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Categoria: Letture
Creato Mercoledì, 01 Febbraio 2017

parmigianoGino Berciani, di Rino Ermini (n°198)

Questo, più che un racconto, potrebbe essere un ritratto. Ma qual è la differenza quando siamo fra noi, a raccontarcene qualcuna tanto per passare il tempo? Comunque sia, è sempre qualche cosa di cui posso parlare con cognizione di causa perché a quel tempo in quel quartiere ci lavoravo come operaio saldatore dal fabbro Renzoni.

Non ci abitavo, questo bisogna dirlo, perciò non ero uno dei loro (io abitavo in uno dei quartieri moderni della periferia), ma anche se non ero dei loro passavo in quell’officina buona parte della mia giornata e di cose ne vedevo e ne sentivo così tante che posso anche ritenermi autorizzato a riferirne qualcuna.

Gino Berciani, detto il Bercia, uscì dal carcere alle dieci e quindici di un giorno di tarda primavera e dopo un’ora precisa, il tempo che ci vuole a piedi dal carcere al quartiere dove viveva, e come ho detto dove io lavoravo, era già al bar di piazza Castellina a concionare. Per la verità ci aveva messo un quarto d’ora più del normale a venire a casa perché era passato dal quartiere di Legnaia a salutare il Tinacci vinaio, e a bere i primi tre bicchieri, a digiuno e a debito, il primo dei debitucci che durante il periodo di libertà avrebbe seminato per le vie della città. Al bar di piazza Castellina ci arrivò giusto in tempo per accettare l’invito a desinare fattogli da un artigiano stuccatore suo amico, uno dei tanti che, non sempre, si capisce, perché il Bercia si campava da solo, poteva capitare lo invitassero a mangiare un boccone nelle grandi occasioni: ad esempio per la festa del quartiere, per quella del patrono della città il ventiquattro giugno, per il venticinque aprile quando non c’era finestra delle vie intorno senza una bandiera rossa, o quando usciva di galera, il che accadeva spesso, dico che uscisse di galera, non la festa del quartiere. Il dopo pranzo lo passò a dormire: voleva avere un po’ di quiete nel proprio letto, che stava fra le mura di casa sua, che a loro volta stavano protette dentro il suo quartiere. Si trattava di un diritto che nessuno avrebbe messo in discussione. Stai un po’ a vedere che uno esce di galera e invece di passare beatamente qualche ora a dormire che fa? Esce di casa e va a lavorare? Dopo cena ricomparve al bar, mangiucchiò e bevve quel che gli fu offerto, e solo sul tardi si alzò da sedere e fece sapere a voce alta e più volte che andava a dormire. Qualcuno gli augurò la buona notte e gli chiese se il giorno dopo era intenzionato a farsi rivedere oppure c’era la possibilità che andasse in campagna da qualche parente a passare un periodo di riposo. Non raccolse nemmeno perché tanto gli dicevano sempre le stesse cose, e se ne andò. Ma non a letto. Come si vedrà appresso.

Infatti la mattina dopo, saranno state poco dopo le otto perché il figlio del fabbro Renzoni che stava alla forgia menava colpi ancora incerti e poco chiari e io che stavo alla saldatrice m’attardavo su bazzecole prima di prendere un avvio più da sveglio, eccolo che arriva con una sacco sulla schiena con qualcosa dentro di piuttosto pesante. Entra, lo poggia sul mio banco, e subito ne approfitto per far la prima pausa della giornata senza ancora aver cominciato a lavorare, lo apre e tira fuori una ruota di parmigiano che sarà stata una trentina di chili e più. Ci informa, quelli che eravamo lì, che nella notte aveva fatto un colpo con altri in un negozio del centro. Dicevano sempre del centro ma in genere andavano in altri quartieri, perché il centro era ricco ma pericoloso, e quelli degli altri quartieri venivano nel nostro, era la regola. In due o tre avevano tirato su la saracinesca a un negozio di alimentari e a lui era toccato il cacio. Chiese al Renzoni padre, padrone e capo indiscusso della bottega dove i dipendenti eravamo il figlio ed io, che non doveva essere nuovo a queste richieste, se per piacere gliela tagliava alla sega circolare perché spezzarla a mano era dura e lavoro lungo. Renzoni conosceva già il copione: gli mise sotto la forma e in men che non si dica gliela ridusse a trenta-quaranta tocchi regolari di più o meno un chilo l’uno. Con quella macchina si tagliavano tubi, tondini, quadrelli del cinque e reggetta in ferro, e col formaggio andava via liscia che era un incanto: mai avrei pensato che potesse servire anche a quello scopo. Finita in pochi minuti l’operazione, il Renzoni si portò sull’uscio della bottega e si affacciò in strada; dopo essersi accertato che non vi fossero stranieri in giro, cioè gente che non fosse del quartiere, perché se si trattava di qualche inglese o qualche americano non importava niente a nessuno, con voce ben udibile ma non troppo gridata, fece sapere che il Bercia aveva trovato una forma di cacio d’occasione e la voleva dar via a poco. Cominciò ad arrivare gente, ma i primi ad essere serviti fummo noi della bottega. Anch’io presi il mio tocco di formaggio a poco prezzo e siccome non avevo soldi me li anticipò il Renzoni dicendomi che a fine mese me li avrebbe ritirati in busta paga. A onor del vero devo dire che se ne scordò e quando glielo rammentai mi disse che si sarebbe visto in seguito perché per ora quei soldi non gli servivano.

Questa storia durò un po’. Non è che il Bercia arrivasse tutti i giorni, e tutti i giorni col parmigiano, questo è ovvio, ma ogni tanto si faceva vedere, sempre con prodotti diversi, di valore, di poco ingombro e soprattutto necessari. Insomma non passava dall’orefice e poi veniva in quartiere a cercare di vendere braccialetti d’oro. Poteva capitare, ad esempio, che una mattina arrivasse con un barilotto di acciughe, un’altra con attrezzi da officina tipo calibri, pinze, tenaglie e seghetti, un’altra ancora con tovaglie, fazzoletti e biancheria varia, e via dicendo. Una mattina arrivò con un consistente pacco di biancheria intima da donna: calze, reggicalze, reggiseni, corsetti, mutandine, ecc. roba fine, elegante e molto erotica. Ci fu entusiasmo sia fra gli uomini che fra le donne, chiamate giù in strada dai mariti, e in men che non si dica la mercanzia fu felicemente piazzata e a buon prezzo. Insomma meglio che in Polonia, dove a quel tempo, si diceva, ma non so quanto fosse vero, che certa merce fosse la più adatta ad essere venduta. Fra queste donne c’erano diverse femministe e tutte erano certo della variegata sinistra di allora, istituzionale e non, che avevano della vita, della sinistra e del femminismo una concezione a mio parere molto poetica, creativa e saldamente orientata da piacere e godimento.

Una mattina Gino Berciani passò con la valigia a salutarci dicendo che andava al mare. I saluti furono calorosi. Io ci credevo che partisse per il mare, ma appena se ne fu andato, Renzoni padre disse che due erano le possibilità: che il Bercia cambiasse zona per lavoro, ma era la più improbabile, o che nella nottata l’avessero beccato e che invece di portarlo dentro subito, visto che lo conoscevano, l’avessero mandato a casa a prendersi i vestiti e gli effetti personali e poi con calma, e a piedi, così come dal carcere era venuto al carcere sarebbe ritornato. Fino alla volta successiva.

 

 

 

 

 

 

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