Un paese vero, Rino Ermini (n°234)
Questo non è un racconto, ma la descrizione di un paese. E che differenza fa? Non lo so. Dicevo per i critici letterari, quelli che ti spiegano che cosa sono o che cosa non sono un romanzo, un racconto, un racconto lungo, un romanzo breve, o che so io. Insomma, mettevo le mani avanti. Si tratta di un paese brutto, e anche un po’ sporco, che sta nel profondo sud, come tutti i paesi brutti e sporchi.... scusate avevo la carta geografica capovolta, ho sbagliato ad orientarla. È un paese che sta al nord, ma così a nord che di più non si può.
È un paese di pianura, talmente di pianura che uno per portarsi un po’ in alto deve salire le scale di casa o lo scaleo per raccogliere le pere; oppure, impresa per pochi eletti, sul campanile della chiesa, altezza 42 metri: nella cella campanaria ci hanno messo addirittura un quaderno per le firme, come nei rifugi d’alta quota o sulle cime alpine più importanti. Uno ci sale, dico sul campanile, guarda il panorama di fabbriche dismesse, autostrade e gigantesche rotonde, stupisce per la grandiosità del creato, firma il quaderno e magari lascia un pensiero sublime tipo “dio esiste”.
Questo paese, dal punto di vista della storia dell’arte e della cultura è caratterizzato da tre cose: il cimitero, la chiesa e il parchetto antistante la scuola elementare. Non c’è altro. Il cimitero presenta centinaia di tombe colossali, ciascuna molto più costosa di una casa di abitazione. I materiali da costruzione usati sono in genere sfavillanti marmi bianchi, rosa e grigio topo. Presenza debordante di vasi, fiori e luminarie; è possibile vedere vasi incatenati e chiusi a lucchetto perché si verificano frequenti furti. Al secondo edificio, la chiesa, abbiamo già accennato parlando del campanile. Non c’è altro da aggiungere, se non che è in stile misto anni cinquanta del Novecento e rococò, con rivestimenti interni ed esterni realizzati con gli avanzi dei marmi in uso al cimitero.
Il terzo elemento meritevole di menzione è il parco davanti alla scuola elementare. La scuola è in stile fine ottocento. Non sarebbe nemmeno male, tanto più che è ombreggiata da alcuni cedri e faggi secolari che debordano dai parchi privati di ville padronali che le stanno intorno. La facciata ha tre portoni di ingresso larghi ed alti oltre il necessario. Quello che sta a sinistra di chi guarda e quello che sta a destra portano a coronamento della cuspide rispettivamente le scritte “femmine” e “maschi”. Il portone centrale, più alto degli altri due era (e credo sia ancora) riservato al dirigente e agli insegnanti. I bidelli entrano da dietro. Sopra il portone centrale campeggia una scritta stratosferica: CADUTI PER LA PATRIA. Non “ai caduti per la patria”, ma proprio “caduti per la patria”. Si riferisce agli scolari prevedendo già quale potrebbe essere, o sarà, il loro destino? Davanti alla scuola c’è un parchetto con alcuni classici giochi comuni a ogni parco, utilizzato per la ricreazione degli alunni e delle alunne, e abitato nel pomeriggio da qualche ragazzotto fisso al cellulare che sta lì, più spesso da solo che in compagnia, perché non saprebbe altrimenti che fare e dove andare. Il parco ha un tappeto erboso di plastica. Per la verità è di plastica piuttosto morbida, da queste parti quasi meglio dell’erba vera. In mezzo al parco c’è uno spazio coperto di grossa ghiaia bianca (tipo tombe) e contornato da un muro di cemento armato alto da un lato tre metri e digradante verso il punto opposto fino a diventare muretto per sedersi a meditare. Nella parte alta del muro è scritto con lettere dorate cubitali (sempre tipo cimiteriale) “Ai caduti per la patria”. Un’altra volta! Fra la ghiaia suddetta sono infisse una bocca da cannone della Prima guerra mondiale e sette bombe d’aereo della Seconda, ovviamente scariche.
Il paese sarebbe tutto qui. Non si può tuttavia non dire qualche cosa sulla popolazione. Dati precisi non ne abbiamo, ma vicini alla precisione sì. Diciamo che due quinti, molti anziani e pochi giovani, sono autoctoni. Gli anziani, e le anziane, un tempo erano contadini, poi operai nelle manifatture della zona, poi pensionati. Religione di stretta osservanza cattolicobigotta. Altri due quinti, sempre molti anziani e pochi giovani, sono immigrati dal meridione decenni fa, quasi tutti dallo stesso paese. Vennero dal sud per fare gli operai, come sopra. Religione di stretta osservanza cattolico-superstiziosa con influenze greco-arcaiche. Parlano ancora il loro dialetto d’origine, sono in genere più simpatici degli autoctoni, e ancora sono oggetto di considerazioni razziste perché irrimediabilmente “terroni”.
Un quinto della popolazione è musulmana di varia provenienza, adulti tutti sotto i quaranta, e poi ragazzi e ragazze, bambini e bambine in quantità. Le femmine in parte velate e in parte no. Insomma una comunità giovane e pimpante che se ne frega degli altri quattro quinti: “tanto voi siete vecchi e morirete, e noi siamo giovani e prenderemo il vostro posto. Nella vostra chiesa ci faremo la moschea e sul campanile ci mettiamo il muezzin”. I vecchi locali stanno zitti, i vecchi immigrati dicono “a noi non ci frega un cazzo”. I giovani e le giovani musulmane, non tutti ma una buona fetta hanno detto: “col cazzo, noi non andiamo in chiesa e non andremo nemmeno in moschea”. A questo quinto si aggiunge un certo numero di badanti ucraine, polacche e moldave impegnate a rimettere in circolo un po’ del capitale mobile accumulato in anni di sacrifici dagli anziani locali o immigrati decenni fa dal meridione.
L’Amministrazione è di destra mista, che presso le altre amministrazioni di destra della zona gode fama di essere gnucca, becera e retriva. Sicché figuriamoci. Cos’è che ha fatto così questo paese? È presto detto: venti anni di fascismo, peraltro mai morto dal ’45 ad oggi; quarant’anni di DC, che qui è sempre stata fortissima; trent’anni di liberismo variamente camuffato dal punto di vista politico; da ultimo una spolverata di coronavirus che ha fatto irruzione nella locale privata casa di riposo. I prossimi trenta per certi aspetti parrebbero facilmente prevedibili, per altri totalmente avvolti dalla nebbia. In questi giorni è apparsa su un muro una scritta: “ci avete tutti rotto le palle, voi e il coronavirus”. Non si sa chi l’abbia fatta né a chi si riferisse con quel “voi”, ma è firmata con una A cerchiata, un pesce che sembra una sardina e, caso ormai più unico che raro, una falce e un martello incrociati. Chi saranno mai costoro?