Sul festival della canzone italiana, di Elena Nicolini (n°122)
Sanremo non è solo il festival della canzone italiana, il suo interesse – ed è cosa ben chiara tanto ai dirigenti RAI quanto ai politici cui devono la loro nomina – non è solo o tanto di natura artistica, è essenzialmente di natura politica. La televisione, infatti, non ha solo il potere di condizionare opinioni e comportamenti degli spettatori, specie quelli per cui costituisce l’unico strumento di informazione e rappresentazione della realtà, ha anche la capacità di raccogliere e rappresentare gli umori della società, dargli forma.
Negli anni il Festival si è rivelato il pronostico più attendibile degli esiti elettorali delle elezioni successive: il vincitore rappresenta gusti, valori e umori della maggioranza degli elettori. Non per nulla si difende, di fronte alla insurrezione di pubblico e orchestra alle premiazioni della ultima edizione, la legittimità del televoto invocando la sua natura democratica poiché – parole testuali della conduttrice – “rispecchia la volontà popolare”, le cui decisioni sono inappellabili e provengono “dal popolo sovrano”. Probabilmente alle prossime regionali saremo chiamati ad esprimerci con un sms.
Quest’anno di fronte a due rappresentazioni opposte del nostro belpaese e della situazione sociale e politica in cui versa, ovvero quella critica e indignata di Cristicchi con “Meno male”, e quella del trio Pupo-Filiberto-Canonici, la nostalgica, retorica e nazionalista “Italia amore mio”, è prevalsa quest’ultima, non solo per via del cattivo gusto del pubblico, ma soprattutto per via della sua cattiva coscienza. Esclusa la talentuosa Malika Ayane, rappresentante di quella nuova generazione di italiani meticci. Escluso a priori Morgan per ragioni ipocrite, la cui fama televisiva ne avrebbe fatto l’unico concorrente davvero pericoloso per il pupillo di Mediaset – Valerio Scanu, vincitore del programma Amici di Maria de Filippi e di questa edizione del Festival.
La televisione si dimostra, anche nelle sue maschere più sfarzose, autoreferenziale e pericolosamente lottizzata. Possibile pensare a una regia politica? Il sospetto è rafforzato dalla mancata programmazione di alternative credibili sul palinsesto di Mediaset, che si è accontentata di cedere il proprio share in cambio della vittoria di un suo prodotto. È del resto l’anomalia italiana in cui a causa del conflitto di interessi il duopolio si riduce a monopolio e la politica si spartisce strategicamente gli spazi televisivi.
In definitiva, per dirlo con le parole della canzone di Cristicchi, “La verità è come il vetro / che è trasparente se non è appannato / per nascondere quello che c’è dietro / basta aprire bocca e dargli fiato!”. E così è stato, Sanremo quest’anno si è rivelato il peggiore di sempre, un baraccone carnevalesco di stereotipi e cattivo gusto; è l’Italia che guarda indietro e cambia solo per peggiorare.