Per un reddito di esistenza, contro il reddito di sudditanza (n°184)
La legge approvata in Friuli – Venezia Giulia è vergognosa
“Non è reddito di cittadinanza né minimo garantito, ma una misura attiva di sostegno di tipo universalistico e selettiva”. Questa è la dichiarazione di Gino Gregoris che ben interpreta il pensiero della Presidente Serracchiani. Questa legge infatti non è l’istituzione di un reddito come vorrebbe farci credere il Movimento 5 Stelle. Tuttavia non è nemmeno una risposta politica seria all’aumento della povertà e della disoccupazione, che è uno degli aspetti, forse il più eclatante, della crisi che stiamo attraversando.
Non sono messe in discussione le politiche fino ad oggi portate avanti in Italia, ma anche in Europa, e che hanno di fatto contribuito all’abbassamento dei salari, alla precarizzazione, al prolungamento dell’orario e alla riduzione del costo del lavoro. Non si fa emergere che è stato perpetrato un lento ma inesorabile collasso dello Stato Sociale, che continua tuttora; basta vedere il desiderio regional/istituzionale, per fortuna non ancora attualizzato, di trasformare le case di riposo pubbliche in fondazioni private.
Ma veniamo alle loro “Misure di inclusione attiva e di sostegno al reddito”. Partiamo dalla considerazione più semplice, ovvero che, per l'ennesima volta, si vota una legge quasi a scatola chiusa perché gran parte dei contenuti sono demandati al Regolamento, approvato dopo tre mesi. La Presidente Serracchiani qui trova una “buona scuola” nel sistema Renzi, che promulga delle leggi pressoché vuote e poi rimanda tutto ai vari decreti attuativi. Al di là di questo dettaglio non marginale, lo spirito della legge è evidente. Ristrutturare l’impianto dell’assistenza sociale, con l’intento di razionalizzare (leggi tagliare), progressivamente, tutta l’assistenza. È la stessa assessore Telesca, che tranquillamente ci spiega: “Alla fine del percorso di riordino all’interno delle misure di sostegno al reddito avremo una parte delle politiche sociali, tra cui in particolare il fondo di solidarietà. Nonché la carta famiglia, la carta acquisti e altre misure”.
Non basta; partendo dal falso presupposto che la condizione di difficoltà e di perdita di lavoro siano “temporanee” si vuole vincolare l’aiuto alla sussistenza ad una piena disponibilità al lavoro che vincola non solo il singolo, ma l’intero nucleo familiare, tutto questo attraverso la sottoscrizione di un “patto di inclusione”, per un “assegno” massimo di 550 euro al mese. Lavorare “di comune accordo con privato e terzo settore”, poi, significa dare soldi ai privati per far lavorare le persone o per formarle, e dare soldi al terzo settore per sfruttare quelle stesse persone in qualcosa di utile e solidaristico.
Il dato di fatto reale è che una serie di lavoratori regolarmente “assunti”, ovvero con una busta paga, anche se con il minimo del livello possibile, con dei contribuiti pensionistici e con un contratto di lavoro di riferimento e le relative tutele, stanno perdendo il posto di lavoro, sostituiti dagli stagisti, dai “lavoratori socialmente utili”, o dalle “borse lavoro”. Tutte queste figure, create ad arte per mitigare i disastri del “lavoro che non c’è”, in realtà, hanno spinto ancora più al ribasso i salari, creando una sotto-classe costretta ad accettare lavori mal pagati e senza alcuna tutela solo ed esclusivamente per non perdere altri benefici assistenziali (sgravi su affitti, bollette o rette scolastiche). E pensare che una dei firmatari di questa porcata antisindacale è la pordenonese Renata Bagattin, figura storica della Cgil regionale e nazionale.
Vorremmo ricordare alla Regione che nella stessa Carta di Nizza a cui la legge dichiara d’ispirarsi, l’articolo 5 comma 2 recita: “Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio”.
Altro che legge modello, un modello plausibile può essere la legge Regione Lazio n.4/2009, che stabilisce alcuni principi fondamentali:
- l’universalità del reddito, che non vuol dire essere universalmente poveri, ma che è diritto di ognuno percepire un reddito minimo di base
– l’individualità del trattamento, parametrato al reddito e alle esigenze di vita del singolo individuo e non del nucleo familiare
- la possibilità di rendere gratuiti alcuni servizi, o di concorrere alle spese.
Ma soprattutto stabilisce la possibilità di rifiutare offerte di lavoro che non siano “rispettose della professionalità acquisita”. Sta qui il vero passaggio da un sistema di welfare visto meramente come risarcimento a chi è colpito dalla crisi, ad un sistema di welfare che favorisca non solo l’autonomia e la scelta, ma anche la gestione del tempo dell’individuo.
Le misure attive previste dalla regione Friuli – Venezia Giulia rendono in realtà il soggetto ancora più passivo, annientando il suo diritto fino ad ora inalienabile alla scelta, perché ci sarà chi decide cosa è meglio per lui, che tipo di solidarietà è giusto portare avanti attraverso dei percorsi in cui anche il diritto di replica verrà regolato.
Nel momento in cui il capitalismo ci sta trascinando verso il baratro, in cui i rapporti sociali sono sempre più violenti, in cui l’altro, precario disoccupato immigrato è visto non come un affine ma come un competitor, il reddito deve essere un reddito universalmente garantito e incondizionato in modo tale da riuscire a riportare l’individuo sul terreno della cooperazione, della solidarietà e della convivialità autonomamente scelte.
L’unico elemento che manca non sono i soldi, quelli ci sono, basti pensare agli stanziamenti dati alle imprese, alle spese militari e allo stesso welfare. Le pagine dei giornali locali nelle ultime settimane si sono riempite di cifre, 500 milioni con il “Rilancia Impresa”, 200 milioni di fondi europei, non sono stati dati a quei parassiti di “poveri” che ora vogliono produttivi, è che ne avranno solo 30 di milioni, ma alle aziende senza chiedere nulla o poco in cambio, sicuramente non la garanzia del tanto auspicato, a parole, aumento dell’occupazione. Nè la garanzia di non devastare il nostro territorio.
Quello che veramente manca è imparare a rivendicare ciò che ci spetta di diritto, una vita vera che soddisfi i nostri bisogni, e soprattutto a reagire come reagirebbe qualsiasi persona con un po’ di dignità alla domanda:
“Se ti do 70 euro*, mi lecchi le scarpe?”
Collettivo Riff Raff Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
* 70 euro mensili sono previsti per un singolo o coppia senza figli a carico con un ISEE che va dai 5001 ai 6000 euro