. Era una lista sostenuta esternamente da Beppe Grillo. Credo che Grillo stia cercando veramente di costruire qualcosa di nuovo. Tuttavia penso anche che l’animo umano tende naturalmente ad aggregarsi: oltre a cercare di socializzare, cerca anche di creare delle organizzazioni e individuare comunque un leader. Chi fa questo si pone automaticamente fuori.

Torniamo al discorso sulle caratteristiche del M5S. Nello specifico, sulle persone che vi si avvicinano e decidono di farne parte…

Personalmente vedo una rinascita dell’interesse politico e, gioco forza, il movimento è nato proprio sull’onda dello spirito oggettivo del tempo. Per tornare al discorso del populismo, forse è proprio per questo che ci danno dei populisti, anzi addirittura degli antipolitici... mi viene da sorridere... mi pare che il nostro movimento non lo sia per niente. Siamo ricchi di contenuti: ci proponiamo un rinnovamento non solo della classe dirigente, e quello sarebbe appunto populista, ma vogliamo anche controllare gli eletti, attraverso delle forme, delle strutture. Noi vorremmo che ci fosse un substrato culturale, sociale - come c’è in Svizzera, Germania, Svezia, Inghilterra - per cui un politico, per esempio, si dimette se si scopre che aveva copiato la tesi di laurea... A noi manca molto questo substrato, deve proprio cambiare il modo di far politica, e vorremmo iniettare grandi dosi di democrazia diretta.

Iniettare grandi dosi di democrazia diretta? Come?

Puntare sui referendum abrogativi, ma anche su quelli propositivi, che oggi in Italia non ci sono. Togliere il quorum: non si capisce perché per le elezioni dei politici non c’è lo sbarramento del 50%, mentre per le proposte fatte dai cittadini sì. Vorremmo che i politici si potessero licenziare, quindi porre in essere dei controlli; stiamo studiando la Svizzera, perché ha strumenti di controllo molto interessanti.

Relativamente invece al giustizialismo, qual’è la vostra posizione?

E’ un tema complesso. Vorremmo poter credere in una struttura chiamata Stato, che poi sono i cittadini, quindi credere in una giustizia erogata, non da un ente tipo il Leviatano di Hobbes, che non si sa cosa sia, ma dai cittadini stessi. Il problema è che se fosse erogata dai cittadini stessi sarebbe soggetta alle sensibilità, ai capricci e alle difficoltà degli esseri umani...

Noi viviamo in una società divisa in classi. Pensate sia possibile ed auspicabile una società senza distinzioni di ceto? E se sì, cosa si potrebbe fare per realizzarla?

Nel movimento abbiamo una forte corrente meritocratica, con un dibattito aperto che si crede di risolvere, a volte ingenuamente, con l’equazione: chi è più bravo è giusto che ricopra posti importanti e venga retribuito di conseguenza.

Mi pare che la questione sia un po’ diversa, a parte il fatto del chi è che valuta il merito... Personalmente sono molto affascinato dall’ “economia partecipativa” di Michael Albert e soprattutto dal concetto che ognuno venga pagato in base all’impegno che mette nel suo mestiere, certo forse è utopico, però è molto illuminante e interessante. Non vedo perché un operaio alla catena di montaggio debba guadagnare un quattromillesimo dell’amministratore delegato della FIAT. Da qui si possono fare aperture, e stabilire, per esempio, che se l’operaio guadagna uno, il manager guadagna tre.

Allora per te una società senza classi si potrebbe realizzare diminuendo il gap tra chi guadagna molto e chi meno e valutando lo stipendio attraverso l’impegno?

Si. Inoltre poi, parlando di retribuzioni, c’è anche da considerare l’aspetto del discorso sull’ecologia. E’ vero che bisogna garantire a tutti una vita dignitosa ma, dall’altra parte, c’è anche la paura che, aumentando il potere di acquisto delle famiglie, i cittadini spendano per acquistare beni non durevoli, o inutili, o dannosi, o inquinanti... Questo è un altro punto da introdurre in qualunque concetto libertario: i limiti dello sviluppo e del pianeta. Limiti che molti contestano perché sono convinti che, con la conoscenza e l’apprendimento umano, si possa produrre energia pulita illimitata e risolvere il problema delle risorse. Non sono di questa idea. Uscendo dalla realtà italiana, e volgendo lo sguardo ad un orizzonte planetario, dovrebbe esistere una misura, che da alcune parti esiste già e si chiama “impronta ecologica”. Una misura della possibilità di ogni singolo cittadino di consumare risorse e inquinare: noi dobbiamo riuscire a far sì che quello che facciamo non pregiudichi il benessere delle generazioni attuali e future. Inoltre, se esiste uno Stato, una società, dovrebbe garantire che tutti abbiano i diritti e i servizi essenziali assicurati, mentre il surplus dovrebbe essere frutto del proprio lavoro. Per esempio, uno potrebbe dire: ho tutto garantito per nascita dallo Stato, sanità, istruzione, trasporti, un reddito di cittadinanza minimo per pagarmi l’affitto, le bollette... Per il resto decido io: voglio avere un surplus di 100 euro perché non vado in vacanza alle Maldive, non mi compro la Ferrari etc..., allora lavoro tre ore al giorno; voglio avere un surplus di 3.000 euro al mese? Lavoro dodici ore al giorno.

In questi giorni è doverosa una riflessione sul No Tav…

Sicuramente è uno scontro di idee e posizioni molto netto e importante. Importante per la democrazia in Italia, perché penso sia la prima volta che un gruppo di cittadini informati, con dati alla mano, riesce a tener testa, in questo caso, alla violenza dello Stato. Dello Stato nella sua accezione più negativa, delle forze dell’ordine, che naturalmente sono mandate e non sono mandanti, della politica, delle lobby, della criminalità organizzata e ovviamente delle banche. Questo potrebbe veramente far saltare il sistema perché il movimento No Tav non è una posizione ideologica. Sta informando tutto il paese, facendo uscire allo scoperto l’ignoranza e l’insipienza della politica.

 

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