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Categoria: Letture
Creato Sabato, 02 Marzo 2024

Stato e anarchiaPeter Russel, la bibliotecaria e Mikhail Bakunin fuori posto, di Rino Ermini (n° 271)

Invece di andare in giro col computer per scrivere in mezzo a boschi, piagge e faggete, oggi sono venuto in biblioteca. Per forza, dirà qualcuno, piove a dirotto, come si fa ad andare a scrivere col computer sulle ginocchia in un bosco, al freddo e sotto il gocciolio della pioggia?

Come si fa? Si fa che basta essere un po’ matti, un po’ poeti mancati, accontentarsi del sole se c’è il sole, voler bene alla pioggia quando piove... e soprattutto avere in odio il capitalismo. 

Scusami eh? Ma che c’entra il capitalismo?

C’entra eccome!

Comunque sia, oggi sono venuto alla Casa della Cultura del mio paese, dove sta anche la Biblioteca pubblica intitolata a Ilaria Alpi.

La casa della Cultura è stata ricavata recentemente ristrutturando quella che un tempo era la sede della Filarmonica. Ma per me la cosa più importante si può dire che sia un’altra: in questa stessa sede, nell’anno scolastico 1965-1966 io e la mia classe ci facemmo la terza media. Eravamo stati noi, due anni prima, a inaugurare la “scuola media unica” facendo la prima e la seconda nei locali “nuovi” dov’era stata la mensa della scuola elementare (mensa che fu annientata per ricavarci le due aule per noi). Ma non c’era spazio per una terza aula, così per l’ultima classe delle medie ci mandarono nella “stanza della musica”. Quindi oggi sto seduto dove quasi sessant’anni anni fa stavo seduto come studente.

Sono due ore esatte che sono qui dentro e siamo in due: io e la bibliotecaria. Io qui in una sala, e là in fondo lei che sta al proprio tavolo vicino all’ingresso. Da qui vedo soltanto la sua poderosa testa di riccioli. È una ragazza giovanissima. O sta facendo l’alternanza scuola lavoro o è una volontaria. O è una normale lavoratrice ed è solo una mia impressione che sia giovanissima? La questione è interessante? Forse sì e forse no.

Alla mia sinistra c’è uno scaffale con decine di opere del poeta Peter Russell. Fu figlio di Bertrand o solo parente? O non c’era fra i due nessun legame di questo tipo? Confesso che non lo so. E ora dirò qualcosa di questo personaggio cui forse più d’una volta, qua e là, ho accennato. È vissuto per molti anni qui in questo paese, in una casa mezzo diroccata lungo un torrente che non si sa come abbia fatto a viverci visti l’umidità di quel luogo e il rumore perenne dell’acqua. Questa casa si chiama “La Turbina” perché in un tempo non molto lontano c’erano i macchinari con cui una grossa fattoria dei dintorni produceva energia elettrica per sé e per i propri poderi. Russell ci venne ad abitare nei primi anni ottanta del XX secolo, quando della turbina era sopravvissuto soltanto il nome, e c’è rimasto fino quasi al termine della propria vita, nel 2003. 

Ha donato tutto il suo archivio, i suoi libri e i suoi inediti al nostro Comune, il quale l’ha ringraziato riservandogli un’ampia vetrina per i libri di poesia di cui è stato autore e un’intera stanza per l’archivio. In questo paese c’è gente che s’è messa a leggere Peter Russell con tanto di quell’impegno che qualcuno s’è dimenticato anche la potatura degli olivi, il che da queste parti è così grave da richiedere quasi il ricovero ospedaliero. Grave non perché uno si mette a leggere poesia, ma perché dimentica la potatura. Io ci ho provato a leggere Russell. Lo sapevo in partenza che non ce l’avrei fatta. Allora ci ho riprovato e ogni volta che vengo in biblioteca mi ci rimetto d’impegno. Ma non ne leverò i piedi. Deve essere stato un grande poeta. Si è scomodato anche un presidente della Repubblica che lo propose a suo tempo per il Nobel. Ciò non sarà un marchio di assoluto valore, ma qualche cosa vorrà pur dire.

Apro un libro, “Peter Russell Vita e Poesie”, a cura di Wilma Minotti Cerini.

Primavera del tardo inverno /L’acqua si riversa sotto il lauro /Sul fianco della montagna per tutto l’inverno /

I beduini la guardano fissi /Finché il miracolo /Non finisce e il deserto /Si richiude su di essa

Io passo di là contento /Di sentirla mormorare /Dell’estate e degli uccelli 

(Pratomagno, 5 marzo 1984)

Giorni fa, un po’ scherzando ma fino a un certo punto, mi sono quasi accapigliato verbalmente con uno che conosco, persona colta, molto preparato nella storia e nella cultura locali. Quando Peter era in vita lo andava a trovare spesso e gli portava sempre whisky, perché Russell beveva solo questo e in continuazione, e grandi pacchi di fogli perché anche scriveva in continuazione. Glielo ho detto chiaro. “Ma non potevi portargliene meno di fogli? E magari anche meno whisky per vedere se si dava una calmata? Ma non vedi quanta roba ci ha lasciato? E chi ce la fa a leggere tutto?”

Sto cercando di fare dell’ironia, ma non mi dovrei permettere. Se me lo permetto è perché voglio farlo conoscere a modo mio questo poeta. E poi gli voglio bene, se non altro perché ha vissuto da povero e da disperato. E da povero è morto; fra l’altro, nella stessa RSA dove è stata ricoverata ed è deceduta mia madre. Che comunque, intendiamoci, è una signora RSA del nostro Comune, pubblica,    non  privata,  e molto ben gestita, in una bella villa lasciata in eredità al Comune da un benestante e situata fra le case del centro storico.

Fra un verso e l’altro ogni tanto mi alzo per andare a dare un’occhiata ai libri che sono nelle scaffalature di questa sala. Ho visto qualche testo di storia locale: qui se ne trovano molti sulla Resistenza e sugli eccidi nazifascisti. Perché in queste zone coltivano molto la Memoria. Non tutti, ma tanti. Quel che è stato fatto durante la Resistenza, e gli eccidi subiti, se lo ricordano. E a me pare anche in un modo giusto, non solo con le corone ai cippi in occasione del 25 aprile.

Poi, passeggiando da uno scaffale all’altro, mi sono imbattuto nella letteratura russa, che mi piace, come a tanti, e mi son messo a spostare meticolosamente volume dopo volume in cerca di qualcosa da portare a casa. 

Mi sono imbattuto in “Stato e anarchia” di Mikhail Bakunin. Ci penso un po’, me lo rigiro fra le mani, guardo i libri che gli sono affiancati e poi vado dalla bibliotecaria e le chiedo di venire con me allo scaffale. Le ho chiesto gentilmente perché un libro come questo fosse fra i libri di letteratura; e le ho spiegato in due parole il perché della mia domanda. “Stato e anarchia” può essere considerato, se vogliamo, anche letteratura, e buona letteratura magari, ma è un saggio di scienza politica o di storia delle dottrine politiche. È un saggio in cui si mette a confronto il concetto di Stato, con tutte sue pecche, con l’Anarchia, un movimento politico, teorico e pratico, nato nell’Ottocento, tuttora vivo, che si basa sulla libertà, l’eguaglianza, la fratellanza e la giustizia sociale. È diventata rossa da capo ai piedi. Insomma, queste sono più o meno le parole che ho usato. È riuscita a malapena a rispondermi che senza dubbio si trattava di un errore e che avrebbero provveduto. C’è rimasta male, l’ha presa come un rimprovero e tentava di scusarsi. 

Ho sentito il dovere di scusarmi io per questo mio intervento, non volevo affatto metterla in difficoltà, ci mancherebbe. D’altronde Bakunin è importante e dovunque lo metti importante rimane. E poi, ci son ben altri problemi al mondo che un libro fuori posto. Si trattava di una precisazione.

E, se vogliamo, si è trattato anche di un modo per attaccare a far due chiacchiere. Meno male che si è ripresa. Così abbiamo potuto parlare, dell’anarchico russo, ma anche del suo lavoro di bibliotecaria.

Non è una studentessa che è lì per l’alternanza scuola lavoro, né una volontaria, ma una lavoratrice, regolarmente assunta, non precaria. Meno male anche questo.  

E tornando a Bakunin, siamo rimasti d’accordo che per la prossima volta cerchiamo di capire se c’è un settore dove possa stare, e se non c’è vediamo di crearlo. Ci siamo lasciati con questo impegno.

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