Il podista e i costruttori di capanne, di Rino Ermini (n°250)
Molte saranno le storie già scritte e ambientate all’epoca del covid, ma confesso di non essere interessato, e credo che non andrò a cercarle né a leggerne alcuna. Ne ho abbastanza del covid e di quel che c’è girato e ci gira intorno, e di tutte le storie di sofferenza che si sono aggiunte a quelle d’ordinaria amministrazione. Non dico delle storie di gente sempre sulle prime pagine dei giornali, ma delle storie della gente normale, quelle di cui nessuno si occupa. Tuttavia di storie, a mia volta, non posso non raccontarne almeno una che, fra l’altro, non sarebbe nemmeno una storia, ma un fatterello da prendere per quel che è.
C’è un paese di pianura che ha intorno ancora una ragguardevole area agricola, non certo com’era in un tempo ormai lontano, ma insomma, se si cammina in una strada poderale, è vero che si vedono in lontananza le periferie dei paesi, ma intorno si hanno il grano e il granturco, la colza e l’erba medica; ed esili boschi di robinie che fra un campo e l’altro fanno da confine. Per chi volesse farsi un’idea più precisa, si tratta di campi e strade che ricalcano la centuriazione romana di duemila anni fa. Sarebbe anche un bel paesaggio, se non si sentisse notte e giorno in lontananza il rumore del traffico (solo nei primi mesi del covid, con la chiusura totale, il silenzio era così perfetto, ed insolito, da fare quasi paura); e se non fosse un paesaggio ormai a rischio di estinzione perché, crisi climatica o no, si continua a costruire case ed a mangiare terreno. Ma dico tanto per dire, volevo soltanto dare un’idea della scena.
In queste strade fra un campo e l’altro c’è qualcuno che dai paesi viene a camminare o a correre o a portare il cane per i bisogni. Si tratta di persone che camminano e corrono in genere da sole e quando si incrociano un saluto e via. Col covid non hanno smesso. Soprattutto quelli che abitavano ai bordi dei paesi, approfittando della possibilità concessa di fare sport nei dintorni di casa propria, magari verso sera per non dare troppo nell’occhio, pantaloncini scarpe maglietta e via; e una mascherina in tasca, per l’emergenza.
A un certo punto uno di questi, fra i più assidui, che chiameremo “il podista” perché corre senza tregua, ha cominciato a notare nei boschetti monconi di tronco alti poco meno di mezzo metro dovuti al taglio di piante effettuato malamente e del tutto fuori norma (le piante, quando si abbattono, vanno tagliate a livello del terreno e col taglio leggermente inclinato, non così come stava vedendo). E poi tutte piante giovani, di una decina d’anni, perciò doppiamente fuori norma. Qui, pensava il podista, è all’opera qualche ragazzotto che non ci capisce nulla.
Lo stesso, una sera ha visto un ragazzo sui quattordici anni, in bicicletta, che pedalava, la mano sinistra sul manubrio e l’altra a reggere un bancale appoggiato sulla spalla destra, diretto frettolosamente in un punto dove, fra il lusco e il brusco, altri della sua età erano indaffarati a una qualche impresa. Un’altra sera uno che sul portapacchi aveva quella specie di scatola di tela per portare i cibi a domicilio e che lasciava dietro di sé uno straordinario odore di pizza. Un’altra ancora un filo di fumo bluastro che si levava all’imbrunire, sempre in quel punto dove aveva visto fervere i lavori. Il giorno successivo, più o meno alla stessa ora, il podista faceva il suo giro e il filo di fumo era ancora lì.
Allora ha fatto una deviazione ed è andato a vedere. C’era una capanna assai ampia, costruita con paletti e pertiche di robinia, provenienti dai tagli già osservati nei giorni precedenti, malamente legati fra loro e non inchiodati. Sopra e ai lati la struttura traballante era coperta sommariamente di frasche. All’interno, il pavimento, in terra battuta, era stato realizzato con uno scavo di una decina di centimetri. Al centro c’era un cerchio di ciottoli (i campi intorno sono di origine alluvionale) per delimitare il fuoco; che era acceso e faceva un gran fumo (legna non proprio secca e umida, ha pensato il podista); intorno al fuoco c’erano almeno una quindicina di ragazzi sui tredici-quattordici anni. Erano infagottati perché non era proprio bel tempo e la copertura e le pareti, si fa per dire, lasciavano passare folate di vento freddo. I giovani (non c’era nessuna ragazza) avevano fatto anche dei ripiani per sistemarvi non poche scatole di biscotti, sacchetti di patatine e numerose bottiglie di acqua e bibite varie. La cena era in corso in quel momento.
Il podista ha salutato, ma non ha ricevuto per risposta che qualche parola smozzicata. Imbarazzato lui e imbarazzati i ragazzi, ha trovato comunque le parole per attaccare discorso e fare qualche domanda. Alcuni lo hanno guardato subito storto e si sono irrigiditi, qualche altro, forse più spigliato, è stato più disponibile a spiegare quel che avevano fatto. Così il podista ha saputo che quei ragazzi avevano deciso di farsi quella capanna per passarci il tempo fra di loro, perché dell’isolamento e della storia del covid non ne potevano più; che i loro genitori ovviamente non ne sapevano nulla e che per uscire senza problemi da casa, visto che non potevano andare da nessuna parte, si inventavano di andare per i campi a fare un po’ di movimento. Il podista ha detto che stessero attenti perché quelle piante tagliate malamente e il fumo che facevano avrebbe probabilmente messo in sospetto l’agricoltore proprietario dei terreni intorno se non addirittura qualcuno in paese, perché il fumo si vedeva da lontano. Ha fatto poi notare che la casa dell’agricoltore, la cascina, era a meno di duecento metri in linea d’aria e che proprio lì, sotto al naso, erano andati a fargli una capanna. Ma si sa come fanno i ragazzi di fronte a un adulto, ascoltano, se ascoltano, interagiscono il minimo indispensabile, e alla fine dicono “ma questo che vuole?” Al podista, fra l’altro, dopo qualche minuto ha cominciato a gelarsi il sudore addosso, quindi ha salutato e ha ripreso la corsa.
La storia è finita cinque giorni dopo. L’agricoltore, che girando per i campi aveva avuto modo di constatare la situazione, è andato lì all’ora del fuoco serale con due della protezione civile e una guardia ecologica volontaria. Ha detto ai ragazzi che avrebbe potuto denunciarli tutti perché erano in una proprietà privata, avevano tagliato decine di piante che non erano le loro e per di più, confermato dalla guardia ecologica, tagliate male. L’agricoltore ha detto che non intendeva comunque fare denuncia; che l’indomani un’ora prima del tramonto avrebbe portato lì col trattore un carrello e l’avrebbe lasciato perché disfacessero la capanna e tutti i tronchi e tronchetti li caricassero, che poi avrebbe provveduto a portarseli a casa, visto che erano i suoi. I ragazzi, impressionati dalla presenza della guardia ecologica e dei protettori civili o semplicemente solo perché i ragazzi sono spesso bravi ragazzi, hanno fatto come richiesto. Il giorno dopo, mogi mogi, hanno smontato la loro capanna, hanno caricato il legname sul carrello e se ne sono andati. Lasciando un bel po’ di rifiuti in giro. Il proprietario si è portato a casa la legna, ma non ha raccolto i rifiuti, come è nella miglior tradizione degli “impresari” agricoli da queste parti: non muovono un dito se la cosa non rende profitto immediato.
Il podista conosceva la guardia ecologica, un buon uomo di una sessantina d’anni, e non ha resistito dal dire anche a lui la sua facendo una requisitoria la cui sintesi sarebbe più o meno questa. “Ma non potevate lasciarli perdere? Il danno al bosco l’avevano già fatto e probabilmente alla fine si sarebbero stancati e se ne sarebbero andati da soli. In secondo luogo non potevi perdere un’ora con loro per far vedere come si abbatte correttamente una pianta: In terzo luogo: i rifiuti all’agricoltore non glieli fate raccogliere?”
Non è passata una settimana che il podista, in un altro boschetto, lontano forse cinquecento metri dal precedente e di un proprietario che ha la propria cascina in un paese a tre chilometri, ha notato numerosi ragazzi che stavano raccogliendo una quantità spropositata di tronchetti e legna varia, secchi e sparsi in abbondanza sul terreno, con i quali qualche giorno dopo hanno cominciato a tirar su una serie di strutture a forma di tende dei pellerossa, brutte come la capanna precedente, ma fatte appunto senza abbattere piante vive e lontano dal proprietario. Non avevano desistito dai loro propositi, mettendo però in atto questa volta strategie diverse imparate dalla prima esperienza, nel tentativo di veder la propria avventura concludersi con esiti migliori. Questa volta il podista ha tirato diritto. Loro, invece di una singola grande capanna tipo insediamento villanoviano, hanno fatto un villaggio pellerossa.